venerdì 29 dicembre 2017

I MIEI 70 ANNI CON LA COSTITUZIONE

Un discorso per la celebrazione del 70° anniversario della Carta. Le tre stagioni costituenti: il progetto e le speranze delle origini, il rilancio del ’76 finito nel sangue, la nuova risposta da dare al fallimento dell’economia mondiale
Raniero La Valle
Discorso tenuto alla Biblioteca del Senato il 27 dicembre 2017 per la celebrazione del 70° anniversario della firma della Costituzione promossa dal Coordinamento per la democrazia costituzionale
La Costituzione ed io siamo cresciuti insieme. Siamo fratelli, se non proprio coetanei. Lei è un po’ più giovane di me, perché quando è nata io avevo 16 anni; non molti, ma abbastanza per aver conosciuto, pur da bambino, il fascismo, il re, il duce, la guerra, le bombe in via Nomentana, i rastrellamenti tedeschi a Porta Pia, la fame e la liberazione. Tutto questo mi aveva fatto diventare adulto prima del tempo, sicché quando la Costituzione nacque stavo già all’università, studiavo diritto, e potevo capire cos’era. Però non sapevo nulla di Dossetti, di Fanfani, di Moro, di Lelio Basso, di Nenni, di Togliatti che sarebbero poi stati così importanti per la mia vita. In ogni caso avevo vissuto abbastanza per rendermi conto, e non per sentito dire, quale cambiamento essa rappresentasse, non solo rispetto alla mia vita precedente, ma rispetto a tutta la storia da cui venivamo. Per chi aveva vissuto, anche di sfuggita, il fascismo, la Costituzione si presentava come una novità, come la notizia che un altro tipo di regime, di Stato, un’altra politica erano possibili. Solo più tardi, tuttavia, mi resi conto che la Costituzione non rappresentava solo una novità, ma un’alternativa. E potei capire il significato più profondo dell’affermazione di Moro, che la Costituzione doveva essere non afascista, ma antifascista; essa non era infatti solo una regola del gioco, per qualunque gioco, ma doveva essere la scelta di una strada invece di un’altra, che non era solo la scelta tra due ordinamenti politici, ma tra due visioni dell’uomo e del mondo.
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venerdì 15 dicembre 2017

PER IL TEMPO CHE VIENE UN NUOVO “NOMOS DELLA TERRA”

La relazione introduttiva all’assemblea di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri: “In quale tempo accade il ma del tempo sperato”. Quattro soglie oltre le quali c’è la morte o la vita: la guerra privatizzata, l’esodo dei migranti, la de-creazione della terra, l’uscita dalla cristianità
di Raniero La Valle
1 . Noi non abbiamo promosso questa assemblea solo perché volevamo dare continuità e futuro a questa nostra meravigliosa aggregazione che abbiamo chiamato “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”. Al contrario l’abbiamo convocata perché volevamo riconoscere una discontinuità. Sentiamo e vediamo infatti che un grande mutamento è in corso.
Come molti ormai hanno detto, noi non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma aun cambiamento d’epoca. Ebbene, noi siamo qui per capire e prenderci la responsabilità di stare in mezzo a due epoche: il che vuol dire che stiamo tra una fine e un principio.
Una fine che incorpora un principio
Però la cosa non è così semplice, e nemmeno è così tragica, come se anzitutto dovessimo vivere una fine.
La verità è che noi siamo a una fine che incorpora un principio. Non c’è prima la fine e poi il principio. La fine, la discontinuità di cui parliamo non è un’interruzione, un black-out, è un passaggio, ossia, per dirla con una lingua antica, l’aramaico, è un pasah, per dirla in ebraico è pesach, per dirla in italiano è pasqua. Noi non stiamo in mezzo tra una fine e un principio, in terra di nessuno, né di là né di qua. Noi siamo dentro la fine e dentro il principio, i quali perciò dipendono anche da noi.
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CONTRO I POPOLI LE DECISIONI DI TRUMP



di Raniero La Valle
 
 Il presidente americano Trump ha deciso di spostare la sua ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. È una decisione molto grave: essa non solo riconosce Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, cosa che in se stessa sarebbe del tutto legittima se riguardasse la parte israeliana della città dove già hanno sede il governo e la Knesset, ma suggella l’occupazione militare della parte di Gerusalemme conquistata nel 1967 che, secondo il diritto internazionale, è un territorio occupato di cui non è lecito mutare lo status; al contrario la decisione di Trump legittima l’annessione, che di fatto è annessione ad Israele di tutta la Palestina, cioè anche della Palestina palestinese ed araba la cui esatta definizione  è “Territori occupati” e che dovrebbe essere, secondo gli impegni internazionali sempre ripetuti in questi sessant’anni, il territorio dello Stato palestinese. Trump dice di mantenere l’opzione a favore dei due Stati in Palestina, ebraico l’uno, arabo-palestinese l’altro, ma di fatto sotterra questa ipotesi e lascia quindi tragicamente insoluta la questione del popolo palestinese, per il quale non è pensata ormai da nessuno altra sorte che quella di una minoranza non riconosciuta e discriminata all’interno dell’unico Stato di Israele, che la Knesset sta definendo per legge come uno “Stato per gli ebrei”, nel quale ai soli ebrei è riconosciuto il diritto all’autodeterminazione. In tal modo per il momento il padre di tutte le crisi del Medio Oriente e non solo, ovvero il conflitto israelo-palestinese, assume dimensioni catastrofiche e appare non solo ancora insoluto dopo sette decenni, ma di fatto, senza un vero ripensamento di tutti i termini del problema – politici, culturali e religiosi – insolubile. Ma può la comunità internazionale lasciarlo insoluto e insolubile?
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giovedì 30 novembre 2017

Conferenza di presentazione de "Appello a resistere (katécon)"

Conferenza di presentazione dell"Appello a resistere (katécon)"



