domenica 7 luglio 2024
VACILLA L'EUROPA DI ARMI E DI GUERRA
Noi amiamo l’Ungheria, non perché l’ama la signora Meloni e nemmeno perché Salvini è entusiasta di raggiungere Orban
nel nuovo gruppo di destra, "I Patrioti” del Parlamento europeo. Amiamo invece l’Ungheria perché era quello l’obiettivo da distruggere assegnato all’Italia,
per mezzo dei missili nucleari installati a Comiso, nella distribuzione internazionale del lavoro tra i Paesi dell’area atlantica, nel caso fosse
scoppiata la guerra atomica. Chissà perché proprio l’Ungheria! Fatto sta che,
pur non sapendo che l’obiettivo fosse l’Ungheria, un imponente movimento
popolare insorse in Italia contro i missili di Comiso. Solo in Sicilia, per
sloggiare i Cruise, furono raccolte un milione di firme. Infine quei missili
non furono sparati, l’Ungheria fu salva e anche noi. Fu quella l’ultima volta
in cui l’Europa e il mondo rischiarono una guerra mondiale e un’ecatombe
nucleare. E ora ci siamo un’altra volta, a causa della insensata decisione
europea di tornare a ballare col Nemico e di non voler fare finire la guerra
tra la Russia e l’Ucraina, forse per sdebitarsi con gli Stati Uniti che le
danno la copertura militare della NATO e che hanno tutto l’interesse, almeno a
stare ai documenti della Casa Bianca e del Pentagono, che la guerra continui.
Senonché l’Europa sbadatamente ha stabilito che di sei mesi in sei mesi cambi
lo Stato che ha la presidenza dell’Unione, e ora questo Stato è l’Ungheria, e
l’Ungheria si è permessa di rompere l’unanimità violenta dei Paesi europei,
annunziando che tutto il suo semestre sarà dedicato al tentativo di riportare
la pace in Europa, ponendo termine, mediante un negoziato, alla guerra tra la
Russia e l’Ucraina. Per questo il premier ungherese Orban, come primo atto
della sua presidenza, si è recato a Kiev e Mosca, per tentare di propiziare un
dialogo tra le due capitali per mettere fine alla guerra. Nessun leader
europeo l’aveva fatto prima di lui. Non l'inglese Johnson, che fu il primo a
precipitarsi a Kiev per dire a Zelensky che doveva stracciare l’accordo appena
fatto con Putin nel negoziato di Ankara, quindici giorni dopo l’inizio della
guerra, non il francese Macron che voleva mandare i soldati europei a dar man
forte sul terreno all’esercito ucraino in via di estinzione, non il tedesco
Scholz che aveva subito seguito Macron nel consentire alla pretesa di
Stoltenberg di togliere i vincoli all’uso delle armi della NATO per colpire in
profondità il territorio russo. Ma nemmeno l’aveva fatto il presidente
Mattarella, che gode della maggior fiducia tra i politici italiani, avendola
avuta due volte dal Parlamento per i suoi due mandati e giungendo nei sondaggi
al 73 per cento dei consensi; eppure sulla guerra è andato più avanti di tutti
dando credito alle più fosche illazioni col dire che la pace deve essere come
l’Ucraina la vuole e che se essa fosse sconfitta ci sarebbe una deriva di
aggressioni ad altri Paesi ai confini con la Russia e di lì si giungerebbe a
“un conflitto generale e devastante” come quello provocato dalla Germania tra
il 1938 e il ’39. L’ha fatto invece ora l’Ungheria, suscitando l’ira funesta
delle burocrazie europee (ma non della NATO), da Charles Michel, alla von der
Leyen, a Borrel, come alla Polonia e alla Lituania; secondo questa, per amor
di pace, a Mosca si dovrebbero portare le manette, non le strette di mano. C’è
una verità però in tutto questo: l’Europa delle armi e della guerra vacilla, e
va in crisi come tutti i giganti armati che hanno i piedi d’argilla; lo sanno
bene gli Stati Uniti dal Vietnam all’Afghanistan, lo sa Netanyahu a cui viene
meno sul più bello del "suo lavoro” il sostegno dell’esercito, ed ora lo sa
l’Europa che per un sassolino lanciato dalla piccola Ungheria entra nel
panico, non sa più che fare, e sconfessa la presidenza stessa dell’Unione.
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