giovedì 30 aprile 2009

APPELLO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI RIGUARDANTE GRAVI ASPETTI DELLA LEGISLAZIONE IN CORSO

Pubblico anche su questo blog l'Appello promosso da Vasti e da Sinistra Cristiana. Per l'aggiornamento delle sottoscrizioni e altre notizie www.sinistracristiana.net .
(Aperto alle firme)

FERMATEVI, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
La dichiarazione universale dei diritti umani, in perfetta concordanza con la Costituzione italiana considera che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali ed inalienabili costituisce il fondamento della libertà, della pace e della giustizia nel mondo.
Questo significa che c’è una sola famiglia umana e che la dignità della persona presuppone che a ciascuno sia riconosciuto un patrimonio di diritti fondamentali, uguali ed inalienabili. Sono questi i fondamenti dell’ordine costituzionale e della civiltà del diritto. Proprio questi fondamenti sono messi in discussione da una serie di provvedimenti legislativi in corso di approvazione alla Camera. Si tratta di misure inserite nel “pacchetto sicurezza” e nel disegno di legge sul “testamento biologico”.
Una campagna ideologica ha messo in competizione la sicurezza con i diritti.
Ciò ha portato all’approvazione di una serie di misure persecutorie e discriminatorie nei confronti dei gruppi sociali più deboli, che nel nostro Paese non si vedevano dai tempi delle leggi razziali. In modo mascherato sono stati riesumati istituti tipici delle leggi razziali, come il divieto dei matrimoni misti ed il registro degli indesiderabili, riservato questa volta, non agli ebrei, ma ai senza casa. Ma soprattutto nei confronti degli immigrati sono state articolate una serie di misure, (reato di clandestinità, divieto di matrimonio, divieto di avere un’abitazione, ostacoli per l’accesso alle cure mediche e per il trasferimento dei fondi alle proprie famiglie) che attentano all’intima dignità inerente a ciascun membro della famiglia umana e sono destinate a fare terra bruciata intorno ad una popolazione di centinaia di migliaia di persone, aprendo una sconcertante caccia all’uomo.
Queste misure persecutorie, per la loro gravità, superano persino quelle introdotte con le leggi razziali. Infatti le leggi razziali non sottraevano alle madri ebree i figli dalle stesse generate. L'Italia del 1938, sebbene piegata dalla dittatura fascista, non avrebbe mai potuto accettare un insulto così grave all'etica della famiglia, quale la scissione del suo nucleo fondamentale. Ed invece questo è proprio quello che succederà, attraverso il divieto imposto alla madri immigrate irregolari di fare dichiarazioni di stato civile.
Non potendo essere riconosciuti, i figli saranno sottratti alle madri che li hanno generati e seguiranno la sorte dei trovatelli: avranno un altro nome e saranno inseriti in una casa famiglia in vista dell'adozione.
Per evitare di essere private dei propri figli, le madri dovranno partorire clandestinamente e far entrare il neonato in un circuito di clandestinità da cui non si può uscire e che lo escluderà dal godimento dei diritti fondamentali previsti dalla Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo. Questa norma si pone al vertice delle misure discriminatorie in corso di approvazione ed ha un grande valore simbolico, in quanto si tratta di una norma "ontologicamente ingiusta", che incarna un diritto completamente svincolato dalla giustizia.
Nella stessa prospettiva si muovono le norme sul testamento biologico, che colpiscono un gruppo sociale composto da persone ancora più deboli degli immigrati, i malati giunti nella fase terminale della propria vita, che saranno calpestati nel profondo della loro dignità, venendo costretti a subire trattamenti obbligatori, non richiesti e non voluti, con effetti di particolare crudeltà.
E ciò quando anche un Papa rigorosissimo come Pio XII affermava che “il medico non dispone rispetto al paziente di un diritto separato e indipendente”, ma “in generale non può operare altro che se il paziente lo autorizza esplicitamente o implicitamente”, e che nel caso in cui egli “interrompa i suoi tentativi” eccedenti il ricorso ai “mezzi ordinari”, “non si ha disposizione diretta della vita del paziente né eutanasia”; insegnamento che Pio XII impartiva anche sul presupposto che una persona caduta in stato di incoscienza irreversibile possa “non essere più un essere umano”, al punto che lo stesso sacramento dell’estrema unzione non potrebbe essere validamente amministrato “a chi ha cessato di essere un uomo” se non “sotto condizione”.
(Pio XII, Discurso sobre tres questiones de moral medica relacionadas con la reanimación, 24 de novembre de 1957).
Ora, se lo Stato impone obblighi insensati e la giustizia viene espulsa dal diritto, cambia la natura del diritto e si verifica un cambiamento del regime politico. In questo modo verrebbe cancellata per sempre la lezione del Novecento e le grandi Carte dei diritti diventerebbero oggetti d’antiquariato.
Questo patrimonio specifico, il diritto dei diritti umani, sviluppatosi nell’Occidente, e dall’Occidente messo a disposizione dell’umanità, verrebbe dilapidato ed affievolito per sempre. Per questo noi chiediamo ai parlamentari: fermatevi, prima che sia troppo tardi.
“Vasti, che cos’è umano?”
Scuola di ricerca e critica delle antropologie
Sinistra cristiana - laici per la giustizia, Servizio politico per la Costituzione, la laicità, la pace

HANNO FIRMATO:
Domenico Gallo, Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli, Daniele Garrone, Adelina Bartolomei, Giovanni Franzoni, Nicola Colasuonno, Nicola Colaianni, Francesco Paternò Castelli, Lino Pasi, Roberto Mancini, Angelo Bertani, Alberto Simoni, Alessandro Baldini, Tonio Dell’Olio, Giovanni Benzoni, Fiammetta Quintabà, Francesco Domenico Capizzi, Mariateresa Cacciari, Franco Ferrara, Giovanni Pecora, Paolo Bertagnolli, Enrico Peyretti, Carlo Paolini, Gruppo Solidarietà Fabio Ragaini, Elvira Iovino, Angela Dogliotti Marasso, Angelo Cifatte, Raffaele Cavalluzzi, Donato Barbone, Giovanna Ricoveri, Sergio Stammati, Giorgio Lombardo, Francesco Di Matteo, Alessandra Chiappini, Francesca Venturini, Enrico Grandi, Gabriella De Blasi, Linda Russo Zangara, Silvana Pisa, Massimo Binci, Clementina Mazzucco, Marianella Sclavi, Nicoletta Pirotta, Francesco Agostini, Giuseppe Campione, Alida Chiavenuto, Franco Pesaresi, Adele Repola Boatto, Patrizia Valli, Giovanni Cresci, Nadia Neri, Renzo Arighi, Carla Busato Barbaglio, Maria Grazia Busato, Felice Bottiglieri, Mario Corinaldesi, Emanuele Chiodini, Ines Bartoletti, Giampiero Antonicelli, Maria Ricciardi Giannoni, Liberacittadinanza – Rete girotondi e movimenti, Carla Parodi, Gianni Castellan, Susanna Messeca, Giulio Girardi, Bruno A. Bellerate, Fausto Valensisi, Aldo Paliaga, Luigi Tribioli, Giovanni Palombarini, Giovanni Cescato, Roberta Parise, Carmine Miccoli, Rosella Cima, Stefano Cruciani, Giovanna Vitale, Augusto Cacopardo, Roberto Oratino, Paolo Rossano, Maria Luisa Proto Pisani, Teresa Lapis, Renato Pucci, Silvina Occhipinti, Teresa Marzocchi, Cristina Giorcelli, Walter Fiocchi, Giancarlo Mandrino, Laura Colombo, Angela Mancuso, Francesco Baicchi, Emilio Robotti, Alessandro Gallazzi, Anna Maria Rizzante, Karis Iole Rizzante Gallazzi, Carla Camilli, Mario Agostinelli, Maria Paola Zunino, Giovanni Bianco, Franco Mella, missionario, Francesca Conforto, Nanni Russo, Pio Russo Krauss, Giovanni Incorvati, Gaetano Farinelli, Giorgio Silvani, Giovanni Panettiere, Manuela Serrentino, Pasquale Colella, Il Tetto, Rosanna Virgili, Maria Parisi, Francesco Abignente, Luca Abignente, Maria Maddalena Rossi Tessari, Eligio Resta, Fausto Gianelli, Fiorella Ferrarini, Luca Iovine, Lorena Ricardi, Elisa Benaim Sarfatti, Giovanni Improta, Rocco Pititto, Anna Sarfatti, Silvia Tosoni, Francesco D’Antonio, Roberta Santoni Rugiu, Vincenzo Antonio Poso, Franco Piragine, Carol Beebe Tarantelli, Pierantonio Montecucco,, Giovanni Bazzini, Claudio Giorgi, Maria Eugenia Masnata, Marcella Barbieri, Roberto Capitani, Francesca Papa, Tiziana Bellinzona , Clemente Bruschi, Biagio Lammoglia, Sambuco Carlo, Emilietta Simonelli, Marilisa Ferraresi, Giorgio Silvani, Angelo Gerli, Gabriella Crosetti, Michele Pesci, Annalisa Risi, Renata Ilari, Ettore Zerbino, Augusta De Piero, Montecucco Pierantonio , Bazzini Giovanni, Giorgi Claudio, Masnata Maria Eugenia, Barbieri Marcella, Capitani Roberto, Papa Francesca, Bellinzona Tiziana, Bruschi Clemente, Lammoglia Biagio, Sambuco Carlo, Simonelli Emilietta , Ferraresi Marilisa, Silvani Giorgio, Gerli Angelo, Crosetti Gabriella, Pesci Michele, Risi Annalisa, Antonietta Monaco, Carlo Ferraris, Giovanna Pasquini, Renata Ilari, Ettore Zerbino, Augusta De Piero, Gabriella Barba, Luigi Gravina, Leoluca Orlando, Maria Cudia, Diego Giliberti, Daniela Fringuelli, Mario Campli, Paola Cotti, Renata Rosso, Carla Casciotta, Franco Borghi, Maria Cristina Bartolomei, Luigi Compiotti, Leonello Mangani, Carlo Bolpin, Roberta De Monticelli, Federico Usai, Franco Codega, Fausta Deshormes La Valle