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venerdì 10 novembre 2017

PER UN MONDO NON GENOCIDA PATRIA DI TUTTI PATRIA DEI POVERI

Appello a resistere (katécon)
Katécon è la parola usata da Paolo apostolo per evocare la resistenza alle forze della distruzione e ciò che trattiene lo scatenarsi dell’inequità. L’alternativa all’irruente disordine non sta solo nella politica ma nella coscienza e nell’azione dei popoli. Due impegni prioritari: disarmo nucleare e ius migrandi
Sta raccogliendo firme per essere presentato prima del 2 dicembre a Roma un appello a resistere all’ “inequità” per stabilire una società di tutti a cominciare dai poveri, senza più politiche di genocidio. Primi firmatari due Premi Nobel per la pace, un console noto come lo  “Schindler argentino”, un cardinale che presiede ai testi legislativi della Santa Sedeun filosofo della democrazia e dell’eguaglianza, don Ciotti presidente di Libera  e altre personalità internazionali. Ne pubblichiamo in anteprima il testo in italiano. Chi vuole aggiungersi ai primi firmatari basta che scriva qui sotto nello spazio dei “commenti”: “aderisco al katécon” oppure mandi una e-mail a info@chiesadituttichiesadeipoveri.it
Alla fine della seconda guerra mondiale i popoli giudicarono la civiltà che li aveva portati a quella crisi, e si resero conto di come essa fosse avanzata nel tempo rendendosi più volte colpevole di razzismi aggressioni e genocidi. Nel 1948 essi adottarono la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, termine con cui si intendeva non solo lo sterminio di un intero popolo, ma tutti gli atti volti  “a distruggere in tutto o in parte” un gruppo umano come tale. Pertanto essi decisero di passare a una civiltà di popoli eguali senza più genocidio.
Oggi però si ragiona, si decide e si governa come se quella scelta non ci fosse stata. Giocare a minacciarsi l’atomica tra Corea del Nord e Stati Uniti significa infatti ammettere come ipotesi il genocidio di uno o più popoli o di tutti i popoli; pretendere di  rovesciare regimi sgraditi votando alla distruzione i relativi popoli come “danno collaterale”, è già genocidio; mettere in mano a un pugno di persone la maggior parte delle ricchezze di tutto il mondo vuol dire attivare “un’economia che uccide”, cioè  genocida, poiché attenta alla vita di popolazioni intere, mettendole fuori mercato; continuare a incendiare il clima e a devastare la terra significa ecocidio, cioè scambiare il lucro di oggi con il genocidio di domani; intercettare il popolo dei migranti e dei profughi,  fermarlo coi muri e coi cani, respingerlo con navi e uomini armati, discriminarlo secondo che fugga dalla guerra o dalla fame,  e toglierlo alla vista così che non esista per gli altri, significa fondare il futuro della civiltà sulla cancellazione dell’altro, che è lo scopo del genocidio. Queste pratiche, oltre che malvagie, sono contro ragione; infatti nessuna di esse va a buon fine, mentre scelte opposte sarebbero ben più efficaci e vantaggiose, possibili e politicamente capaci di consenso.
Riguardo al popolo dei migranti, un popolo fatto di molte nazioni, l’illusione di conservare la civiltà scartando pezzi di mondo è particolarmente infelice, perché  il rifiuto di accogliere e integrare migranti e profughi li rende clandestini, li trasforma in rei non di un fare, ma di un esistere. La conseguenza è che gli stessi Stati di diritto e di democrazia costituzionale tradiscono se stessi perché accanto ai cittadini soggetti di diritto concentrano masse di persone illegali, giuridicamente invisibili e perciò esposte a qualunque vessazione e sfruttamento, pur avendo tutti non solo lo stesso suolo ma lo stesso sangue.
Una tale situazione sembra evocare e rendere di attualità quello che agli albori del cristianesimo l’apostolo Paolo descriveva come “il mistero dell’anomia”, cioè la perdita di ogni legge e la pretesa dell’uomo e del potere “senza legge” di mettersi al di sopra di tutto additando se stesso come Dio. In quella stessa intuizione delle origini  cristiane si annunciava però anche un “katécon”, una resistenza, una volontà antagonista che avrebbe trattenuto e raffrenato le forze della distruzione[1]  e impedito il trionfo della fine, aprendo la strada alla risoluzione della crisi.
Comunque si interpreti questa antica parola, noi avanziamo l’urgenza che dai popoli si esprima una tale resistenza, si eserciti questo freno, come già avvenne nel Novecento quando il movimento della pace in tutto il mondo, interponendosi in modo non violento tra i missili nucleari da un lato e l’umanità votata allo sterminio dall’altro, riuscì a ottenere il ritiro della  minaccia e a scongiurare la guerra atomica.
Due impegni prioritari
Due appaiono oggi gli impegni prioritari di questo resistere agendo[2]:
1 . Lottare perché le Potenze nucleari simultaneamente firmino e attuino il Trattato dell’ONU per la interdizione delle armi nucleari, cui già aderisce la maggior parte delle Nazioni;
2 . Lottare perché sia riconosciuto e attuato con politiche graduali e programmate il diritto universale di migrare e stabilirsi nel luogo più adatto a realizzare la propria vita. Lo ius migrandi, uno dei primi “diritti naturali” proclamati dalla modernità, sarebbe il volano di un profondo rinnovamento economico e sociale, e il più incisivo artefice della nuova identità di una società mondializzata con una umanità finalmente unita e custode della Terra che le è data per madre.
Ciò che auspica questo appello è che tale visione del mondo e della civiltà di domani non solo sia enunciata come ideale, ma sia assunta come compito, diventi resistenza e azione, si faccia “movimento”.
 16 ottobre 2017
Firme: Adolfo Perez Esquivel, Premio Nobel per la pace 1980, Shirin Ebady, Premio Nobel per la Pace 1983, Enrico Calamai, ex console nel Paese dei “desparecidos”, noto come “lo Schindler argentino”, Francesco Coccopalmerio, cardinale presidente del Consiglio per i testi legislativi, Luigi Ferrajoli, filosofo del diritto, don Luigi Ciotti, Presidente di Libera, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, Raniero La Valle, giornalista, Grazia Tuzi, Franck Chaumon, psichiatre, Paris, mons. Raffaele Nogaro, ex vescovo di Caserta, Moni Ovadia, uomo di teatro, scrittore, Paolo Maddalena, giudice, ex vicepresidente della Corte costituzionale, Nino Fasullo, redentorista, Palermo, Sergio Tanzarella, storico della Chiesa, Napoli, Domenico Gallo, magistrato di Cassazione, Guido Calvi, giurista, Roma, Gian Giacomo Migone, storico, Torino, Tina Stumpo, Coordinamento Democrazia costituzionale, Roma, Monica Cantiani, Roma, Claudio De Fiores, costituzionalista, Napoli, Raul Mordenti, critico letterario, Roma, Raffaele Luise, giornalista, Roma, Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, biblista, Giovanni Cereti, teologo cattolico, Enrico Peyretti, Torino, Bruno Secondin, teologo, Vittorio V. Alberti, Roma, padre Alez Zanotelli, missionario comboniano; Vittorio Bellavite, di “Noi siamo Chiesa”, Franco Ferrari, presidente Associazione “Viandanti”padre Giulio Albanese, missionario, Antonietta Augruso insegnante, Andrea Melodia, giornalista, Luisa Morgantini, sindacalistaGianni Minà, giornalista, Marinella Perroni, teologa, Giovanni Cereti, teologo, Massimo Lucchesi, giornalista, Vania De Luca, giornalista,  Antonino Abrami, Acting President dell’International Academy of Environmental Sciences; Francesca Landini, informatica,
[1] “E ora sapete ciò che lo trattiene (katécon)”, 2 Tess. 2, 7-8.
[2] “Penserete esclusivamente ciò di cui risponderete agendo”, D.  Bonhoeffer, Resistenza e resa, 1969, Milano, p. 235.
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martedì 24 ottobre 2017

