domenica 29 settembre 2013

Alla settimana alfonsiana 26 settembre 2013 - “Oggi sarai con me in Paradiso”


di Raniero La Valle

“Oggi sarai con me in paradiso”, “Hodie mecum eris in paradiso”, Luca 23,43.
Da questo testo vorrei ricavare tre suggerimenti:
1) Il primo. Il testo dice: “sarai”, non “ritornerai”. Eppure sul tema del ritorno in paradiso è fiorita tutta una letteratura spirituale ed una predicazione religiosa.
Il ritorno al paradiso suppone che il paradiso stia nel passato: è il luogo che abbiamo perduto e al quale dobbiamo tornare. A questa idea corrisponde una precisa teologia: è la teologia della salvezza che sta nel passato, della terra promessa che è quella da cui siamo usciti, del Padre da cui ci saremmo allontanati e al quale dovremmo tornare.
E’ la teologia del reditus, del ritorno; non è la teologia della rivoluzione, e non è nemmeno la teologia della conservazione: è la teologia della restaurazione.

Il paradiso perduto

Essa suppone un ordine che stava nel passato, un ordine del cosmo che si è rotto. Le ragioni che si portano di questa rottura primordiale sono molteplici. La prima, avanzata dalla letteratura apocalittica ebraica dopo l’esilio a Babilonia, è che il mondo non era come Dio lo aveva voluto. La creazione gli era riuscita male, e doveva quindi essere rifatta da capo; oppure essa si era guastata a causa di una congiura di angeli che avevano sciupato l’opera di Dio, come ancora dice il catechismo della Chiesa cattolica, infaustamente promulgato nel 1992; l’altra ragione, avanzata dalla dottrina cristiana, è che questa catastrofe originale sarebbe avvenuta per colpa nostra. Questa colpa starebbe nel fatto che noi abbiamo compiuto un peccato così potente da sconvolgere tutto l’ordine del cosmo, la natura e la cultura, la terra e gli uomini di tutte le generazioni. Questa colpa sarebbe stata tale da offendere Dio con un’offesa infinita, tale da potere essere lavata solo col sangue di un Dio, e quindi col sangue del Figlio. Questo è quello che a partire da Anselmo da Aosta si tramandava nelle nostre teologie.
In questa visione pertanto il Paradiso stava prima della storia, prima del peccato originale, prima che l’uomo e la donna fossero cacciati dal giardino dell’Eden e condannati alla morte, al sudore del lavoro, ai pruni e alle spine della terra e ai parti con dolore. Era peraltro un paradiso molto precario, subito perduto, come se Cristo non ci fosse stato; ma ciò contraddice tutta la cristologia nicena, su cui è costruito il cristianesimo, secondo la quale Cristo redentore è coeterno al Padre, ed è all’opera fin dalla fondazione del mondo.
E infatti, come finalmente dice il Concilio Vaticano II nella “Lumen Gentium”, Dio non cacciò nessuno dopo la caduta, ma intuitu Christi, in vista di Cristo Redentore, non abbandonò l’uomo e mai gli negò gli aiuti necessari alla salvezza.
L’idea del paradiso che sta nel passato e al quale, mondati, dovremo tornare, non è peraltro un’idea innocua, e per questo ne parliamo.
E’ infatti l’idea di una storia pensata all’indietro, che marcia in senso antiorario, è l’idea che la perfezione stava all’inizio, e che dopo la sua perdita non ci sono state che macerie, oppure, come diceva il papa Ratzinger felicemente ex regnante, ci sarebbe stato “un fiume sporco”, che è la storia. La perfezione dell’inizio, secondo questa concezione, sarebbe invece rimasta nell’ordine della natura, che perciò è considerato come immutabile, è concepito come sacro, e come tale portatore di principi non negoziabili, e fonte di un diritto di natura di cui la Chiesa sarebbe infallibile interprete e di cui dovrebbe farsi garante contro il diritto positivo e, secondo Ratzinger, contro la democrazia delle maggioranze.
Il paradiso però non è questo, e non si trova così. Il paradiso è proprio quello che distoglie dalla prigionia del passato e scompiglia questa concezione di una storia rivolta all’indietro.
Lo leggiamo nelle tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, dove la storia è presentata sotto le vesti dell’Angelus Novus dipinto in un quadro di Klee. Questo Angelus Novus, che sarebbe l’angelo della storia, e perciò secondo questa allegoria sarebbe la storia stessa, ha gli occhi spalancati, le ali distese e il viso rivolto al passato. Ma nel passato egli vede solo catastrofi che accumulano senza tregua rovine su rovine e le rovesciano ai suoi piedi. L’angelo – cioè la storia – vorrebbe fermarsi a sanare le rovine e ricomporre l’infranto. Ma lì non c’è il paradiso. Dal paradiso invece, dice Benjamin, spira una tempesta che si è impigliata nelle sue ali ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ma lui se ne allontana, non ne è trattenuto. La tempesta che viene dal paradiso invece lo spinge avanti, spinge avanti la storia, il paradiso è più avanti, l’attrae verso di sé.