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Questo appello è stato recapitato al Presidente della Camera Fini con la seguente lettera:


Illustre Presidente,conoscendo la sensibilità da Lei manifestata in materia, indirizziamo a Lei questo appello scaturito dagli studi di “Vasti, che cos’è umano?” (che è una scuola di “ricerca e critica delle antropologie”) e condiviso e proposto da “Sinistra cristiana” (che è un servizio politico “per la Costituzione, la laicità, la pace”). L’appello, riguardante le leggi per la “sicurezza” e per il trasferimento alla sola volontà dei medici del “trattamento” di fine vita, è rivolto a tutti i singoli deputati, a cui La preghiamo di farlo conoscere, anche se non le nascondiamo di nutrire più fiducia nell’Istituzione parlamentare in quanto tale che nella compagine dell’attuale legislatura, nella quale la disparità di seggi e i rapporti di forza tra maggioranza e minoranza sono stati predeterminati per legge, e nella quale è gravemente amputata la rappresentanza popolare sia per le forzature della legge elettorale che per il rifiuto di coalizione del maggiore partito dell’attuale opposizione. Ed è proprio per la nostra fiducia, nonostante tutto, nel Parlamento, che le trasmettiamo queste gravi preoccupazioni per il futuro della nostra stessa vita comune e dell’ordinamento della nostra Repubblica.
Roma, 6 aprile 2009

Per le firme di adesione inviare una e-mail a: vasti@eistours.com oppure a sinistra.cristiana@tiscali.it
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Stato ebraico Hamas e Occidente



Con dolore la Sinistra Cristiana dichiara la propria impotenza, come del resto è di tutti, di fronte alla tragedia della guerra su Gaza.
È giusto fare manifestazioni di protesta, presidi, appelli e cortei, è necessario che i governi esercitino una risoluta pressione su Israele, ma non è possibile fare molto di più. Il problema supera infatti le attuali capacità della politica e forse della stessa cultura dell’Occidente. È il problema del rapporto di Israele con le nazioni, ed è quello dei rapporti delle grandi potenze mondiali, e segnatamente degli Stati Uniti, con i popoli “non allineati” e i soggetti politici non obbedienti.
Perché i palestinesi possano vivere, Israele non perda se stesso, l’Occidente ritrovi la strada e ci sia la pace, tali rapporti devono essere radicalmente cambiati.
Resta però il dovere della verità, la cui efficacia politica, benché ignota ai più, è superiore a quella della propaganda e della menzogna. Tale dovere comporta che niente sia taciuto delle cose che pur nel diluvio delle informazioni restano nascoste. Lo Stato di Israele ha cominciato la sua nuova guerra contro i palestinesi detta “piombo fuso” in giorno di sabato, nella festa delle luci di Hanukkah.
Poiché si trattava di violare il Sabato, il governo e le forze armate israeliane hanno chiesto e ottenuto dai rabbini l’autorizzazione a tale violazione.
Riguarda gli ebrei la questione se i rabbini potessero sospendere in questa occasione l’osservanza della Torah e anche se la motivazione per rompere questo comandamento potesse essere l’urgenza di bombardare la popolazione di Gaza.
Ma riguarda ogni coscienza religiosa e gli stessi principi del diritto moderno il fatto che nella catena delle cause di una guerra che ha preso le forme di un eccidio, ci sia una decisione dei rabbini. Ciò ricorda l’unicità dello Stato di Israele, che è uno Stato ebraico. Esso non vuole essere solo lo Stato degli ebrei, ma uno Stato ebraico inteso, nonostante la lezione della modernità, come il luogo nel quale si realizzi la fede dei padri. Lo Stato di Israele ha tutto il diritto di essere preso sul serio quando si proclama uno Stato ebraico e, anche da posizioni differenti o critiche, deve essere accolto e rispettato come tale.
Ciò significa però che fino a quando gli altri protagonisti della comunità internazionale, a cominciare da quelli del quartetto e dai famosi redattori delle “road maps”, fingeranno di trattare Israele come se fosse uno Stato qualsiasi, nessun problema potrà essere risolto.Ciò soprattutto riguarda due questioni cruciali.
La prima è che per mantenere questo suo carattere, così come oggi viene concepito, lo Stato di Israele non può ammettere una maggioranza non ebraica nei propri confini. Ciò comporta che Israele non possa essere forzato a dare attuazione al diritto al ritorno dei palestinesi espulsi; ma comporta allora che il diritto dei palestinesi della diaspora sia altrimenti e compensativamente adempiuto e che a loro sia tolta la qualità di rifugiati e sia restituita la dignità di cittadini, o come residenti in uno Stato palestinese o come da esso assunti e tutelati.
La creazione di un vero Stato sovrano palestinese toglierebbe pertanto a Israele l’incubo del ritorno di una moltitudine di profughi. Il mantenimento della natura ebraica dello Stato comporta altresì che i diritti della minoranza non ebraica siano protetti dall’ordinamento con particolari cautele, nel rispetto delle condizioni di pari dignità ed eguaglianza.
È evidente tuttavia che ciò sarebbe tanto più difficile quanto più fossero estesi i confini dello Stato, perché in tal caso la natura ebraica dello Stato potrebbe essere preservata solo mediante il ricorso a metodi non democratici.La seconda questione riguarda il rapporto tra Israele e la terra. Se l’ebraicità dello Stato viene interpretata nel senso di un diritto irrinunciabile alla sovranità sulla intera terra detta biblicamente “terra di Israele”, dal mare al Giordano (se non oltre, secondo letture massimaliste del testo sacro) Israele non potrà accettare la soluzione dei due popoli in due Stati, su una terra equamente spartita, e non potrà ritenersi realizzato se non nel possesso degli interi territori.
Questo renderebbe impossibile l’accettazione di Israele da parte dei vicini arabi e dei residenti palestinesi e condannerebbe Israele ad affidare per sempre la propria persistenza e sicurezza alla forza militare e al gioco d’azzardo della guerra.
E anche se storicamente a decidere le contese tra i popoli, come rivendicano i realisti, è sempre stata la forza, non vi è nessuna garanzia che la forza faccia prevalere la soluzione giusta né che i rapporti di forza saranno per sempre favorevoli a Israele e ai suoi alleati, in un mondo in rapida trasformazione.
Il mito di uno Stato di Israele che sopravvive solo grazie alla ragione della forza e alla propria capacità di combattere è pertanto contrario alla ragione e rappresenta il più grande pericolo per Israele. Riguardo ad Hamas occorre denunciare il fatto che con i suoi attacchi plateali e militarmente inoffensivi contro le città israeliane non ha fatto che rafforzare questo mito, dando a Israele l’occasione di scatenare di nuovo la sua potenza militare.
Il movimento islamico non solo si è assunto la responsabilità morale di puntare ancora una volta su una soluzione violenta, alimentando la spirale mimetica della guerra, ma ha compiuto un gravissimo errore politico che ha messo a repentaglio l’intera popolazione palestinese, dopo averla politicamente divisa e averle fatto perdere molte della amicizie che essa aveva nel mondo. Che Israele ne approfittasse era possibile, ma non era affatto legittimo né necessario. Lo Stato non aveva alcun bisogno di essere salvaguardato in questo modo. Che tra i moventi dell’aggressione israeliana vi fosse, come da più parti è stato detto, una opportunità elettorale per i ministri e i partiti attualmente in carica, è un’ipotesi atroce che avrebbe dovuto essere in ogni modo scongiurata ed esclusa.
Occorre dire con estrema fermezza che una democrazia in cui per vincere le elezioni c’è bisogno di un certo numero di morti palestinesi, non solo è una cattiva democrazia, ma non è affatto una democrazia; non le elezioni sono la democrazia, ma i valori e i diritti umani storicamente e costituzionalmente riconosciuti per la cui attuazione si chiede il voto, sono la democrazia. Altrettanto è a dirsi se lo scopo fosse stato quello di un avvertimento ad Obama.Pertanto senza un profondo cambiamento Israele rischia il suicidio, non solo contro la sua stessa esistenza fisica, ma contro la sua tradizione più antica e le sue conquiste moderne sul terreno della civiltà e del diritto. L’ebraismo, di cui è parte così significativa la componente profetica, è in grado di offrire l’esempio di una fede in pace e in dialogo con tutte le religioni e le culture, senza cedere al ruolo di una “religione civile”, secondo il cattivo modello di marca occidentale di un cristianesimo ridotto a figura identitaria e conflittuale al modo di Marcello Pera, di Oriana Fallaci e dell’ex presidente Bush.Il superamento dei fondamentalismi religiosi e delle idolatrie politiche è in effetti un problema di portata generale che mette in questione tutti, e senza dubbio anche le nostre Chiese. Ma insieme sarà più facile uscirne.Su queste tematiche la Sinistra Cristiana propone di aprire una linea di riflessione, di confronto e di dibattito tra le forze politiche, democratiche e di sinistra, le comunità, le scuole di pensiero, gli operatori di pace e i laici per la giustizia. Coordinamento Nazionale Sinistra Cristiana - Laici per la giustizia.
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lunedì 27 aprile 2009