USCIRNE DA SOLI È MARCHIONNE, USCIRNE TUTTI INSIEME È POLITICA



Il referendum veneto
di Raniero La Valle

L’esempio del Veneto ha quasi il sapore di un ultimo avviso, ancora in tempo utile, però. Ce ne occupiamo anche perché si tratta dell’ex Veneto bianco, a cui la solidarietà e l’amore per il bene comune avrebbe dovuto rimanere nel sangue. Certo, commentare i risultare all’indomani di un referendum è “fare politica”: ma chi ha detto che “i poveri”, cioè “tutti”, non debbano fare politica? O che dicendosi “Chiesa” contraggano un’interdizione al pensiero politico, cioè debbano scegliere tra un’alienazione e una cittadinanza a pieno titolo?
Il Veneto è un ultimo avviso, perché la sera del referendum, vinto dalla tesi piuttosto elastica di una maggiore “autonomia”, la richiesta immediata (già messa in un progetto di legge regionale di un solo articolo) è stata: il Veneto lasci la condizione comune della povera Italia che arranca, si prenda i privilegi di una Regione a statuto speciale, e trattenga per le sue spese i nove decimi dei soldi destinati alla fiscalità nazionale.
Ciò è legittimo o è fuori legge? Allo stato delle cose è legittimo, perché le leggi non impediscono di perseguire il proprio solo interesse, contro quello di tutti gli altri. Non c’è una legge in un solo articolo, né regionale né nazionale, che dica: “l’egoismo è proibito”. La Costituzione sì, lo impedirebbe, e infatti la richiesta veneta si potrebbe attuare solo con una modifica costituzionale, ma non è proibito di provarci, e la Costituzione è oggi in gran parte (nella sua polpa, cioè) svuotata ed esposta a tutte le malversazioni grazie alle picconate e alle rottamazioni subite dal 1989 al 4 dicembre scorso.
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martedì 10 ottobre 2017

IL PAPA PUBBLICATO DAL MANIFESTO



La pubblicazione del libro di Bergoglio da parte del Manifesto rompe la convenzione moderna che ha messo fuori la porta il discorso su Dio. Il papa non direbbe nulla di quello che dice se non fosse motivato dalla fede, libero chi vi consente di credere o non credere. Il problema dell’Islam

Raniero La Valle  

Alle “cose mai viste” prodotte dal pontificato di Francesco si è aggiunta ora la diffusione urbi et orbi dei tre discorsi del papa ai Movimenti Popolari ad opera di una casa editrice laica (Ponte alle Grazie) e di un giornale con una tradizione militante come quella del “Manifesto”. Vi è in questa proposta editoriale un’intuizione informativa straordinaria, perché nel mare di scritti e discorsi di papa Francesco estrarre e mettere insieme quei tre discorsi significa aver colto l’evento nell’evento, ovvero il senso complessivo del suo ministero: perché in quei discorsi non ci sono solo terra casa e lavoro, c’è la sua visione del mondo, struttura e sovrastruttura.
Ma dove sta la notizia? La notizia non sta nel fatto che ”il Manifesto” sia d’accordo col papa nel riconoscere i poveri (o, come direbbe il giornale, le classi povere) non solo come vittime dell’ingiustizia, ma come soggetti che lottano contro l’ingiustizia, né sta nel fatto che condivida l’analisi sull’alienazione del denaro (che il papa chiama idolatria) e sull’economia che uccide. È logico che sia così.
La  notizia sta nel fatto che la modernità, nelle sue espressioni più mature, non ha più bisogno di esibire come suo punto d’onore quel certo patriottismo laico che le imponeva di prendere le distanze, pur col dovuto rispetto, da tutto ciò che sapesse di religione e di chiese. Ricordo un libro a più mani, per una campagna elettorale romana, in cui ad autorevoli esponenti della sinistra fu chiesto un articolo in cui ciascuno esprimesse le sue speranze e il suo progetto per il futuro di Roma. E uno scrisse una sola riga: “vorrei una Roma senza papa”.
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martedì 3 ottobre 2017

La Chiesa riparata



Quando c'erano i bombardamenti sul Vietnam, una bomba scoppiò anche nel cortile dell'arcivescovado di Bologna. Oggi quella bomba è stata ripresa al laccio e scagliata lontano, fuori della Chiesa, a Bologna. Francesco continua a riparare la Chiesa di Gesù Cristo. Con quale storia alle spalle? 
Era il 1967 e da molte parti del mondo cristiano saliva a Paolo VI la richiesta che la Santa Sede condannasse i bombardamenti americani sul Vietnam del Nord. Il giornale cattolico di Bologna sosteneva indefessamente, contro le bombe, il negoziato. Ma Paolo VI pensava che la Chiesa dovesse restare neutrale tra Stati Uniti e Vietcong, e non condannò i bombardamenti e la guerra americana. Allora nella giornata della pace del 1 gennaio 1968 l'arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro proclamò solennemente in cattedrale, riprendendo un tema di Dossetti, che "la via della Chiesa non è la neutralità, ma la profezia". Non glielo perdonarono, del resto avevano un conto aperto con lui, perché era stato lui il promotore e la guida della riforma liturgica del Concilio, e se ormai nella Chiesa la Parola si poteva annunciare in lingue vive, e non nascosta nel sudario del latino, si doveva a lui. Sicché il cardinale Lercaro fu rimosso (il giornale già era stato chiuso) e cominciò così la grande lacerazione della Chiesa, non solo di Bologna, dopo il Concilio. Qualche mese dopo, ricevendo finalmente il deposto arcivescovo, al suo racconto dei fatti Paolo VI si mostrò contrariato, e gli disse: "cosa devo fare, devo rimetterla in sede?". Di certo non si trattava di questo; Lercaro senza protestare aveva obbedito, si era ritirato nella sua casa dove ogni mattina, per i ragazzi che egli ospitava per mantenerli all'università, celebrava la Messa su un altare dove era scritto: "se condividiamo il pane celeste, come non condivideremo il pane terreno?".
Domenica 1 ottobre papa Francesco lo ha simbolicamente rimesso in sede, sulla cattedra bolognese, citandolo e ripetendo davanti a San Domenico, all'università, agli studenti, alla città, la sentenza incriminata: "
la via della Chiesa (per sbaglio ha detto "la vita") non è la neutralità ma la profezia". Ormai nemmeno in nome della neutralità una bomba, una violenza, una guerra, può essere scatenata con il beneplacito della Chiesa. E un esercito che lo faccia non può avere per patrono papa Giovanni XXIII.