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martedì 24 settembre 2013

12 ottobre 2013: "Da Cossiga a JP Morgan, il lungo assedio alla Costituzione”. Intervista a Raniero La Valle

da Micromega, 23 settembre 2013


"I recenti attacchi alla Costituzione possono essere ricondotti ad una stagione cominciata più di venti anni fa, quando ci si affrettò a richiudere quella finestra di opportunità che si era aperta con la fine della guerra fredda. Oggi al mito della governabilità dobbiamo anteporre il valore della rappresentanza". 
Intervista a Raniero La Valle di Emilio Carnevali 

All'interno del “cattolicesimo democratico” italiano Raniero La Valle è una delle voci che con maggiore forza e passione si sono battute negli ultimi anni a difesa della Costituzione e contro i numerosi tentativi di modifica e manomissione via via succedutisi.
Come presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione la Valle è ancheintervenuto lo scorso 8 settembre a Roma all'assemblea convocata da Lorenza Carlassare, don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. Ed è proprio da quell'incontro che siamo partiti per ragionare insieme della mobilitazione in vista del prossimo appuntamento del 12 ottobre.

Nel corso di quella relazione lei ha fatto un'affermazione abbastanza singolare. Gli attacchi alla Costituzione – ha detto in sostanza – non sono cominciati negli ultimi mesi e nemmeno negli ultimi anni. Risalgono al 1989...

Sì, il 1989 è naturalmente la data della caduta del muro di Berlino. Se volessimo esercitarci con una datazione ancora più precisa è possibile fare riferimento al 26 giugno 1991, il giorno in cui il presidente della Repubblica Cossiga inviò un ormai celebre messaggio alle Camere. Cossiga cominciava con il dichiarare ormai conclusa, con la fine del comunismo, la divisione del mondo in blocchi contrapposti. Con il tramonto di quell'assetto – era la sua tesi – anche la Costituzione approvata nel 1947 era destinata ad essere aggiornata e superata, perché non era più adeguata ai tempi.
Si trattava di un'affermazione molto strana, perché a dire la verità la nostra Costituzione precede l'effettiva deflagrazione della guerra fredda ed è anzi il frutto dell'incontro e della collaborazione molto stretta fra le culture democratiche, liberali e cristiane e quelle di estrazione socialista e marxista. 
La sua genesi, se mai, è da ricondursi ad un altro conflitto: la seconda guerra mondiale. All'indomani di quella tragedia il mondo si pose l'obiettivo di costruire assetti capaci di non farla più ripetere. Ecco allora la costituzione delle Nazioni Unite, seguita dalla dichiarazione universale dei diritti umani e dal vasto tentativo di dare forma a ordinamenti ispirati ad un'idea di convivenza pacifica e solidale (sia all'interno dei paesi, che a livello internazionale, con il rifiuto del colonialismo). 

