sabato 27 luglio 2024

O i giochi o la guerra

Lo scandalo non è che il Presidente di Israele, Herzog, mentre è in corso il lungo terrorismo di Stato a Gaza, che ai sensi della Convenzione dell’ONU sarebbe già genocidio, sia venuto a Roma e sia stato ricevuto da Mattarella, né che, come di rito, sia stata invocata la soluzione “due popoli due Stati” e la necessità di evitare il rischio dell’allargamento del conflitto. Né sorprende che Herzog sia stato tanto edificato dall’incontro col Capo dello Stato da ringraziarlo “per la sua chiarezza morale e per il suo essere al nostro fianco”. Lo scandalo non è nemmeno che poi, di cortesia in cortesia come si usa tra i governi, egli sia passato da palazzo Chigi, dove la Presidente del consiglio lo ha accolto reiterando “la necessità” dei due popoli e due Stati in Palestina, pur sapendo che questo è ormai uno stereotipo cerimoniale, perché per fare uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gerusalemme Est occorrerebbe che Israele facesse ciò che solo pochi giorni fa, il 20 luglio, ha stabilito la Corte Internazionale dell’Aja, in un parere fornito all’Assemblea Generale dell’ONU. Secondo la Corte la continua presenza di Israele nei Territori palestinesi occupati è illegale ed è un’annessione di fatto a cui Israele deve porre fine, cessando immediatamente ogni attività di insediamento, evacuando tutti i coloni, risarcendo i danni arrecati e restituendo le terre e i beni sequestrati dall’inizio della sua occupazione nel 1967. Richiesta a cui Netanyahu ha risposto che non se ne parla nemmeno perché il popolo ebreo non è conquistatore nella propria terra, né a Gerusalemme né in Giudea e Samaria. Lo scandalo sta nel fatto che passando da Roma Herzog stava andando a Parigi per i giochi olimpici. È nota la tradizione delle Olimpiadi, come alternativa alla guerra o perlomeno come un tempo di pausa della guerra, e tanto più di uno sterminio. Lo scandalo, non certo per il popolo ebreo che è del tutto innocente, ma per lo Stato che se ne arroga la rappresentanza, è di uccidere andando ai giochi, e di partecipare ai giochi uccidendo. È come per la tragedia del Titanic, l’orchestra suonava mentre la nave affondava. È questo il grande pericolo per lo Stato di Israele: ad affondare non è il popolo palestinese, che è abbastanza giovane, resistente e prolifico, ad affondare può essere lo Stato di Israele perché perde il grandissimo ascendente che ha su tutta la comunità internazionale e quando si sarà attenuato il tragico ricordo della Shoà e l’America sarà giunta al declino, rischia di venir meno o di dover usare la bomba. Israele credeva che il pericolo fosse nel dover stare insieme a un altro popolo nella stessa terra, e invece la sua pace e la sua sicurezza starebbe nel vivere in quella terra riconciliato col popolo a cui ha preso le case. Certo si parla di prospettive lontane, e intanto ci si può illudere di garantirsi la sicurezza con “la migliore difesa” che, secondo le nuove strategie atlantiche, “è una buona offesa”. Sono tempi lunghi ma il popolo ebreo è abituato a pensare in termini di millenni: la promessa della terra fatta da Dio ad Abramo e reiterata a Mosè è di tremila anni fa, ed è stata per lungo tempo inadempiuta. Continua...

domenica 7 luglio 2024

VACILLA L'EUROPA DI ARMI E DI GUERRA

Noi amiamo l’Ungheria, non perché l’ama la signora Meloni e nemmeno perché Salvini è entusiasta di raggiungere Orban nel nuovo gruppo di destra, "I Patrioti” del Parlamento europeo. Amiamo invece l’Ungheria perché era quello l’obiettivo da distruggere assegnato all’Italia, per mezzo dei missili nucleari installati a Comiso, nella distribuzione internazionale del lavoro tra i Paesi dell’area atlantica, nel caso fosse scoppiata la guerra atomica. Chissà perché proprio l’Ungheria! Fatto sta che, pur non sapendo che l’obiettivo fosse l’Ungheria, un imponente movimento popolare insorse in Italia contro i missili di Comiso. Solo in Sicilia, per sloggiare i Cruise, furono raccolte un milione di firme. Infine quei missili non furono sparati, l’Ungheria fu salva e anche noi. Fu quella l’ultima volta in cui l’Europa e il mondo rischiarono una guerra mondiale e un’ecatombe nucleare. E ora ci siamo un’altra volta, a causa della insensata decisione europea di tornare a ballare col Nemico e di non voler fare finire la guerra tra la Russia e l’Ucraina, forse per sdebitarsi con gli Stati Uniti che le danno la copertura militare della NATO e che hanno tutto l’interesse, almeno a stare ai documenti della Casa Bianca e del Pentagono, che la guerra continui. Senonché l’Europa sbadatamente ha stabilito che di sei mesi in sei mesi cambi lo Stato che ha la presidenza dell’Unione, e ora questo Stato è l’Ungheria, e l’Ungheria si è permessa di rompere l’unanimità violenta dei Paesi europei, annunziando che tutto il suo semestre sarà dedicato al tentativo di riportare la pace in Europa, ponendo termine, mediante un negoziato, alla guerra tra la Russia e l’Ucraina. Per questo il premier ungherese Orban, come primo atto della sua presidenza, si è recato a Kiev e Mosca, per tentare di propiziare un dialogo tra le due capitali per mettere fine alla guerra. Nessun leader europeo l’aveva fatto prima di lui. Non l'inglese Johnson, che fu il primo a precipitarsi a Kiev per dire a Zelensky che doveva stracciare l’accordo appena fatto con Putin nel negoziato di Ankara, quindici giorni dopo l’inizio della guerra, non il francese Macron che voleva mandare i soldati europei a dar man forte sul terreno all’esercito ucraino in via di estinzione, non il tedesco Scholz che aveva subito seguito Macron nel consentire alla pretesa di Stoltenberg di togliere i vincoli all’uso delle armi della NATO per colpire in profondità il territorio russo. Ma nemmeno l’aveva fatto il presidente Mattarella, che gode della maggior fiducia tra i politici italiani, avendola avuta due volte dal Parlamento per i suoi due mandati e giungendo nei sondaggi al 73 per cento dei consensi; eppure sulla guerra è andato più avanti di tutti dando credito alle più fosche illazioni col dire che la pace deve essere come l’Ucraina la vuole e che se essa fosse sconfitta ci sarebbe una deriva di aggressioni ad altri Paesi ai confini con la Russia e di lì si giungerebbe a “un conflitto generale e devastante” come quello provocato dalla Germania tra il 1938 e il ’39. L’ha fatto invece ora l’Ungheria, suscitando l’ira funesta delle burocrazie europee (ma non della NATO), da Charles Michel, alla von der Leyen, a Borrel, come alla Polonia e alla Lituania; secondo questa, per amor di pace, a Mosca si dovrebbero portare le manette, non le strette di mano. C’è una verità però in tutto questo: l’Europa delle armi e della guerra vacilla, e va in crisi come tutti i giganti armati che hanno i piedi d’argilla; lo sanno bene gli Stati Uniti dal Vietnam all’Afghanistan, lo sa Netanyahu a cui viene meno sul più bello del "suo lavoro” il sostegno dell’esercito, ed ora lo sa l’Europa che per un sassolino lanciato dalla piccola Ungheria entra nel panico, non sa più che fare, e sconfessa la presidenza stessa dell’Unione. > > Continua...