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martedì 26 settembre 2017

OTTO PER CENTO

Le elezioni tedesche

Si può governare facendo una politica giusta, ma se il liberismo è regime la sinistra non può vincere
di Raniero La Valle

C’è stato molto bla-bla-bla sulle elezioni tedesche i cui risultati hanno preso di sorpresa la maggior parte dei commentatori. Da un po’ di tempo i commentatori che vanno per la maggiore sui giornali e in TV non fanno che sorprendersi per risultati elettorali che essi stessi provocano pascendo l’opinione pubblica con le loro belle idee.
In realtà non c’era molto da sorprendersi, mentre le elezioni tedesche hanno rivelato due semplici verità.
La prima è che Angela Merkel ha vinto e per la quarta volta governerà la Germania, anche se ha perso l’8 per cento dei voti. Tutti dicono – anche se la diagnosi è piuttosto sommaria – che li ha persi perché contro venti e maree ha coraggiosamente deciso che la Germania accogliesse un milione di profughi. Questo vuol dire che si possono vincere le elezioni e si può governare anche facendo una politica giusta, che a molti non piace. Ciò costa solo l’8 per cento dei voti, ma forse giova alla democrazia aumentando il pluralismo e le degasperiane virtù volte a non governare da soli; in ogni caso con quell’8 per cento che ha perso per evitare ai tedeschi il ritorno al razzismo delle leggi di Norimberga, Angela Merkel ha salvato la Germania e quanto resta dell’ “idea dell’Europa”. Di ciò bisogna esserle molto grati. Intanto da noi il sindaco di Ventotene ci spiega che se non arrivano bambini “stranieri” le scuole elementari di una gran quantità di piccoli comuni, e anche le medie, dovranno chiudere, per mancanza di alunni, almeno finché gli italiani non saranno rimessi in condizioni di far figli, come vorrebbero le politiche di eguaglianza e sussidiarietà stabilite dalla Costituzione.
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venerdì 8 settembre 2017

UN DIO CHE SORPRENDE



Ad Assisi il 25 agosto 2017

Cinque tesi una conclusione e una postilla più drammatica

Raniero La Valle

Quello che segue è il testo della relazione tenuta da Raniero La Valle il 25 agosto 2017 ad Assisi nel quadro del Convegno sul tema: “Come dare futuro alla svolta profetica di Francesco”
 
1. La novità di papa Francesco

Il Dio che sorprende è il Dio annunciato da papa Francesco. Ancora mercoledì scorso nella sua catechesi il papa ha parlato del Dio che crea novità, perché è il Dio delle sorprese. Certo non è questo il solo Dio in circolazione. C’è il Dio predicato per inerzia da tutta la Chiesa, il Dio predicato nella Chiesa italiana. Ma non è un Dio che sorprende, non suscita meraviglia, è il Dio che giace nel catechismo, che da tempo non sveglia più nessuno.
Poi c’è lo stereotipo del Dio demiurgo, todopoderoso, depositato nella cultura comune, condiviso sia da chi lo afferma, sia da chi lo nega, sia da chi lo ignora.
Il Dio che irrompe nella Chiesa di Francesco è diverso. In un mondo piagato ed esposto alle peggiori sorprese, nessuno pensava che ci potesse essere una sorpresa da parte di Dio. O almeno non lo si pensava più, da quando era stato messo a tacere il Concilio. Per questo la Chiesa era diventata così tetra e la fede se ne stava andando come l’acqua dall’invaso di una sorgente inaridita.
Ma ecco che da quattro anni è comparso un Dio che sorprende. Per il mondo è stato un bagliore improvviso, una straordinaria novità, per gli archeologi del sacro è stata invece una sorpresa ingrata, un incidente imprevisto, uno strappo ai regolamenti. Perciò i più papisti del papa sono diventati, proprio loro, antipapisti.
Questo spiega la solitudine istituzionale di papa Francesco e l’astio con cui è combattuto, ed è per questo, perché vorremmo stare al suo fianco, che ci siamo qui riuniti ad Assisi.

2. Non è la prima volta di un Dio che sorprende

Non è la prima volta che Dio ci sorprende, che c’è l’impatto con un Dio quale prima non era stato  pensato. Dunque anzitutto dobbiamo fare uno sforzo di memoria, per non dimenticare che c’è una storia dietro di noi.
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lunedì 7 agosto 2017

Il genocidio

Il caparbio rifiuto europeo di far posto ai profughi e la maldestra condotta del governo italiano sui migranti (la dottrina Minniti, i vincoli posti alle operazioni di soccorso, la spedizione delle navi militari in Libia) hanno innescato una rovinosa deriva dell’opinione pubblica, sostenuta da una inaudita campagna di stampa contro ogni forma di accoglienza e di solidarietà. Questa, a ben vedere, al di là del supposto obiettivo delle ONG, ha di mira il papa che, con i gesti di Lampedusa e Lesbo, ha squarciato la cortina dell’omertà e ha posto la questione politica e morale della risposta da dare alla più grande tragedia del nostro tempo, quella delle migrazioni di massa.
È cominciata da lì la serie degli eventi: prima l’Italia ha avviato l’operazione “Mare nostrum”, pensando che fosse a buon mercato, poi Alfano, dopo un anno, l’ha fatta chiudere, i populismi egoisti e xenofobi si sono scatenati, la stampa e le TV hanno fatto da sponda alla paura e all’intolleranza, il governo ora passa alle maniere forti, Renzi e gli altri vecchi politici non pensano se non in termini di consenso per il potere, ed ecco che quello che stiamo per compiere prende il suo vero nome: un genocidio. L’esperienza del Novecento ci dice che dei genocidi è meglio accorgersi prima o nel mentre che si compiono, piuttosto che commemorarli o negarli dopo.
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sabato 22 luglio 2017

