Però la guerra alla Libia non è stata solo della Francia. È stata di tutto l’Occidente. È stata la guerra degli Stati Uniti, ed è stata la guerra anche nostra. L’hanno fatta Cameron come Obama e Hillary Clinton, Sarkozy come Berlusconi e Napolitano, il Belgio come la Spagna, il Canada, la Danimarca e perfino il Qatar (non però la Germania), l’ha fatta la NATO ed è stata condotta da Napoli. E poiché nessuna guerra si improvvisa, ma deve essere preparata nei cuori, chi scrive ricorda che già negli anni 80 in una visita della Commissione Difesa della Camera alla base aerea di Trapani-Birgi, si trovò che gli uomini del 37° Stormo dell’Aeronautica militare lì dislocato, venivano eccitati all’odio contro Gheddafi che per di più, secondo gli americani, aveva sparato due missili (fantasma) verso il mare di Lampedusa.
venerdì 23 marzo 2018
CREDITI DI GUERRA
Però la guerra alla Libia non è stata solo della Francia. È stata di tutto l’Occidente. È stata la guerra degli Stati Uniti, ed è stata la guerra anche nostra. L’hanno fatta Cameron come Obama e Hillary Clinton, Sarkozy come Berlusconi e Napolitano, il Belgio come la Spagna, il Canada, la Danimarca e perfino il Qatar (non però la Germania), l’ha fatta la NATO ed è stata condotta da Napoli. E poiché nessuna guerra si improvvisa, ma deve essere preparata nei cuori, chi scrive ricorda che già negli anni 80 in una visita della Commissione Difesa della Camera alla base aerea di Trapani-Birgi, si trovò che gli uomini del 37° Stormo dell’Aeronautica militare lì dislocato, venivano eccitati all’odio contro Gheddafi che per di più, secondo gli americani, aveva sparato due missili (fantasma) verso il mare di Lampedusa.
martedì 20 marzo 2018
IL PAPATO SI RINNOVA ED È DI NUOVO PROTESTA
Per gli
arruolati al partito antipapista la testimonianza dell’ex papa Benedetto XVI a
sostegno di papa Francesco, a conferma della sua sapienza teologica e della
continuità del suo pontificato con quello precedente, è arrivata come una sciagura.
Così hanno cercato di azzerarla, svelando che nella lettera dell’ex papa c’era
anche una riserva per uno dei teologi che aveva collaborato alla collana
pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana per i primi cinque anni di
pontificato. Ma per quanto la critica a uno degli autori della collana potesse
essere fondata, ciò nulla toglie alla notizia principale, che sta nel rifiuto
del precedente pontefice di prendere le parti
o addirittura la guida della fazione anti-Bergoglio. La quale, dalla
casamatta del blog dell’Espresso,
annuncia ora per il 7 aprile a Roma una specie di Convenzione antagonista per
pubblicare le Tesi di una nuova Protesta.
Tornando alla
Chiesa, c’è da dire che questo strascico polemico seguito alla limpida presa di
posizione dell’ex papa Benedetto, ha avuto il merito di portare alla ribalta,
come oggetto di riflessione, la natura stessa del papato, anche al di là del
giudizio sull’oggi. E ciò proprio perché è stato papa Benedetto a far cadere
l’ostacolo che impediva un ripensamento della natura e del modo di esercizio
del primato petrino, e perciò impediva la riforma del papato, condizione e
volano della riforma della Chiesa.
L’ostacolo
era che nel corso del secondo millennio
cristiano il papato era stato fortemente mitizzato, quasi messo al posto di
Dio. La manifestazione più vistosa nel Novecento se ne ebbe nella figura
ieratica di Pio XII, il “Pastor Angelicus”; poi, dopo la parentesi di Giovanni
XXIII, la mitizzazione giunse ai fasti di papa Wojtyla, che si disse avesse sconfitto
da solo il comunismo e che le folle plaudenti volevano “santo subito!”.
venerdì 16 marzo 2018
UN ATOMO DI VERITÀ
di Raniero La Valle
Oggi, 16 marzo, è il quarantesimo
anniversario del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione degli uomini della sua
scorta. Per ricordarlo si è fatto largo ricorso sui giornali e in TV a
interviste ai brigatisti che compirono il crimine, i quali hanno rievocato
fatti e ideologie del tempo, con abbondanza di particolari e con un certo
distacco più da storici che da criminali.