Intervista - Loretta Napoleoni: crisi globale, gli effetti speciali sono finiti

Da “Notizie minime della nonviolenza” del Centro di ricerca per la pace del 27 aprile 2009 riprendiamo questa analisi di Loretta Napoleoni, economista e saggista (autrice di “Economia canaglia”, “I numeri del terrore” e “La morsa”) sulla matrice comune della crisi economica e della crisi politica, in un’intervista a Ida Dominijanni sul “Manifesto”.
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 aprile 2009 col titolo "Crisi globale" e il sommario "Intervista. Loretta Napoleoni: Gli effetti speciali sono finiti. Le radici della crisi dell'economia globale nella reazione di Bush all'11 settembre. Ovvero, come il credito facile e' stato abbinato alla paura per ottenere il consenso alle guerre in Afghanistan e in Iraq. Mentre la finanza islamica ingrassava"] - Ida Dominijanni: La morsa che secondo te sta soffocando l'economia e la democrazia occidentale e' quella fra la paura del terrorismo e la bolla speculativa innescata dalla guerra al terrorismo: in sintesi, Al Quaeda ci ha distratti mentre Wall Street ci derubava. E' un'ipotesi che conquista, mettendo a contatto la nostra esperienza del disastro politico mondiale successivo all'11 settembre con quella del disastro economico attuale. Ma fa luce anche su dinamiche poco esplorate del periodo fra l''89 e il 2001, gli anni ruggenti della globalizzazione. Quali sono i passaggi principali di tutta questa vicenda?- Loretta Napoleoni: Lo snodo cruciale e' la politica economica con cui Bush risponde all'attacco alle Torri gemelle: un abbattimento precipitoso e aggressivo dei tassi d'interesse - dal 6% di fine 2001 all'1,5% della primavera 2003 - che serve a finanziare senza drenaggio fiscale le guerre in Afghanistan e in Iraq e a legittimarle, creando le condizioni per la bolla speculativa e alimentando contemporaneamente una bolla di consenso basata sulla crescita continua. Con la vendita e la cartolarizzazione dei mutui subprime, la bolla finanziaria crescera' a dismisura, fino a esplodere sei mesi fa nella recessione che sappiamo. Dunque le responsabilita' economiche e politiche di Bush sono enormi. Tuttavia questa politica economica non comincia con lui ma con Greenspam, negli anni '90, per garantire agli Stati Uniti la guida del processo di globalizzazione innescato dalla caduta del Muro facilitando la deregulation. Ogni volta che sul mercato globale si prospetta una crisi - la crisi del rublo, del dot.com, dei mercati asiatici, della Turchia, del Messico - Greenspam taglia i tassi e pompa il credito, proteggendo Wall Street, la City di Londra e tutta la finanza occidentale da un'onda che in tal modo la sfiora ma non la travolge. Le crisi restanoregionali, la finanza occidentale ci specula sopra, ma la crisi di sistema non viene scongiurata, viene solo rinviata. Finche' il meccanismo salta: stavolta la crisi e' globale, ed epocale. Chiude l'epoca cominciata nell'89 e culminata nella guerra al terrorismo.*- Ida Dominijanni: Che cosa succede nel frattempo nell'altro campo, quello del terrorismo internazionale? Il tuo libro da' molto rilievo alle dinamiche della finanza islamica. - Loretta Napoleoni: La finanza islamica nasce negli anni '70, dopo la prima crisi del petrolio, ma resta allo stato embrionale fino all'ingresso di Cipro nell'area dell'euro, quando Dubai diventa uno snodo finanziario cruciale fra Est e Ovest. L'impulso decisivo per il grande salto, pero', loriceve anch'essa, per una strana eterogenesi dei fini, dalla guerra americana al terrorismo. Il Patriot Act, la famosa legge antiterrorismo varata dal Congresso all'indomani dell'11 settembre, oltre a limitare pesantemente le liberta' civili conteneva delle norme contro il riciclaggio del danaro sporco, volte a bloccare l'ingresso negli Stati Uniti di soldi di Al Quaeda. Il sistema bancario internazionale reagi' suggerendo ai clienti di disinvestire in dollari e investire in euro. Ma una parte dell'ingente flusso di danaro che usci' dagli Usa era fatto di capitali arabi - 900 miliardi di dollari, prima dell'11 settembre -, che non furono reinvestiti in euro ma rimpatriati nei paesi d'origine, soprattutto in Malesia e a Dubai, dando cosi' impeto alla finanza islamica. Tutto questo e' avvenuto nella piu' completa ignoranza e sottovalutazione da parte degli Stati Uniti, che non solo non ne sapevano nulla prima dell'11 settembre, ma dopo si guardarono bene dal seguire le piste finanziarie per indagare e combattere Al Quaeda.*- Ida Dominijanni: Eppure all'epoca si disse che era la prima pista da seguire, come mai non fu fatto? - Loretta Napoleoni: Perche' quello che importava a Bush non era affatto catturare Osama Bin Laden, ma scatenare la "guerra al terrore" per invadere l'Iraq, dove Al Quaeda non c'era, e mettere in atto a partire dal "Grande Medioriente" il progetto di dominio globale degli Stati Uniti delineato dai neoconservatori. Risultato: il sogno di Bin Laden di dissanguare il capitalismo occidentale si e' realizzato, per merito non suo ma dei governi occidentali.*- Ida Dominijanni: La finanza islamica e' diversa da quella occidentale? In che cosa?- Loretta Napoleoni: Completamente diversa, perche' poggia sul codice etico della Sharia che vieta la speculazione: il danaro non puo' essere usato percreare danaro, il credito viene concesso solo per finanziare delle imprese produttive. E il rapporto fra banca e cliente e' un rapporto solidale, di due soci in affari. Questi due elementi hanno tenuto la finanza islamica fuori dal business dei mutui subprime. Da noi invece si vende il rischio come se fosse un bene, e le banche non hanno piu' nulla di un'istituzione sociale, sono diventate solo aziende a fini di lucro. *- Ida Dominijanni: Tu hai studiato l'economia criminale. Che ruolo hanno avuto le mafie nell'incubazione di questa crisi, e che ruolo possono giocare ora che e' esplosa?- Loretta Napoleoni: Un ruolo enorme in entrambi i casi. Dubai e' cresciuta negli anni '90 anche come paradiso fiscale della mafia russa. Dopo il Patriot Act, la 'ndrangheta si e' avvalsa del trasferimento del business del riciclaggio dagli Stati Uniti all'Europa. E oggi, la crisi e' di sicuro una grande occasione per l'economia criminale, come insegna la storia della mafia americana dopo il '29. Quando non c'e' ne' liquidita' ne' credito, un'economia come quella mafiosa basata sui contanti ha un enorme potere di penetrazione ed e' pronta a soccorrere le imprese che le banche abbandonano. Inoltre, in tempi di crisi il controllo politico si abbassa: non si bada troppo alla provenienza dei soldi, pecunia non olet. Infatti al G20 s'e' parlato dei paradisi fiscali degli evasori, ma non di quelli del crimine organizzato.*- Ida Dominijanni: In “Economia canaglia” hai analizzato il mercato del sesso come ingrediente importante della globalizzazione. C'e' una relazione fra questo mercato e quello dell'economia criminale?- Loretta Napoleoni: Si', strettissima. Dopo l'89 l'industria del sesso in Occidente e' diventata un immenso business a cui partecipano e attraverso cui sono entrate in contatto le mafie europee, quella russa e quella americana.*- Ida Dominijanni: Negli anni passati hai seguito la transizione degli ex paesi dell'Est all'economia di mercato. Come li vedi in questa crisi?- Loretta Napoleoni: E' uno dei punti fragili dell'Europa, ed e' un punto potenzialmente esplosivo anche per le banche europee che hanno investito molto nell'ex Est: un collasso del mercato immobiliare li' avrebbe conseguenze molto negative qui. Per ora la situazione e' sotto controllo perche' l'Europa e' intervenuta, ma il problema e' fino a quando continuera' ad aiutarli, e come. Non vedo alternative al quantitative easing, la creazione di moneta apposita da immettere in questi paesi, anche se per ora la Bce esita di fronte ai rischi di inflazione.*- Ida Dominijanni: Questa crisi penalizzera', com'e' sempre accaduto, piu' le donne che gli uomini?- Loretta Napoleoni: Stavolta pare di no: negli Usa sta producendo disoccupazione piu' maschile che femminile, colpendo un settore prevalentemente maschile come la finanza. E' un dato interessante, un'inversione di tendenza rispetto al passato.*- Ida Dominijanni: Ma se il tracollo di oggi ha avuto un'incubazione lunga come quella che tu descrivi, perche' nessuno ha suonato l'allarme prima? Gli economisti non hanno nessuna responsabilita'? E l'informazione? Abbiamo ballato tutti sul Titanic, sottovalutando quello che si preparava?- Loretta Napoleoni: Va detto intanto che negli anni '90 tutti gli economisti sono finiti a lavorare in finanza, e osservare un fenomeno da dentro e' molto diverso che osservarlo da fuori. Salvo poche voci isolate e inascoltate, ha prevalso una euforia della globalizzazione che ha convinto tutti dell'infallibilita' del modello occidentale. Fatto sta che oggi, di fronte alla crisi del modello infallibile, non abbiamo una teoria economica alternativa! Quanto all'informazione, ha fatto solo da eco alle favole dei politici e degli uomini di finanza. Mi rendo conto che oggi i giornalisti non hanno tempo di approfondire nulla, ma possibile che nessuno guardi a un orizzonte di lungo periodo?*- Ida Dominijanni: In attesa della teoria alternativa, proviamo almeno a ipotizzare qualche rimedio. Come se ne esce? Obama, secondo te, ha preso la strada giusta?- Loretta Napoleoni: Primo rimedio: per uscirne dobbiamo prendere in considerazione tutto, Marx, Keynes, la teoria della decrescita, tutto quello che ci puo' aiutare, senza farci appannare da veli ideologici. Secondo: il consumismo sfrenato e la finanza cosiddetta creativa, che io preferisco chiamare finanza degli effetti speciali, ci ha portato a questo disastro: fermiamoci. Terzo: il protezionismo, che si associa sempre al nazionalismo, al populismo e agli arroccamenti identitari e razzisti, sarebbe un rimedio peggiore del male. Questa e' una delle ragioni per cui nutro dei dubbi sulla strategia anticrisi di Obama, che non mi pare esente dal virus protezionista.*- Ida Dominijanni: E le altre ragioni?- Loretta Napoleoni: Non mi convince una risposta alla recessione che invece di porsi il problema di azzerare il rischio si limita a trasferirlo dal settore privato allo Stato, salvando il sistema bancario: ci vedo un tentativo di ripristinare lo status quo ante, un palliativo che non aggredisce il male alla radice. Per aggredirlo davvero bisogna cambiare piu' radicalmente strada, cominciando a infrangere tre miti: quello del rischio come bene commerciabile, quello del consumo invece della produzione come motore dell'economia, quello degli immobili come generatori automatici di ricchezza. Bisogna rilanciare la produzione riconvertendola. E soprattutto bisogna che noi cittadini ricominciamo a vigilare su quello che politici e banchieri ci raccontano, e su quello che non ci raccontano: la crisi non e' affatto superata e puo' riservarci ancora brutte sorprese. Continua...