TORNARE AI GIORNI DI COMISO



Le potenze nucleari e perfino l’Italia rifiutano il trattato ONU per il disarmo atomico. Occorre ricominciare la lotta. Un libro che ricostruisce la storia del NO ai missili di Comiso

Raniero La Valle

Con la sola eccezione della Corea del Nord le potenze nucleari, a cui si è associata anche l’Italia, hanno preso posizione contro il tentativo messo in atto dall’ONU per giungere a un trattato per la messa al bando delle armi nucleari. La decisione di procedere in questa direzione era stata presa  dall’Assemblea generale  del 23 dicembre 2016 che aveva istituito una speciale Conferenza dell’ONU per predisporre il testo del trattato. Ma le potenze nucleari e quelle della NATO (con l'eccezione dell'Olanda, che però ha poi espresso l'unico voto contrario),si sono rifiutate di partecipare calla Conferenza, che tuttavia il 7 luglio scorso ha approvato con 122 voti favorevoli (quasi due terzi dei membri dell’ONU), 1 voto contario e 1 astenuto il testo del trattato antiatomico  che dovrà essere ora sottoposto alla firma e alla ratifica degli Stati.
Il governo italiano, interrogato in Parlamento sul perché avesse rifiutato di partecipare alla Conferenza e di concorrere alla stesura del trattato,  ha risposto che esso, così com’è stato concepito, indebolirebbe il regime di non proliferazione  nucleare esistente, e suscita dubbi circa la sua reale capacità di porsi quale strumento di disarmo nucleare irreversibile, trasparente e verificabile, ragione per cui il governo non lo sottoscriverà. Insomma il trattato sarebbe controproducente, e farebbe aumentare le bombe invece che diminuirle. Si ignora la logica di questa asserzione.
Di nuovo perciò l’arma nucleare minaccia il mondo, mentre ardono i focolai della “terza guerra mondiale a pezzi”. Perciò occorre tornare alla lotta, come i popoli hanno mostrato di saper fare. È uscito in queste settimane un prezioso libro che racconta la lotta, con “fiori e sorrisi” come la descrisse un giudice chiamato a condannarla in tribunale) contro i 112 missili  di Comiso (Davide Bocchieri, Centododici, Fiori sorrisi e politica contro i missili Cruise a Comiso, Edizioni Pressh24, Ragusa, 2017). Il libro rievoca quel movimento di popolo e anche le ferite della Chiesa di Ragusa che allora, nel suo vescovo, non fu per la pace. Il libro, che nasce da una tesi universitaria del suo autore, reca una prefazione di Raniero La Valle, che qui riproduciamo.

Vorrei dire in queste pagine perché questo libro è di straordinaria importanza e bellezza. Ne indico quattro motivi.

1) Il primo motivo è che, per il fatto stesso di esserci, è un libro che milita contro la più pericolosa malattia del nostro tempo, che è la perdita-rimozione della memoria.
Senza memoria non siamo nessuno, abbiamo occhi che non vedono, orecchie che non odono, sensi che non discernono, e non possiamo né capire né guidare la storia.
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mercoledì 19 luglio 2017

I piromani



Che l’Italia sia devastata da un esercito di piromani e di untori è una leggenda metropolitana come quella dell’incendio di Nerone. Ma un tempo è finito


La storia secondo la quale all’Italia sarebbe stato appiccato il fuoco dalle Alpi alla Sicilia (quattordici incendi solo nella città di Messina) da un esercito di piromani, mafiosi, camorristi speculatori e padroncini di Canadair, è come la favola dell’incendio di Roma appiccato da Nerone. Fa comodo a tutti dare la colpa ai piromani  quando i piromani sono loro. Il vero piromane è Trump che rompe il timidissimo e solo preliminare accordo mondiale sul clima, piromani sono gli interessi petroliferi e finanziari che hanno bloccato fin qui le tecnologie già pronte per il passaggio alle energie alternative, per le quali già oggi il parco delle automobili potrebbe essere formato da auto elettriche e la motorizzazione su autostrada potrebbe essere sostituita dalle ferrovie, piromani sono le economie speculative che hanno fatto inaridire la terra, rinsecchire il verde, hanno privatizzato le acque, abolito le guardie forestali, burocratizzato le procedure antincendio, messo in ferie forzate guardie ambientali e vigili del fuoco; piromani sono quelli che non battono ciglio quando già intere isole sono sommerse, terre fertili sono diventate un deserto, i tropici avanzano e dalle riserve frigorifere dei poli si staccano iceberg grandi come la Sardegna; piromani sono quelli che non permettono l’immigrazione se non clandestina e ammassano fuggiaschi infelici in campi di detenzione dove basta una bombola, una lite o una spedizione punitiva di difensori dell’identità bianca per scatenare un inferno.
In questa situazione, quando il sole brucia la terra fino a 45 gradi, basta un frammento di vetro, una bottiglia abbandonata, un rifiuto di plastica per concentrare i raggi e accendere il fuoco alle stoppie, ai campi riarsi, ai cigli delle strade inariditi, alle città stesse.
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sabato 15 luglio 2017

L'EREDITÀ SPIRITUALE DI GIOVANNI FRANZONI


 
All'incrocio tra società e Chiesa ha legittimato la libertà cristiana di scegliere