Così nelle due puntate di Atlantide di Andrea Purgatori si sono potuti
ascoltare Mario Moretti, Valerio Morucci, Raffaele Fiore e, in un filmato fatto
prima che morisse, il carceriere di Moro, Prospero Gallinari.
Quello che ne risulta è il
tragico infantilismo e l’incultura del modo in cui essi “pensarono” la
rivoluzione. Sapevano dai cinesi, e lo dicono, che “la rivoluzione non è un pranzo
di gala”, ma allora ne fanno un gioco; un gioco con la vita degli altri di un
cinismo e di un’ingenuità senza pari, un gioco assurdo giocato come se fosse
serio: la rivoluzione come navicella che galleggia su un lago di sangue, la
vita del giudice ucciso che è solo un granello irrilevante nel turbine, la folle
idea che la rivoluzione non debba essere processata dallo Stato e ciò prima ancora che abbia vinto, nel momento
stesso in cui cerca di abbatterlo, la presunzione che tutto si decida qui, che
loro sono liberi da ogni controllo, che il mondo di cui l’Italia è parte non
esiste, il delirio di pensare che nessuno li stesse usando, Moro che deve
essere ucciso perché se no chi glielo dice ai compagni che non si è ottenuto
niente?
sabato 10 marzo 2018
UN PAPATO MESSIANICO
Lo scarto è finito, non c’è nessuno che non sia eletto da Dio. Contrappasso non è giustizia, la divina commedia è finita. Il Signore ritorna, la parola cammina, la sua voce risuona in molte voci, voce dei poveri voce di tutti, voce della Chiesa, le nostre voci
Raniero La Valle
Raniero La Valle
Dopo cinque anni di papa Francesco, che si compiono il 13 marzo, certamente si può confermare ciò che già apparve all’inizio del pontificato, e cioè che egli fosse venuto per riaprire, a una modernità che l’aveva chiusa, la questione di Dio . E infatti il ministero di papa Francesco è un ininterrotto annuncio del Dio del vangelo, un Dio inedito, un Dio che sorprende, un Dio non più “tremendum” ma solo “fascinans”. Però oggi dire questo non basta più. Ci vuole una sorta di “relectio de papa Francisco”, una rilettura che vada al di là dei due stereotipi in base a cui oggi si parla di lui: quello dell’esaltazione e quello della denigrazione: apologetica contro riprovazione. Mi pare invece che l’approccio giusto sia quello di una interpretazione: il pontificato di Francesco va interpretato perché nasconde un mistero. Come si parlò di un “mistero Roncalli”, “ le mystère Roncalli”, alludendo al mistero o carisma del papa che aveva convocato il Concilio, così c’è un segreto di questo pontificato che va interrogato, che va svelato. E forse da questa interpretazione, anche dopo che esso sarà concluso, dipenderà il futuro della Chiesa.
C’è un’interpretazione diffusa di questo pontificato come di un pontificato profetico. E certamente è verissima, né è smentita dal fatto che esso sia contrastato, perché anzi è proprio della profezia essere combattuta. Però se fosse solo profetico, non ci sarebbe niente di veramente straordinario, perché la storia della Chiesa, sia sul versante della successione apostolica che sul versante della tradizione dei discepoli, è piena di profeti, papi compresi: basta pensare a Leone Magno che con la sua lettera a Flaviano dona alla Chiesa la fede di Calcedonia, o a Gregorio Magno che attraverso la figura di san Benedetto è il vero padre dell’Europa.
Io però penso che si possa dare un’interpretazione ulteriore, come non solo di un pontificato profetico, ma di un pontificato messianico.