domenica 26 aprile 2009

Giorgio Pilastro intervista Raniero La Valle

Giorgio Pilastro: Lei, Raniero La Valle, è uno dei promotori del movimento di “sinistra cristiana”. Da dove nasce l’esigenza di fondare un nuovo soggetto politico?
Nasce dalla disperazione. Il punto di degrado e di pericolo a cui è arrivata la situazione politica italiana, per il comportamento di tutti i protagonisti e di tutti i soggetti che concorrono a formare la società politica, è tale che oscura ogni speranza. Fa vedere solamente un futuro di involuzione e, probabilmente, anche la perdita delle più grandi conquiste del Novecento: la Costituzione, i diritti fondamentali, le libertà politiche, la solidarietà sociale, il diritto al lavoro. Tutto questo è in pericolo in Italia. Non solo è in pericolo, ma è sotto attacco. È, gravemente, sotto attacco. Abbiamo al potere una destra alla quale abbiamo preparato un’autostrada perché potesse andare al potere anche da sola, ed un sistema in cui è difficilissimo si possa creare un’alternativa.


Quando dice “abbiamo”, a chi si riferisce?

Mi riferisco a tutti gli operatori politici che dall’’89 in poi sembra abbiano congiurato per demolire l’edificio della repubblica costituzionale e per creare un sistema, che dicono di tipo anglosassone, bipolare, bipartitico, maggioritario, uninominale e che in realtà è lo strumento per perpetuare il governo della destra. E quando dico i protagonisti intendo Francesco Cossiga, Achille Occhetto, Mariotto Segni, Walter Veltroni, molti ex presidente della Fuci e tutta una serie di operatori che, anche in buona fede, hanno commesso un gravissimo errore di analisi ed un grave errore di cultura politica. Ciò che sta scomparendo in Italia è anche una presenza significativa dei cattolici nell’ordine politico. Non mi interessa affatto che i cattolici, come ceto sociale, come “mondo cattolico”, siano presenti come un soggetto politico proprio, mi rammarica molto, invece, che non sia presente quell’apporto che la tradizione del cattolicesimo democratico e della sinistra cristiana hanno sinora dato a questo Paese, in diversi modi e sotto nomi diversi. Appartengono infatti a questa tradizione uomini e donne come don Sturzo, Aldo Moro, Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Tina Anselmi, anche persone, quindi, che non si sono mai definite di sinistra cristiana. Si tratta, però, di un filone culturale prezioso e di un fecondo tipo di rapporto tra la fede professata e mai abbandonata, e l’impegno politico. Nelle forme di una responsabilità laica nella politica, si è trattato di un filone di pensiero, di azione, di proposta, di apporto alla vita politica del Paese che ritengo sia stato fondamentale. Nell’Italia del Novecento ci ha fatto superare il trauma del fascismo, ci ha permesso di avere una Costituzione democratica, ci ha permesso la pace sociale, nonostante la grave contraddizione tra comunisti ed anticomunisti e tra i due blocchi, che spaccava l’Italia. Tutto questo patrimonio mi sembra sia stato dilapidato.

In questo senso ritiene che il pensiero cristiano (se possiamo definirlo così) ha qualcosa da dire?