Raniero La Valle

La morte di Giovanni Franzoni è un lutto per la Chiesa italiana ed è - come del resto lo fu quella di don Milani, il cui valore di recente è stato riconosciuto dai capi della Chiesa cattolica - un lutto per la società italiana. Per la società e la Chiesa, perché all'incrocio (o sulla croce) di questi due modi di essere degli uomini insieme, si sono consumate le vite e le testimonianze di "dom" Franzoni come di don Milani.
È un'interazione che di solito non viene evocata, quando si parla della morte di un uomo di Chiesa, così come si tace della Chiesa quando muore un uomo delle istituzioni, magari noto come "non credente", come fu di recente nel caso di Stefano Rodotà. Tuttavia grande è l'influenza dell'uno e dell'altro, quando la personalità è forte e l'impegno pubblico è strenuo, su ambedue i mondi, religioso e civile.
Ciò vale soprattutto per la storia italiana dopo il Concilio Vaticano II. È stato poco studiato (e per nulla dalla cultura laica) l'impatto che il Concilio ha avuto sullo sviluppo della società, anche politica, italiana, sull'evoluzione del diritto, sulla storia delle istituzioni civili. Eppure è stato un impatto fortissimo, decisivo. Basti pensare alla revoca della legittimazione sacrale al partito cattolico (fu quella per l'Italia la vera fine della concezione carolingia o costantiniana del potere, della "cristianità"), basta pensare all'irrompere della secolarizzazione, veicolata dal Sessantotto, che la Chiesa aveva anticipato nel Concilio; basta pensare alla variabile introdotta nella politica italiana  dall'incognita referendaria, inaugurata dal "NO" cattolico all'abrogazione della legge sul divorzio, e poi della 194 sull'aborto; basta pensare al rinnovamento del diritto di famiglia, con la sottrazione della donna al dominio maritale; basta pensare all'interdetto che prima del Concilio gravava perfino sul dialogo con i socialisti (i "punti fermi"!), e che diventa dopo il Concilio alleanza di governo con i comunisti, pagata col sangue di Moro e con la morte angosciata di Paolo VI. È chiaro che un così grande sommovimento storico ha portato con sé frutti e scorie, grano e zizzania, che non si possono separare ora, ci penserà la storia, o la coscienza profonda del popolo, a farne l'inventario.
Ora, in tutti i passaggi di questo incrocio di Chiesa e società, di fede e storia, dopo il Concilio, Giovanni Franzoni è stato al centro, è stato coinvolto, è stato protagonista: ha scelto e ha dato legittimità e forza alla libertà cristiana di scegliere.
Per questo la sua vita, dopo l'avvio fulgente come abate di San Paolo fuori le Mura fino al 1973, è stata vissuta nella solitudine istituzionale, attraverso i vari passaggi delle dimissioni da abate, della sospensione a divinis (1974) e della riduzione allo stato laicale (1976); solitudine istituzionale che lo ha visitato anche nella morte, avvenuta il 13 luglio mentre era solo nella sua casa di Canneto (Rieti), e che è stata lenita e compensata, fino alla fine della vita, dalla sequela e dall'affetto della comunità di base che egli aveva fondato nell'androne di via Ostiense al momento del suo esodo dalla basilica.
Quell'esodo aveva anticipato l'immagine  della "Chiesa in uscita" che sarebbe stata resa canonica da papa Francesco; ed anche l'atto magisteriale che l'aveva preceduta, la lettera pastorale scritta come abate di San Paolo, "La terra è di Dio", era stata la proposta di una uscita della Chiesa dall'involucro di una Chiesa temporalista; infatti prendendosi cura della terra anticipava la "Laudato sì" di papa Francesco, ma nello stesso tempo affermava che la cura della terra richiedeva anche un atteggiamento di povertà e di spossessamento, a cominciare dalle proprietà fondiarie che la Chiesa aveva a Roma e dalle speculazioni edilizie che vi prosperavano, contro cui doveva levare la sua voce perfino un'istanza istituzionale  della Chiesa romana, nel famoso convegno del febbraio 1974 su "i mali di Roma".
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giovedì 29 giugno 2017

Inquietudine, incompletezza, immaginazione

Inquietudine, incompletezza, immaginazione

Queste tre parole consegnate dal papa agli scrittori della “Civiltà Cattolica” riguardano in realtà tutti gli operatori dell’informazione, ma anche i politici perché senza ispirarsi ad esse nessuna politica è possibile. Anzi perfino il Vangelo resterebbe lettera morta
Raniero La Valle
Si è tenuto il 14 giugno 2017 alla Federazione Nazionale della Stampa un Convegno promosso e dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio e dall’UCSI per discutere se la richiesta fatta da papa Francesco agli scrittori della “Civiltà Cattolica” nel discorso del 9 febbraio 2017 di avere “Inquietudine, incompletezza, immaginazione” , potesse riguardare anche tutto il mondo dell’informazione; questo è l’intervento svolto in quella occasione.
I. Per cogliere la portata effettiva di queste parole, che sono oggi al centro del nostro dibattito, bisogna vedere il contesto in cui sono state pronunciate. Da questo esame risulta che non sono parole occasionali, ma sono indicazioni programmatiche in molte direzioni. A chi sono rivolte? Il papa dice che gli scrittori della Civiltà Cattolica a cui le rivolge, non lo perdono mai di vista e hanno dato un’interpretazione fedele di tutti gli atti più importanti del pontificato. Quindi quelle tre parole indicate come modello della Civiltà Cattolica sono modello anche per sé, prima di tutto si applicano a lui.
Dunque se a descrivere il suo pontificato ci vuole inquietudine, incompletezza e immaginazione, vuol dire che il suo pontificato è inquieto, non predefinito ma aperto all’immaginazione e pieno di poesia, ed è incompleto, cioè è il contrario del papa che ha la perfezione di Cristo o sostituisce Dio in terra, non è cioè né Vicarius Christi né pastor angelicus e tanto meno, come i papi si chiamavano una volta, signore dei signori.
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giovedì 15 giugno 2017

PERCHÉ NON POSSIAMO DIRCI CRISTIANI SENZA IL CRISTIANESIMO



Raniero La Valle

Discorso tenuto da Raniero La Valle il 9 giugno scorso alla Facoltà teologica di Cagliari, nel quadro di una iniziativa volta a una rivisitazione del saggio di Benedetto Croce “Perché non possiamo non dirci cristiani”.