C’è un’interpretazione diffusa di questo pontificato come di un pontificato profetico. E certamente è verissima, né è smentita dal fatto che esso sia contrastato, perché anzi è proprio della profezia essere combattuta. Però se fosse solo profetico, non ci sarebbe niente di veramente straordinario, perché la storia della Chiesa, sia sul versante della successione apostolica che sul versante della tradizione dei discepoli, è piena di profeti, papi compresi: basta pensare a Leone Magno che con la sua lettera a Flaviano dona alla Chiesa la fede di Calcedonia, o a Gregorio Magno che attraverso la figura di san Benedetto è il vero padre dell’Europa.
Io però penso che si possa dare un’interpretazione ulteriore, come non solo di un pontificato profetico, ma di un pontificato messianico.
Messianico cioè, semplicemente, cristiano
Neanche questo di per sé sarebbe straordinario; perché messianico non è che l’altro nome del cristiano, Cristo non è che il greco di Messia, quindi “un papa messianico” è come dire “un cristiano sul trono di Pietro”, come si disse di papa Giovanni; ma siccome ci siamo dimenticati di questa identità messianica e il popolo cristiano ignora il greco, non è così ovvio, e un pontificato messianico appare effettivamente straordinario.
mercoledì 7 marzo 2018
UNA FELICE DISCONTINUITÀ
Dopo il 4 marzo
Il voto del 4 marzo, raffigurato nella cartina
colorata trasmessa quella sera in TV, ha mostrato due Italie: l’Italia del
Nord, identificata dalla maggioranza di centrodestra a trazione leghista, e
l’Italia del Sud, identificata dalla maggioranza 5 stelle, ben radicata e
rappresentata anche nel Nord.
Diciamo subito che noi amiamo tutte e due le
Italie, come un’Italia sola; che questo è un amore fatto di stima e ricco di
speranza, e che nell’analisi di ciò che l’Italia ha fatto il 4 marzo cercheremo
di dare ragione di questo illeso amore e di questa robusta speranza.
L’elettorato ha espresso un voto che ha sorpreso,
da nessuno sondato e immaginato così. È stato un voto che in molti ha suscitato
dolore, sgomento, in qualcuno addirittura indignazione e paura. Per rispetto di
questi sentimenti occorre escludere qualsiasi trionfalismo e guardarsi da ogni
giudizio saccente, manicheo, bianco o nero, tutto bene o tutto male.
Però si possono cogliere alcune positività non
indifferenti di questo voto.
Prima di tutto è venuto meno il demone di un
crescente astensionismo. Gli italiani non hanno licenziato con disprezzo la
politica. Qui i poteri opprimenti non hanno ancora vinto. La democrazia
continua, la Costituzione è salva. I giovani hanno votato. Anzi sono stati
decisivi. Con entusiasmo lo hanno fatto quelli che, per l’età, votavano la
prima volta. Incoscienti, certo, perché non sanno il passato, ma nuovi, ansiosi
di futuro.
Una feconda, netta discontinuità
In secondo luogo le elezioni del 4 marzo hanno
introdotto nella vita politica italiana una netta discontinuità. Naturalmente
non sempre la discontinuità è positiva, perché il dopo può essere peggiore del
prima. Tutti i conservatori la pensano così. Però senza discontinuità il nuovo
non accade e la storia è finita. La discontinuità è la soglia attraverso cui
può fare irruzione l’inedito, l’insperato, può scoccare il tempo propizio, può
giungere l’occasione che va colta, può passare quello che gli antichi
chiamavano il kairόs, con le ali ai piedi, da afferrare prima che scompaia. È
la cesura che interrompe quello che Walter Benjamin nella sua filosofia della storia chiamava il
tempo “omogeneo e vuoto"; e la politica italiana aveva bisogno di questa
discontinuità, perché il suo tempo stancamente ripetitivo non solo era vuoto,
non solo era sordo a qualsiasi parola nuova, come per esempio quella della
critica di sistema di papa Francesco, ma di discesa in discesa stava arrivando
a un punto di caduta, rischiosissimo, e la gente stava male. Ora dunque si
tratta di prendere in mano la discontinuità, non subirla, e volgerla al meglio.