Certo che il cristianesimo ha qualcosa da dire. Non tanto in termini sociali quanto in termini antropologici. Cos’è la società? Cos’è lo Stato? Lo Stato moderno si fonda su una antropologia, nasce da una certa concezione dell’uomo. Lo Stato moderno nasce da una antropologia pessimistica. Perché, secondo Hobbes e gli altri fondatori dello Stato moderno, c’è una specie di situazione originaria di lotta di tutti contro tutti (homo homini lupus), per rimediare alla quale si inventa lo Stato, che significa porre la coazione, la violenza in capo ad un solo soggetto, non più i singoli individui, ma il sovrano. Questa è appunto una concezione pessimistica della politica e dello Stato fondata su una precisa antropologia, che fa derivare ogni cosa da una pretesa natura corrotta dell’uomo, e che porta poi inevitabilmente a definire nel nemico il “criterio” del politico, come farà Carl Schmitt. Ma il cristianesimo conosce un’altra antropologia che in nessun punto della storia vede una irrimediabile malvagità dell’uomo e una sua rottura con Dio, un’antropologia che riconosce e onora l’umano, ne rivendica la dignità, ed è stata particolarmente elaborata dal Concilio Vaticano II; da ciò deriva anche una diversa politica.

Una politica aperta all’altro?

La politica è il vivere degli uomini insieme. L’animale politico, come lo definiva Aristotele, non esiste da solo, ma esiste solo perché sta in società. Altrimenti non sarebbe un animale politico. Dice Hannah Arendt: “la politica è l’infra del rapporto tra gli uomini”. Se non c’è l’altro, non c’è politica. Non è che c’è una cattiva politica, non c’è proprio politica. Tutti gli unilateralismi, l’idea di fare da soli, di non vedere gli altri, di tagliare le panchine per non far sedere gli stranieri, tutto quello che è esclusione dell’altro, non solo è una cattiva politica, ma è l’antipolitica. Perché la politica serve ad organizzare la vita degli uomini insieme.

Come valuta l’attuale impegno dei cattolici in politica?

Non esiste. È scomparso. Perché con questa cultura, che ha finito per prevalere e che ha avuto la sua espressione nella nascita del Partito Democratico, una rilevanza delle singole culture e, quindi, anche della cultura cristiana, è scomparsa. Nell’ultimo dibattito che c’è stato tra i parlamentari del Pd dopo le dimissioni di Veltroni, uno dei più autorevoli esponenti del nuovo corso, il senatore Tonini, ha detto che il Pd non è un nuovo partito, ma un partito nuovo perché ritiene ormai stanche e superate le culture novecentesche (le ha definite così, con una punta di disistima), da sostituire con una cultura nuova. Le vecchie culture sono state magari gloriose, ma oggi devono essere dismesse. Bisogna trovare una cultura nuova. Ma una cultura nuova non si trova a tavolino, nasce dal travaglio degli uomini, dalle asperità della storia, dall’evolversi delle dottrine; e se manca, e finché manca, una tale nuova cultura, vuol dire che si pensa ad una politica sostanzialmente priva di cultura. Che è poi la politica della prassi, del pragmatismo, dell’efficientismo, del “fare”, come dice Berlusconi. E’ una politica che non a caso si inventa che tutta la pluralità delle idee, degli interessi, dei bisogni, delle proposte, dei desideri, dei sogni degli esseri umani si possa forzatamente racchiudere in due soli schieramenti l’un contro l’altro armato, che è quanto di meno culturale si possa dare. In questa situazione per i cristiani non c’è più spazio. I cattolici o sono dentro la destra, dove fanno solo da supporto alle politiche più forsennate di questo schieramento (comprese quelle della Lega che aprono per i cristiani delle contraddizioni sconvolgenti), oppure sono scomparsi nell’amalgama di un centro sinistra senza sinistra.

L’impegno politico dei cristiani può essere davvero declinato sia nella cultura di destra che in quella di sinistra?

Se io dicessi che i cristiani possono esser solo di sinistra, questa affermazione sarebbe immediatamente e giustamente identificata come integralismo, come fondamentalismo. E’ chiaro che una affermazione del genere non si può fare. Bisogna però anche vedere a quale destra si fa riferimento. Se c’è una destra razzista, io credo che sia incompatibile con qualunque lettura del messaggio cristiano. Se c’è una destra militarista, guerrafondaia, imperialista, aggressiva, io penso che sia incompatibile con il cristianesimo. Ci sono alcuni principi supremi che fanno parte in modo irrevocabile della identità cristiana: la pace, l’unità della famiglia umana, l’accoglienza dell’altro e dello straniero, il privilegio riservato ai poveri, agli ultimi, agli esclusi. Questo perché il cristianesimo, secondo la fede, deriva da un evento divino che propone un Dio da imitare, il quale appunto si comporta così. Da un punto di vista sociologico si può dire quello che si vuole del cristianesimo, e infatti gli “atei devoti” lo dicono. Ma se parliamo secondo la fede, l’evento fondatore è quello di un Dio che si è fatto uomo, ha assunto la natura di un servo, e ha bruciato ogni vecchia separazione sacrale tra il divino e l’umano. E perciò ha assunto laicamente e “profanamente” la storia. E’ entrato nella storia con mani di uomo, con parole di uomo, con azioni di uomo e, soprattutto, assumendo la natura umana non dalla parte dei potenti, dei signori, ma dalla parte del servo, dello schiavo, dello straniero, di quelli che nella cultura del tempo erano non-uomini o mezzi uomini. Sarebbe, allora, ben strano che un cristiano avesse un atteggiamento di rifiuto nei confronti del servo, lo volesse mantenere nella sua condizione di schiavitù, non cercasse di liberarlo e così non facesse nei confronti dello straniero, del profugo, del bambino, della donna, dell’escluso. Se questo si chiama di destra o di sinistra non lo so. Per me il cristianesimo è questo.

Lei ha descritto una situazione estremamente critica della situazione politica italiana. La chiesa ha avuto un ruolo in questo degrado?

La chiesa non ha impedito questa deriva. Non è stata una sponda, non ha confermato nella fede quelli che cercavano di impedire questa deriva.

Sembra molto “presente” nelle vicende politiche, almeno quelle italiane.

Questo dipende anche dalla crisi di cui parlavamo prima. Si è aperto un vuoto nella politica italiana. La Democrazia Cristiana era un partito abbastanza clericale, nonostante la sua fisionomia di partito laico ed aconfessionale. La Dc ha sbagliato molto nella gestione del governo del Paese, però in qualche modo rappresentava uno snodo tra la politica e la Chiesa e, quindi, permetteva anche a quest’ultima di non essere presente in modo così immediato ed invadente, come è stato dopo. E invece anche allora quando la Chiesa è stata presente in modo immediato, nonostante la Dc, come nel referendum sul divorzio, è stato un disastro.

Nostalgia della Dc?

No, non ho nostalgia della Dc. È una vita che abbiamo combattuto contro la Dc. Ma perché? Perché pretendeva, ed a questo veniva deputata dalla Chiesa, di essere un partito che realizzasse l’unità politica dei cattolici. Non era solo un partito di ispirazione cristiana, ma un partito che bisognava votare se si era fedeli discepoli della Chiesa. Per questo ho detto che, nonostante la sua definizione laica, era un partito clericale, perché era di fatto uno strumento della Chiesa: per lo meno nella misura in cui la Chiesa garantiva un certo bacino elettorale e chiedeva in cambio qualcosa. Ora, nel vuoto che si è creato, la Chiesa trova spazi sconfinati nei quali inserirsi. Qualche volta, salva la laicità dello Stato, l’ingerenza è buona, come quando grida (gridava) contro la guerra; altre volte è negativa.

In Italia manca una coesione sociale. Non è solo un giudizio che recentemente ha espresso Vito Mancuso, ma anche Dossetti, negli anni ottanta, segnalava che era necessaria una “colla” che unisse la società italiana. Anche sul vostro manifesto si riporta la necessità di creare un collante. Intendete dire che il cristianesimo può svolgere questo ruolo?

No questo non è esatto, perché attribuire una funzione di questo tipo alla fede vuol dire immaginare una religione civile, una funzione politica dalla fede in senso proprio, che non è per niente corrispondente al vangelo. Il vangelo semmai serve a mettere un fermento, ad aprire una contraddizione. Gesù dice: sono venuto a portare non la pace sulla terra, ma la contraddizione. Il vangelo non è qualcosa che assimila, che rappacifica, che uniforma. Questo è un problema politico e culturale degli Stati. Pensare che degli Stati moderni, che non riescono a trovare una loro identità e una missione comune, la debbano chiedere in prestito alle Chiese, è un errore gravissimo. Le Chiese non hanno questa funzione. Esse devono mettere in crisi le coscienze e gli ordinamenti, altrimenti diventano veramente dei fattori di alienazione. Noi non abbiamo mai detto questo. Abbiamo sostenuto che il tarlo cristiano, il rovello cristiano, ed una sinistra che lo porti dentro l’ordinamento politico, sono necessari proprio per rompere le politiche di pura conservazione e difesa del potere.