 Com’è noto “Perché non possiamo non dirci cristiani” è il titolo di un famoso saggio di Benedetto Croce, che è una specie di patriarca della cultura italiana del Novecento. Il saggio uscì per la prima volta su “La Critica” del 20 novembre 1942, e poi fu ripubblicato più volte.
Il titolo, più ancora del saggio, ha fatto storia, perché si presenta come il biglietto da visita di una civiltà intera: è la civiltà europea di cui Croce si sente espressione e interprete che rivendica per sé il nome di cristiana.  Ma è un biglietto da visita fuorviante, che esprime piuttosto una vanteria  che un’identità; ed è una vanteria altamente mistificatoria e profondamente non vera; essa però è stata tanto ripetuta come se fosse ovvia, da diventare un luogo comune. Con la secolarizzazione questo luogo comune è caduto in disuso, però non manca chi ancora vi fa ricorso per certe battaglie politiche identitarie come quelle oggi in voga contro immigrati, stranieri e musulmani.
L’equivoco della formula crociana consiste nel travisamento del suo oggetto: ciò di cui parla è infatti un cristianesimo senza Vangelo, una cristianità senza cristianesimo e, si può aggiungere, un cristianesimo nonostante la Chiesa. Il Dio di questo cristianesimo, dice Croce, non è Zeus, né Jahvè, né il Wodan del paganesimo germanico (che Croce cita perché nel ’42 aveva a che fare con Hitler); ma con ogni evidenza non è nemmeno il Dio di Gesù. Perciò un cristianesimo senza Cristo. Croce parla quindi di ciò che non conosce. Lo coglie nella storia degli effetti, ma non ne riconosce l’essenza, non ne capisce le cause. Negli effetti il cristianesimo gli appare straordinario. È stato, egli dice, la più grande rivoluzione nella storia dell’umanità, tale che di un’altra religione o rivelazione come questa non si sa se mai potrà essercene un’altra pari o maggiore; in ogni caso non se ne vede ora il minimo barlume. È stata una rivoluzione senza eguali perché ha operato nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e consiste in sostanza  nella scoperta della congiunzione dell’umano e del divino nell’uomo. Ed è vero: senonché di questo Croce nega la causa e l’origine; sì, all’origine ci sono Gesù, Paolo, Giovanni, ma Dio non c’è, se non come un nuovo concetto pensato dall’uomo. È un Dio nuovo, non più immobile e inerte, che però non è altro dal mondo, non si dà come miracolo, bensì è un parto della storia, dice Croce; e non è mistero ma è visibile; non visibile all’occhio della logica astratta e intellettualistica, ma all’occhio della “logica concreta”.
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lunedì 12 giugno 2017

NON È ISLAM?


Come la storia ha atrocemente dimostrato non basta dirsi cristiani per esserlo veramente, e nemmeno ebrei, e neanche musulmani. Dire che il terrorismo non è islamico non è un’informazione, è un antidoto

Raniero La Valle

Un musulmano scrive su “Avvenire” che certo l’Islam c’entra con i terroristi che si fanno saltare in aria con le loro vittime gridando Allah è grande. E subito i siti sanfedisti e antipapisti gridano: ecco, vedete, ci voleva un musulmano per dire quello che il papa e i vescovi continuano a negare, che l’Islam c’entra, e come, nella violenza dell’ISIS e delle sue schiere.
 Hanno ragione: ha ragione il musulmano che scrive su “Avvenire” e hanno ragione i siti integralisti. L’Islam c’entra. Come c’entrava il Dio di Israele, quale era concepito da Giosuè, quando Giosuè, il  condottiero degli Israeliti usciti miracolosamente dall’Egitto, ordinò lo sterminio di Gerico, e votò allo sterminio le città di Ai, Makkedà, Libna, Lachis, Eglon, Ebron, Debir, Asor, non lasciandovi alcun superstite, ne fece impiccare i re, e quelli che non sterminò, come i Gabaoniti, li ridusse in schiavitù. 
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lunedì 5 giugno 2017

LA LEZIONE DI TORINO

C’è una decisione da prendere perché il terrorismo  globale possa essere vinto e la storia possa riprendere: e tocca alle Nazioni Unite e a Stati Uniti, Russia, Cina, Inghilterra e Francia
Raniero La Valle
Sabato 3 giugno la vigilia di Pentecoste sono successe diverse cose che ci parlano del presente e del futuro del mondo:  la decisione di Trump di tradire gli obblighi assunti dagli Stati Uniti col trattato di Parigi sul clima, il nuovo attentato terroristico sul ponte di Londra, le bombe dei kamikaze contro un funerale eccellente nel cimitero di Kabul, la città di Marawi nelle Filippine occupata dai jihadisti islamici mentre si contano i morti della strage di Manila, a Torino,  in una giornata di perfetta pace, un bambino in coma e 1527 feriti, in una folla in fuga che per la paura si è fatta male da sola. Quando poi si ascoltano le letture bibliche di Pentecoste, mentre tutte queste cose accadono insieme, sembra come se quel tempo nuovo  che vi era annunciato non fosse mai cominciato.
Degli eventi di quel sabato 3 giugno la lezione più importante è quella di Torino. I cittadini e tifosi lì riuniti non avrebbero avuto nessuna ragione di fuggire, perfino se si fosse udito un petardo o qualche sconsiderato avesse gridato a una bomba. Ma avevano tutte le ragioni di aver paura per tutto ciò che era successo fino ad allora e per quello che stava succedendo a Londra, a Kabul, nelle Filippine, a Washington, in Africa e in Medio Oriente. In effetti a parte le vittime del clima, non quantificabili, quegli eventi in quelle ore hanno provocato centinaia di morti e migliaia di feriti in diverse parti del mondo.
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martedì 30 maggio 2017

MA VIENE UN TEMPO ED È QUESTO



  “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” mette a tema il cambiamento d’epoca in atto proponendo un percorso di riflessione che culminerà in un’Assemblea nazionale convocata a Roma per il prossimo 2 dicembre

Cari Amici,
a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, una rete di associazioni e di cristiani qualunque volle richiamare in vita quell’evento e rilanciarne la ricezione nella Chiesa, in quattro successive assemblee annuali che si tennero a Roma dal 2012 al 2015. Quella vasta iniziativa di base, in controtendenza rispetto al clima ecclesiale di allora, si chiamò “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”. Essa concluse il suo ciclo con l’Assemblea del 9 maggio 2015 che, richiamando la “Gaudium et Spes”, aveva come tema: “Gioia e speranza, misericordia e lotta”. Quel titolo già risentiva di una novità: era successo infatti che nella sede di Pietro avesse fatto irruzione papa Francesco, che proprio dal Concilio aveva preso le mosse per rimettere in cammino la Chiesa e riaprire, nel cuore di una modernità che la stava archiviando, la questione di Dio.
Proprio all’inizio del pontificato, dinanzi a una platea che non poteva essere più universale, essendo formata dai 6000 giornalisti che avevano seguito il Conclave, il papa svelò il suo programma dicendo: “Come vorrei una Chiesa povera per i poveri!”.
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venerdì 12 maggio 2017

I cinquantacinque giorni di Moro nell’Edizione Nazionale delle opere



Il memoriale e le lettere dal carcere saranno presenti negli “Scritti” e “Carteggi” dell’Opera omnia pubblicata in forma digitale. Una riparazione storica