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venerdì 20 settembre 2013

Guerra, politica e preghiera


di Raniero La Valle

Quando si muovono le flotte, si minacciano bombardamenti, si schierano i missili e ci sono di mezzo gli Stati Uniti e la Russia, c’è di mezzo una guerra mondiale. È la seconda volta che un papa ci si mette di traverso e (forse) riesce a evitarla. La prima volta fu con Giovanni XXIII, quando stava cominciando il Concilio, e il pomo della discordia era Cuba, e lui riuscì a salvare la pace. Ne venne poi fuori uno dei più straordinari documenti del magistero pontificio, la Pacem in terris, che riguardo alla guerra giusta, ai diritti, alla pari dignità della donna, alla libertà di coscienza, al costituzionalismo e all’ONU metteva la Chiesa in un luogo diverso da dove era sempre stata.
La seconda volta è ora con papa Francesco, quando siamo all’inizio del suo pontificato e il pomo della discordia è la Siria e lui è riuscito, finora, a fermare la guerra. Ne è anche venuta fuori una delle più alte azioni pastorali del ministero pontificio, la veglia di quattro ore dei centomila in piazza san Pietro, che riguardo al rapporto tra papa e popolo, tra parola e silenzio, tra devozione privata e liturgia pubblica e tra preghiera inerme e politica armata, ha dato alla Chiesa un’esperienza di fede quale forse non aveva mai avuto.
Non insistiamo sulle analogie dei due avvenimenti, anche se colpisce l’affinità, come cristiani, dei due interlocutori occidentali, Kennedy e Obama, la comune imprevedibilità dei due interlocutori russi, Krusciov e Putin, la simile povertà dei mezzi usati dai due papi, la radio papa Giovanni, una lettera papa Francesco, la stessa immediatezza del riscontro che hanno avuto i due interventi, la promessa del ritiro dei missili da Cuba, riguardo al primo, la promessa della consegna all’ONU delle armi chimiche in Siria, riguardo al secondo.
C’è piuttosto una novità da rilevare questa volta, ed è la concretezza politica dell’intervento di papa Bergoglio, che non ha evitato di entrare nel merito dello scontro, per destituire di senso la guerra sul piano della legittimità e dell’efficacia, dopo averla oppugnata sul piano umano e religioso.
I contenuti politici dell’iniziativa di papa Francesco, fuori dei momenti propriamente religiosi come l’Angelus, le omelie, la preghiera, si possono ricavare da diverse fonti.
La prima è naturalmente la lettera a Putin, come leader della Federazione russa e presidente del vertice di San Pietroburgo. In essa il papa denunciava gli “interessi di parte” che impediscono di trovare una soluzione che eviti “l’inutile massacro a cui stiamo assistendo”, e invitava i capi degli Stati del G20 a non rimanere inerti di fronte alle sofferenze della popolazione siriana e ad abbandonare “ogni vana pretesa di una soluzione militare”.
C’è poi la fonte del discorso fatto agli ambasciatori in Vaticano quella stessa mattina del 5 settembre dal Segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti, in cui alla condanna per l’impiego di armi chimiche negli attacchi del 21 agosto si accompagnava l’auspicio che si facesse chiarezza e fossero chiamati a rendere conto alla giustizia i responsabili, che dunque si supponeva non coincidessero col governo siriano. Inoltre il rappresentante della Santa Sede dichiarava assolutamente prioritario far cessare la violenza e indicava tre criteri per la soluzione del conflitto: 1) ripristinare il dialogo tra le parti e operare per la riconciliazione del popolo siriano; 2) preservare l’unità del Paese evitando la costituzione di zone diverse per le varie componenti della società; 3) garantire l’unità e l’integrità territoriale del Paese stabilendo nel principio di cittadinanza la pari dignità di tutti senza differenze di etnie o di religioni.
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lunedì 9 settembre 2013

Costituzione e democrazia hanno bisogno della proporzionale


Sulla base di un documento intitolato “La via maestra” (la Costituzione) firmato da Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelski, Lorenza Carlassare, don Luigi Ciotti e Maurizio Landini e promossa da molte Associazioni, si è tenuta l’8 settembre 2013 a Roma un’“assemblea aperta” intesa a promuovere movimento e iniziative per la difesa e l’attuazione della Costituzione. La partecipazione è stata molto numerosa, tanto che si sono dovute aprire tutte e tre le grandi sale del Centro Congresso di via Frentani. I lavori, presieduti da Sandra Bonsanti di “Libertà e giustizia”, sono stati impostati da una relazione di Stefano Rodotà e si sono conclusi con l’indizione di una grande assemblea popolare a Roma per il 12 ottobre.
Pubblichiamo qui l’intervento di Raniero La Valle, Presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione, che sono tra i promotori e i partecipi di questa complessa azione collettiva.