Vi definite un movimento. Diventerete un partito?

Per il momento abbiamo cercato di far emergere questa esigenza e anche di offrirle una piattaforma culturalmente adeguata, che non fosse facilmente confutabile. Che poi un movimento si insedi nel territorio dipende da molti fattori. Oggi, purtroppo, è molto difficile, perché c’è una caduta generale di interesse e di generosità politica nel Paese.

Secondo lei quello attuale è il tempo del buonismo, degli accordi oppure quello delle scelte radicali e precise anche se conducono allo scontro?

I punti di riferimento comuni vanno cercati. La famiglia umana è una sola e quindi qualunque divisione artificiale e violenta della famiglia umana è una cosa che dobbiamo cercare di correggere. L’obiettivo è la pace, la pace sociale, la pace internazionale tra gli uomini, la collaborazione tra le classi. Questa è la visione cristiana. Però supporre che armonia ed equità esistano, quando invece non esistono, e che non si debba passare attraverso le prove difficili e dolorose del confronto, del conflitto, della contraddizione, questo vorrebbe dire negare la politica. La cosa grave è dissimulare le differenze ed i contrasti per far finta che esista una unanimità che non c’è. Non ci può essere una unanimità sulle politiche che vengono condotte oggi. Non si può essere per una difesa dei privilegi esistenti, non si può essere per la guerra di civiltà, non si può essere per l’esclusione degli stranieri e non si può essere per la reintroduzione di norme razziali nella legislazione italiana, cosa che sta avvenendo. Recentemente nel decreto di sicurezza è stato inserito il progetto di un registro dei senza casa, come una volta c’era il registro degli ebrei. Allora è chiaro che di fronte a queste cose non ci può che essere un contrasto ed una lotta.

Il progetto del Partito Democratico è fallito solo per i contrasti interni?

No, assolutamente. Quando un progetto fallisce si cercano sempre dei capri espiatori, che non sono quasi mai la causa del male. In questo caso non sono le sinistre, non è Di Pietro, non sono i contrasti interni. E’ fallito perché è sbagliato il progetto. È sbagliato immaginarsi che l’Italia con la ricchezza del suo pluralismo ideologico e politico possa essere ridotta a questo fantoccio formato da due sole parti, una destra ed una sinistra, dove chissà perché la verità, il bene, la giustizia stiano necessariamente solo o da una parte o dall’altra.

La responsabilità è dell’attuale sistema elettorale?

Le leggi elettorali hanno spinto enormemente in questa direzione. Hanno creato un mutamento di carattere istituzionale, in modo anche abusivo. Le leggi elettorali non dovrebbero cambiare surretiziamente la Costituzione. La nostra Costituzione non statuisce il metodo proporzionale unicamente perché nell’ordinamento disegnato era scontato che quello fosse il sistema elettorale.

E’ stata forzata una unione tra il mondo laico socialista e quello cattolico che ha oggettive difficoltà a convivere assieme ?

No, non è quello. Certo che se lo si fa perché si è obbligati da una legge elettorale non è una cosa sana. Se lo si fa perché c’è un vero processo culturale, di rapporto, di integrazione è un’altra cosa.

Questo è mancato?

Questo è certamente mancato.

E’ ottimista sul futuro del vostro movimento?

Tutto sta a vedere se c’è ancora gente di sinistra e gente cristiana.

Ci sono?

Si, sì. Ci sono.

Come mai, allora, sono così poco visibili?

Da un lato c’è un certa reticenza di questo tipo di cristiani a manifestarsi in politica come cristiani. Questo perché abbiamo l’eredità di una situazione in cui, per reagire a tutte le forme di clericalismo politico ed anche all’esperienza dell’unità politica dei cattolici nella Dc, si è formata una cultura per la quale i cristiani dovevano esserci in politica senza, però, agire “come” cristiani. Si è trattato di una cultura anche molto elaborata, come quella di Jacques Maritain, che ha influenzato moltissimo i cattolici italiani nell’immediato dopoguerra; essa diceva che c’erano delle cose che si dovevano fare come cristiani, e queste riguarderebbero la spiritualità e la religione, e delle cose che bisognava fare come cittadini, e queste erano le cose che riguardavano la politica. Questo portava ad una divaricazione nell’essere, ad una separazione innaturale. Perché, in realtà, non si agisce come cristiani o come cittadini. Nello stesso momento in cui si agisce lo si fa per quello che si è e che si spera. Questa cultura ha molto influenzato il modo di pensare politico dei cristiani e, quindi, se si fa un appello ai cristiani perché siano presenti nella politica facendo valere la loro ispirazione, la prima reazione è allergica, è come se si rompesse un tabù, come se si negasse una impossibilità.

I cattolici hanno anche l’eredità di una visione negativa della politica, qualcosa da cui è preferibile restare fuori.

Esatto. Nella storia cattolica c’è anche stato il non expedit. Ma questa è una cosa, per fortuna, superata. C’è, invece, proprio questa idea per cui la laicità consisterebbe nel non dichiararsi credenti. Non dichiararsi cristiani, nel senso di non far valere come cristiani i valori in cui si crede, ma farli passare semplicemente come valori umani. E questa è anche una cosa che in questo momento sta fomentando la Chiesa. Siccome sul piano della trasmissione della fede incontra ostacoli sempre maggiori, si rifugia nell’idea che basti annunciare la legge naturale, e poiché la legge naturale riguarda tutti gli uomini e la Chiesa ne sarebbe la vera interprete, ecco che di nuovo riuscirebbe ad avere un’influenza su tutti gli uomini. Questa idea impoverisce, invece, la specificità del messaggio cristiano. Tutto questo concorre a rendere difficile la risposta ad un appello e ad una convocazione dei cristiani come tali nella politica. L’operazione che noi abbiamo cercato di fare con quel manifesto, con quell’appello di cui abbiamo parlato, è stata di eliminare questo impedimento. Restituire la piena legittimità teologica, culturale, politica e laica dell’essere cristiani, anche facendo politica.

La realtà di questi giorni evidenzia l’estrema difficoltà di un rapporto tra il mondo laico e quello cattolico.

Io penso che con un tipo di presenza come quella che auspichiamo, questa contraddizione non ci sarebbe. La presenza cristiana che noi auspichiamo non è clericale, non impone alcunché, non si appella a principi non negoziabili da imporre d’autorità. Con questo tipo di presenza cristiana, fatti salvi naturalmente i possibili dissensi o le diversità, non ci dovrebbe essere nessuna impossibilità di convivenza. E ciò all’interno dello statuto della laicità; e, ripeto, la laicità non vuol dire non-fede, non-religione, e neanche non-preti. La laicità è qualcosa di positivo: vuol dire prendersi cura del mondo come cristiani.

Il vostro obiettivo è quello di realizzare ciò che non è riuscito al Pd?

Il Pd ha fatto una operazione artificiale. Non si può mettere insieme la cultura cattolica e la cultura ex comunista semplicemente per un atto volontaristico. E’ un processo. Mi ricordo che, quando ho iniziato il mio impegno politico, il rapporto tra il marxismo ed il cristianesimo era oggetto di approfondimenti teorici profondissimi. Addirittura la Chiesa stessa convocava convegni di dialogo ateo-cristiano, con gli stessi comunisti dell’Est. Anche noi facevamo dibattiti sul rapporto tra fede e politica, tra cristianesimo e marxismo. Era un processo che ha dato grandi risultati, perché poi è stata possibile anche una collaborazione politica, come è avvenuto per noi della Sinistra Indipendente. Ma è un processo culturale, conoscitivo. Non un’operazione di vertice che si decide a tavolino.

Giustizia, pace, solidarietà, accoglienza sono valori sia della sinistra che del mondo cristiano. Quali sono le visioni che rendono difficile questo dialogo?

Le visioni della vita sono diverse, le antropologie sono diverse, le tradizioni sono diverse…

Incompatibili?