Raniero La Valle

           Le lettere di Moro dal carcere delle Brigate Rosse erano veramente sue, non si dice più che non si possono a lui attribuire. Giovedì 10 maggio nella sede dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica è stato presentato il piano dell’Edizione nazionale delle opere di Aldo Moro che saranno pubblicate in forma digitale con il patrocinio e con i soldi del ministero dei beni culturali. Vi troveranno posto gli scritti di Moro durante i 55 giorni della sua prigionia. È stato infatti annunciato che il memoriale scritto dal prigioniero, che fu in seguito trovato nel covo brigatista di via Monte Nevoso a Milano, sarà pubblicato nella prima sezione, “Scritti e discorsi” dell’Opera omnia, e le lettere saranno inserite nella terza sezione, quella dei “Carteggi”. Si tratta di una riparazione e di una restituzione: lo Stato che aveva tolto a Moro la sua identità e la sua parola, ora gliela restituisce, perché almeno ne resti integra la memoria.
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martedì 9 maggio 2017

LA COSTITUZIONE, IL CONCILIO, IL SESSANTOTTO



“Nel corso di una vita”: il perché delle scelte in un’intervista a Raniero La Valle su “Micromega”
Valerio Gigante*

Il 20 novembre scorso  uno scompenso cardiaco ha tenuto Raniero La Valle lontano dalle ultime due settimane della campagna referendaria sulla riforma costituzionale, per la quale si era prodigato in ogni modo a sostegno del No (e il malore che lo ha colto è dovuto proprio al suo impegno senza sosta in giro per l’Italia ad animare incontri, dibattiti, occasioni di riflessione e confronto con cittadini e credenti). Ha seguito quindi da un letto d’ospedale la vittoria del No, la crisi del governo Renzi e la formazione del “nuovo” esecutivo di Paolo Gentiloni. Lo incontriamo nella sua casa romana al termine di una lunga convalescenza, per parlare del legame che unisce gli avvenimenti di ieri a quelli di oggi. La Valle è infatti uno dei grandi protagonisti dell’impegno dei cattolici conciliari e progressisti in politica. Dopo aver diretto il quotidiano della Dc Il Popolo (quando il segretario del partito era Aldo Moro), dal 1961 al 1967 ha guidato L’Avvenire d’Italia, giornale che divenne l'interprete dei fermenti innovatori del Vaticano II, dal quale a causa delle spinte normalizzatrici del post Concilio  decise di dimettersi. Dopo un’esperienza in Rai dal 1976 al 1992 come inviato, è stato senatore di Sinistra Indipendente. Dal 1978 ha anche diretto la rivista Bozze, da lui stesso fondata, testata che ha costituito un importante strumento di dibattito ecclesiale e civile, e che ha chiuso nel 1994. Dopo l’esperienza parlamentare ha sempre continuato l’azione politica e civile attraverso l’impegno in diversi campi, soprattuto quelli della pace e del diritto, animando i Comitati Dossetti per la Costituzione (nati in seguito alla vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni del 1994), di cui è presidente, dirigendo Vasti, Scuola di ricerca e critica delle antropologie, sostenendo le attività dei giuristi democratici e divenendo punto di riferimento del vasto movimento che in questi anni ha difeso e promosso i valori della Costituzione contro chi voleva aggredirne la lettera e lo spirito.
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lunedì 24 aprile 2017

IL MONDO È PIÙ O MENO VIOLENTO DI IERI? MENO





Ciò che è cambiato è un annuncio di Dio che toglie radicalmente ogni legittimazione religiosa della violenza

Pubblichiamo il discorso tenuto da Raniero La Valle il 21 aprile 2017 ad Alessano (Lecce), nel ricordo del vescovo don Tonino Bello e del sindaco di Molfetta Guglielmo Minervini

È nel ricordo di don Tonino Bello e di Guglielmo Minervini che vogliamo guardare oggi al tema della nonviolenza a cui essi hanno dedicato la vita, il primo facendone il cuore della propria azione pastorale, il secondo della propria azione amministrativa e politica.

I – La violenza organica al mondo

In quale situazione essi hanno dato la loro testimonianza? Essi hanno vissuto in una situazione in cui  la violenza era del tutto organica al mondo, mentre la nonviolenza era opposta allo spirito del mondo. Non altrettanto essa era opposta  allo spirito della Chiesa, grazie al Vangelo, ma certamente la nonviolenza era estranea alla cultura e alla immagine della Chiesa.
a) Il primo punto è che la violenza era organica al mondo. Essa infatti, nella dimensione pubblica non solo era legittima (essendo stato conferito al potere pubblico il monopolio della violenza) ma fungeva da giudice di ultima istanza. Vale a dire che alla fine a decidere era la violenza. Nella seconda guerra mondiale la bomba atomica è stata il giudice finale. Trump che getta la bomba-madre sull’Afghanistan, dice che l’ultima decisione sarà la sua. Le Brigate Rosse in Italia elessero la violenza come ultimo giudice tra il potere e l’antipotere. La stessa cosa fa oggi il terrorismo internazionale. Anche nella dimensione privata la violenza si mostrava inarginata; basti pensare al Far West americano, alla violenza nei rapporti di lavoro, nella fabbriche, nei campi, nelle famiglie, alla violenza sulle donne, al bullismo, alla manovalanza delle mafie e delle camorre.
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martedì 11 aprile 2017

IN NOME DEL TEMPIO. IN NOME DEL BAMBINO


La guerra ha bisogno del simbolo che la giustifichi; l’ISIS insiste con Dio e distrugge le chiese, l’Occidente, privato dell’alibi della guerra di religione si fa filantropo e lancia i suoi missili in nome dei bambini 

L’attacco firmato Daesh o IS alle chiese copte in Egitto è un’azione dagli alti contenuti simbolici. Si è scatenato contro un popolo di martirio e di pace, come ha detto il prete della comunità copta di Firenze; è avvenuto a tre settimane dalla visita del papa in Egitto, come a dire che il bersaglio grosso è lui; è stato perpetrato contro una chiesa piena di fedeli, a Tanta, e contro la cattedrale del patriarca Tavadros II ad Alessandria; è stato compiuto mentre erano in corso la messa in piazza san Pietro e le due messe celebrate nello stesso momento in Egitto, nel giorno liturgico della domenica delle palme, quando si ricorda che Gesù è stato ucciso con l’accusa di aver minacciato la distruzione del tempio.
Questo sovraccarico di simboli religiosi dice che i terroristi dello Stato islamico hanno assoluto bisogno di far passare la loro guerra per una guerra religiosa, volta a islamizzare il pianeta.
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