Confermo la partecipazione dei Comitati Dossetti per la Costituzione a questa iniziativa e all’impegno collettivo per la Costituzione e la democrazia, oggi così gravemente insidiate e minacciate in Italia. La lotta comune dei movimenti della società civile a presidio della Costituzione è necessaria non solo per interpretare e promuovere la coscienza costituzionale del Paese, ma anche per svegliare il Parlamento che spesso si fa sorprendere senza neanche accorgersene da iniziative di cambiamento e sovvertimento costituzionale, come è avvenuto con la precipitosa modifica dell’art. 81 e ora con la legge di deroga all’art. 138. La meritoria reazione parlamentare manifestatasi in questi giorni soprattutto grazie al Movimento 5 stelle, è partita in luglio quando la legge era stata già approvata in prima lettura e con procedura d’urgenza dalla Prima Commissione del Senato; ma probabilmente questa mobilitazione non ci sarebbe stata se prima non ci fosse stata la manifestazione popolare del 2 maggio a Bologna, il documento del 2 maggio dei giuristi dei Comitati Dossetti contro la progettata Convenzione e il grido d’allarme del 10 giugno degli stessi Comitati contro “la legge grimaldello” di deroga all’art. 138 approvata dal governo Letta il 6 giugno.
Giustamente è stato detto che l’iniziativa comune di oggi è solo un inizio. E infatti quando si tratta di difendere i supremi valori costituzionali e ripristinare l’onore, come ha detto Lorenza Carlassare, bisogna sempre ricominciare di nuovo. Tuttavia la battaglia per la Costituzione non comincia ora: l’attacco che le è stato mosso è cominciato nel 1989, alla rimozione del Muro, quando quello era il momento costituente per un mondo nuovo, e invece è partita l’offensiva contro il costituzionalismo considerato incompatibile con il profitto e la nuova competizione globale. Visto il tempo che ci stanno mettendo per neutralizzare la Costituzione, si può dire che questa non è una guerra lampo, ma è forse la guerra dei trent’anni, e la nostra difesa della Costituzione non è una corsa ad ostacoli, ma è una lunga maratona con una staffetta che si trasmette da una generazione all’altra.
Intanto non ci sono riusciti ad abbatterla, e la Costituzione è ancora lì. Ieri sera a piazza San Pietro c’erano centomila persone, tutte unite da due cose: la prima era che tutti si opponevano alla guerra contro la Siria; e la seconda era un grande, lunghissimo, collettivo silenzio che risuonava come l’alternativa più radicale in questa società di rumore e vane parole. Tra le centomila persone c’era una bandiera con su scritto: art. 11. Ciò vuol dire che l’Italia era presente in quella piazza, non con i suoi governanti infedeli, ma con la sua Costituzione.
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venerdì 6 settembre 2013

LA PUNIZIONE


di Raniero La Valle
L’altra volta fu diverso. Gli Stati Uniti bombardavano il Vietnam, Nixon veniva a Roma per vantarsi del sostegno del papa, Paolo VI aveva scelto la neutralità e perciò non condannava la guerra americana. Fu allora che una numerosa schiera di cristiani delle comunità di base, freschi di Concilio, si misero in cammino verso piazza san Pietro per chiedere alla Chiesa di opporsi alla guerra e di togliere ogni alibi ai bombardamenti punitivi sul Vietnam del Nord. Ma arrivati al colonnato, trovarono la polizia italiana che impedì loro l’accesso alla piazza e li respinse. Questa volta invece è il papa che convoca a piazza San Pietro cristiani di base e di vertice, credenti di altre fedi e di nessuna fede per fermare l’offensiva aerea che gli Stati Uniti e la Francia hanno indetto contro la Siria, ancora una volta non offrendo al mondo arabo altro che la guerra.
Dunque il papato è cambiato, la Chiesa ha capito, così come l’aveva invitata a fare il cardinale Lercaro (ciò che non gli fu perdonato), che “la sua via non è la neutralità ma la profezia”: già con Giovanni Paolo II del resto la Chiesa cattolica aveva trovato il coraggio di rompere il fronte occidentale opponendosi all’aggressione alla Iugoslavia e ai due conflitti del Golfo.
Quella che non è cambiata, invece, è la cultura laica e profana sulla guerra, il suo ritornello politico: c’è una soglia – una “linea rossa” – oltre la quale  “bisogna fare qualcosa” e questo qualcosa è la guerra, essa del resto non serve a conquistare ma a punire, è un freno per i malvagi ed è un esorcisma contro le armi “cattive” volto a colpire le stesse vittime con armi altrettanto cattive.
È anche vero però che i moventi della guerra si sono fatti sempre meno persuasivi, sicché i guerrieri riluttanti hanno sentito il bisogno di chiedere l’avallo dei Parlamenti; quello inglese ha detto di no, il Congresso americano recalcitra e chiede che in ogni caso si faccia una guerra a termine, senza morti americani e senza soldati a terra, per non finire come in Afghanistan e in Iraq, il Parlamento italiano è stregato e non pensa che alla exit strategy di Berlusconi, ma in ogni caso il ministro della difesa digiuna anche lui per la pace e le basi italiane non sono promesse che in caso di un’autorizzazione dell’ONU, che per fortuna non arriva perché l’ONU, che a termini di statuto non ha alcun diritto di guerra, non ha dato alcun mandato a nessuno di bombardare la Siria.
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