Incompatibili assolutamente no. Non solo la società democratica è pluralista, ma il mondo è plurale. C’è stata la torre di Babele: una grande benedizione di Dio. L’aver moltiplicato le lingue, le teologie, moltiplicato i modi di approccio degli uomini alle cose ed anche lo stesso rapporto con il divino, è stato un grande dono di Dio, almeno per come lo racconta la Bibbia.

Spesso, però, della torre di Babele si ha una visione negativa.

La torre di Babele si conclude nella Pentecoste. Più positiva di così!

Lei afferma che se non si può cambiare subito il mondo, si può intanto cambiare il modo di stare al mondo.

Certo. Non si può aspettare un mondo cambiato per cambiare noi. Sarebbe un alibi per non cambiare mai. Bisogna cambiare noi per cambiare il mondo. Altrimenti si sposerebbero delle tesi di tipo messianico o apocalittico: si aspetta che accada qualcosa, una salvezza che viene dal di fuori.

Non fa, però, un po’ parte della cultura cattolica?

Quella sarebbe l’alienazione di cui si veniva accusati. Rimandare tutto ad un futuro ultraterreno. Sarebbe il fiore che abbellisce la catena di cui parlava Marx. Io credo che questa visione sia estranea alla religione dell’incarnazione. È una lettura indebita del cristianesimo. La stessa ecclesia è una convocazione nella storia nel mondo.

Qual è la sua opinione sull’esperienza della teologia della liberazione?

La teologia della liberazione è stata un grande tentativo di tradurre il cristianesimo nell’impegno sociale e storico.

Ne parla al passato?

Ne parlo nel senso dell’isolamento. E’ stata isolata e circoscritta nell’America Latina e non è riuscita a superare quegli ambiti. In Europa sarebbe stata declinata in modo diverso. Abbiamo avuto dei tentativi, mi riferisco a Moltmann, a Metz, a Chenu. Storicamente, però, si deve dire che la teologia della liberazione è stata in qualche modo intercettata e fermata sul confine dell’America Latina.

Il processo che ha innescato: l’impegno politico diretto, la partecipazione, l’attenzione concreta ai problemi dei diseredati, ha lasciato un segno in quei popoli?

L’America Latina è cambiata. Molti regimi militari sono caduti. In molti Paesi c’è una democrazia avanzata. Questi processi democratici, la fine della repressione e della guerriglia in Salvador, i presidenti di sinistra che ci sono in diversi Paesi, lo stesso Lula in Brasile, mostrano un grande cambiamento. Non voglio attribuire alla teologia della liberazione questi cambiamenti, però quel grande movimento di cristiani che leggevano il vangelo, che riscoprivano le Scritture, che interpretavano la fede come un fatto di liberazione, che avevano scoperto il privilegio dei poveri, credo che abbia influito anche nei mutamenti politici. Le cose vengono seminate, ma poi non si sa per quali strade fruttano. Nella stessa America Latina, c’è stata, però, una critica nei confronti della teologia della liberazione. Alcuni dei suoi fondatori, tra cui Boff, hanno avuto la sensazione di essere andati un po’ troppo avanti - lo dico tra virgolette – nella “mondanizzazione” del cristianesimo. Questo fa parte della normale riflessione.

Lei ha seguito il Vaticano II come direttore dell’Avvenire d’Italia. Recentemente ha dichiarato che la questione sollevata dalla riabilitazione dei vescovi lefebvriani ha in qualche modo riaperto il Concilio. Lo scopriamo nel momento in cui lo si vuole oscurare. Significa che il post concilio è stato caratterizzato da un lento processo di allontanamento dal Concilio stesso?

C’è stata una ricezione contrastata ed a volte tiepida. Una dialettica che ha attraversato un po’ tutta la Chiesa, che ha riguardato tutti i vescovi. Quello che è accaduto è che fino a ieri, comunque venisse interpretato, il Vaticano II non era messo in discussione. C’era un specie di unanimismo – forse di facciata – secondo cui il Concilio andava bene. Si trattava di come lo si interpretasse. Questa linea era stata espressa da Benedetto XVI, che aveva introdotto una contrapposizione molto radicale tra una interpretazione del Concilio come rottura, come discontinuità, ed una interpretazione come continuità. Ci sarebbero state due ermeneutiche del tutto contrapposte, di cui naturalmente una sola era quella giusta. Questa convenzione si rompe nel momento in cui i lefebvriani rientrano nella comunione della Chiesa. Essi non danno una interpretazione conservatrice del Concilio, lo rifiutano. Ritengono che il Concilio sia stato un abbandono da parte della Chiesa romana della vera fede, della vera dottrina. E non rientrano nella Chiesa pentendosi o abbandonando la loro posizione anticonciliare, ma vi rientrano proclamando il proposito di lottare nella Chiesa per il ripudio del Concilio. La missione che essi si attribuiscono nella Chiesa in cui sono tornati è di liberare la Chiesa stessa dall’errore del Vaticano II. Dal momento che i lefebvriani sono stati riammessi nella Chiesa dal papa, questo vuol dire riaprire il Concilio. Vuol dire introdurre nella Chiesa un elevato tasso di relativismo. Perché se si può essere vescovi e stare nella Chiesa sia rifiutando il Vaticano II sia approvandolo, non so cosa ci possa essere di più relativo. Questo vuol dire che il problema del Vaticano II è oggi posto apertamente e palesemente davanti alla Chiesa come un problema, e non più come una eredità incontestata, sia pure da interpretare in un certo modo.

Non ne parla in termini negativi?

Penso sia una cosa positiva perché è meglio un conflitto aperto, che una liquidazione nascosta. Solo che allora, di fronte alla proposizione del Concilio come problema, la parola la devono prendere tutti. Non solamente il papa, non solo i vescovi, non solamente i credenti, i cristiani, ma anche gli altri. Tutti coloro che sono stati coinvolti nel Concilio: gli ebrei, i musulmani, le Chiese separate. Se il Concilio si riapre, vanno coinvolti tutti.

Si va, dunque, verso il Vaticano III?

Non è che si vada al Vaticano III, qui è in discussione il Vaticano II. Con una conseguenza di grande rilievo. Se si riapre la questione, il Concilio va anche riletto, per capire il motivo per cui è stato rifiutato da una parte della Chiesa. Se si rilegge il Vaticano II si scoprono delle cose di straordinaria importanza e valore. Per esempio si ridimensiona molto quella idea, che pure è stata avanzata dagli stessi fautori del Concilio, per cui sarebbe stato solamente un Concilio pastorale e non avrebbe cambiato nulla nella comprensione della fede, nella teologia e nella dottrina. Questo non è vero anche se c’è stata un specie di interpretazione condivisa, secondo cui il Vaticano II non sarebbe stato rilevante sul piano dottrinale, perché non ha fatto anatemi, non ha espresso dogmi, non ha condannato dottrine. Avrebbe avuto solo la funzione di rendere più fruibile il messaggio cristiano al popolo, all’uomo moderno.

Questa è una lettura quasi unanime. Perché ritiene sia stato anche un concilio dottrinale?

Se si va a rileggere il Concilio si vede precisamente che nella comprensione della fede, il Concilio ha innovato molto profondamente ed è la ragione per cui ha restituito una fede ed un cristianesimo più gioioso, liberante e salvifico. La cosa interessante, però, è che il Vaticano II ha fatto questa operazione senza cambiare le dottrine, ma raccontando la storia della salvezza. Con un procedimento di straordinaria importanza, che appartiene alla tradizione della Chiesa. I padri della Chiesa hanno raccontato la historia salutis. La teologia che facevano i Padri della chiesa orientali ed occidentali era raccontare la storia della salvezza, il piano di Dio. Ed attraverso quel racconto scaturiva la comprensione della fede. Il Concilio ha fatto la stessa cosa. Ha raccontato il piano di Dio. Se si vanno a vedere i grandi documenti del Concilio, la Lumen gentium, la Sacrosanctum concilium, la Gaudium et spes, la Ad gentes, ecc. essi cominciano con dei capitoli dedicati alla ricostruzione del piano di Dio per l’uomo: cioè la storia della salvezza. E la sorpresa lietissima è che questa storia viene raccontata in un modo, in certi punti, sensibilmente diverso da come l’abbiamo sentita in passato. Non c’è niente di strano, anche nella logica laica gli eventi sono gli stessi, ma vengono letti in modi diversi. Così è accaduto per la storia della salvezza.

Per esempio?

Ad esempio la lettura non tragica della storia del peccato originale. La sua interpretazione era stata alla base del pessimismo antropologico, che nasceva dall’idea di una natura umana irrimediabilmente decaduta, ferita, privata dei doni prenaturali, quasi destinata al male ed al peccato. Questa lettura non c’è nel Vaticano II. C’è ovviamente il peccato, c’è la caduta. Ma non c’è la conseguenza che da questo peccato ci sarebbe stata una rottura tra Dio e l’uomo e questo sarebbe stato cacciato dal giardino dell’Eden. Nel Concilio questo storia della cacciata non esiste. Anzi, si dice il contrario. Nella Lumen gentium, al numero 2, si afferma che Dio amò gli uomini fin dal principio e, caduti in Adamo, non li abbandonò (non dereliquit eos), ma continuò ad offrire loro gli strumenti della salvezza in vista di Cristo. Non si è mai interrotto questo rapporto di amore e di alleanza tra Dio e l’uomo e non c’è ragione, quindi, di avere un’antropologia dell’uomo così pessimistica, quasi fosse una pena del peccato il lavoro, il sudore della fronte, il rapporto sessuale, il potere stesso. Noi abbiamo una dottrina politica che nasce da questa visione pessimistica. Rovesciare questa visione è quello che ha permesso alla Chiesa di aprire le braccia a tutti. Non è facile irenismo, ma è riconoscere che l’operazione di Dio nell’umanità è così: continua e tenace. Che i tesori di grazia, i semi del Verbo non sono presenti solo all’interno dei confini della Chiesa cattolica romana, della Chiesa visibile, ma sono presenti anche nelle altre Chiese, anche nelle altre religioni e nelle altre culture. Quando il Concilio scrive il documento Nostra Aetate e parla degli ebrei, dei musulmani, degli indù, perfino dei non credenti, non fa un atto politico di apertura, di dialogo, ma un atto teologico. Prima del Concilio non si sarebbe potuto fare, perché è cambiata l’interpretazione, la lettura della fede. In questo senso questo Concilio non finirà mai perché la fede non potrà essere ricacciata indietro. Può non attuarsi la collegialità episcopale, si può ritornare alla messa in latino, si possono fare tante operazioni restrittive, ma su questa visione liberante della fede, ed ancora prima della grazia, non si può tornare indietro. Tanto è vero che la stessa Commissione teologica internazionale con la firma del papa Benedetto ha dovuto abbandonare la vecchia dottrina dei bambini che non si salvano se morti senza il battesimo. Come mai? Perché c’è stato il Concilio che ha capito come l’amore di Dio, che vuole che tutti gli uomini siano salvi, prevale, come verità “gerarchicamente” superiore e decisiva, sul pur importante richiamo neotestamentario alla necessità del battesimo con l’acqua per l’ingresso nella comunità salvifica. Per questo non c’è più bisogno di inventare il limbo.

Qual è, secondo lei, il futuro della Chiesa?

Non è una previsione che si può fare solo in termini umani. La Chiesa è una realtà complessa, teandrica. Con i soli strumenti dell’analisi sociologica, politica, anche disciplinare e teologica non si può dire quale sarà il futuro della Chiesa. Per fede dobbiamo ritenere che camminerà sino al compimento finale. Se avrà dei periodi peggiori rispetto al secondo millennio o se avrà dei periodi di grande sviluppo e crescita, non lo si può sapere. Questo è un momento di crisi durissima. Discutere intorno ad un Concilio non è una cosa da nulla. Benedetto XVI dice che non è affatto strano. Dopo tutti i Concili c’è stato un trambusto del genere. Dopo il Concilio di Nicea, ha raccontato il papa, San Basilio diceva che era come se ci fosse una battaglia navale notturna, nella quale tutti sparavano contro tutti. Nessuna meraviglia, quindi. Speriamo solo che vada a finire come a Nicea, e che si affermi la fede del Vaticano II.

(INTERVISTA RACCOLTA DA GIORGIO PILASTRO PER UN LIBRO DI INTERVISTE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE)
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sabato 25 aprile 2009

Il 25 aprile dal sito dell'ANPI

Migliaia di manifestazioni in tutta Italia per il 25 Aprile, 64° anniversario della liberazione. Assemblee antifasciste in tutte le scuole. Immenso corteo di popolo a Milano.
25 Aprile 2000 - 25 aprile 2009. Il nostro sito compie 9 anni. La galleria delle donne e degli uomini della Resistenza, a cura di Fernando Strambaci, taglia il traguardo delle 2.000 schede biografiche: è la più ampia esistente in rete.
Un eccezionale filmato inedito: la grandiosa sfilata partigiana a Milano il 9 maggio 1965, nel 20° anniversario della liberazione. 25 aprile 2009. Auguri a Tino Casali, che compie 89 anni.
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25 Aprile. Non è festa di tutti, ma della vittoria sul nazifascismo

Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc-Se
L’Idea che il 25 aprile sia la festa di tutti è una mistificazione. Il 25 aprile è la festa della liberazione, la liberazione d’Italia dall’occupazione e dall’oppressione nazifascista, e della nascita della democrazia. E’ quindi la festa della vittoria dell’antifascismo sul totalitarismo: la vittoria di quell’insieme di forze e di cittadinanza grazie a cui abbiamo oggi nel paese la libertà e la democrazia. Quella del 25 aprile non è dunque la festa di chi non si proclama antifascista.
Ufficio stampa Prc-Se Continua...

LETTERA APERTA AGLI AMICI DELLA SINISTRA CRISTIANA


Agli amici della Sinistra Cristiana

Roma, Festa della Liberazione 2009


.Cari Amici,
due scadenze ormai vicine possono imprimere un corso precipitoso alla caduta della democrazia italiana verso forme sempre più restrittive ed oligarchiche del potere politico: le elezioni europee, in cui per lo sbarramento del 4 per cento deciso di comune accordo tra i due maggiori partiti, rischia di ripetersi l’amputazione della rappresentanza e la esclusione della sinistra, già verificatesi nelle elezioni nazionali; e il referendum del 21 giugno che, col premio di maggioranza elargito al partito vincente anziché alla coalizione, mira alla cancellazione dal Parlamento e dal Paese di tutti i partiti ad eccezione di due.

Per questo a me pare che l’interesse supremo delle prossime elezioni europee, al di là delle posizioni particolari di ciascuno, sia di salvare il pluralismo, e perciò che, oltre ai due partiti unici, altre liste riescano a superare la soglia del 4 per cento.

Ciò servirebbe anche a mantenere in vita la cultura della diversità e delle alleanze per quando si dovrà tornare a decidere col voto sul governo del Paese.

Mi è stata offerta la candidatura nella Circoscrizione Centro Italia (che comprende Roma, Lazio, Umbria, Toscana e Marche) dalla lista Rifondazione-Comunisti italiani-Socialismo 2000-Consumatori uniti, e per le ragioni suddette ho ritenuto mio dovere accettare.

Naturalmente a titolo personale, senza impegnare alcun altro, anche se le motivazioni e gli ideali sono quelli che ci accomunano essendoci incontrati nel progetto di dar vita a un servizio politico di Sinistra Cristiana-Laici per la giustizia, che resta sempre valido.

L’esigenza di superare la soglia del 4 per cento è particolarmente pressante per la sinistra divenuta – suo malgrado – extraparlamentare.

Certo sarebbe un bene che ambedue le liste di sinistra superassero la soglia di sbarramento; tuttavia quella che ha sollecitato la mia candidatura sembra maggiormente in grado di riuscirci, rendendo così efficaci i voti conferitile, sia per il suo insediamento nel Paese, anche per non aver abiurato le culture di provenienza, sia perché viene da una ricomposizione (Rifondazione e comunisti italiani) e non da una scissione.

In Europa si deve lavorare per un’uscita dalla crisi in positivo, che faccia dell’Europa una sola cosa con un mondo riconciliato e proteso alla giustizia.

Questa Europa, nuova ed unita, ha bisogno non solo del pragmatismo del fare, ma dei valori delle culture che l’hanno animata, da quella innovatrice dell’illuminismo a quella delle confessioni cristiane, del comunismo e del movimento operaio internazionale. Non la loro rimozione siccome “obsolete”, ma la loro fecondità può generare una cultura e una politica nuove, proporzionate alle sfide inaudite che l’umanità oggi deve affrontare.

Vi scrivo questa lettera perché tutto sia chiaro, anche in ordine a questa mia scelta.

Nessuno, avendo aderito all’appello per la Sinistra Cristiana, è pertanto coinvolto in essa.

Ma se qualcuno vorrà e potrà dare una mano a questa impresa, il suo apporto sarà molto gradito e apprezzato.
Con i più cordiali saluti
Raniero La Valle
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