giovedì 27 giugno 2013

La vera relazione al d.d.l.

di Raniero La Valle

È in corso un attacco alla Repubblica e alla Costituzione; non parlo del precipitare verso il presidenzialismo che è di tutto il PDL, degli ex fascisti e di una parte consistente anche del Partito democratico: questo si discuterà quando si entrerà nel merito delle riforme costituzionali. Parlo della legge costituzionale che detta nuove e fantasiose procedure per la modifica della Costituzione, che il governo Letta d'accordo con Napolitano ha purtroppo presentato come uno dei punti fondamentali del suo programma e che, con arbitraria procedura d'urgenza, è in questo momento in discussione al Senato. Tale legge non è una legge che direttamente modifica la Costituzione, ma la "deroga", in quanto prescrive una procedura non costituzionale per la revisione costituzionale; è una legge di modifica che sarà la madre di tutte le modifiche e che perciò giustamente dai Comitati  Dossetti è stata chiamata "legge grimaldello".
Si tratta infatti dell'arma che mancava per le agognate riforme della Seconda parte della Costituzione, la quale, finora, grazie agli strumenti di garanzia che la presidiano, ha resistito a tutti i venti e le maree. Il grimaldello sta per l'appunto nel disegno di legge costituzionale che, accantonando l'art. 138 della Carta che la protegge, scardina le porte d'ingresso della revisione costituzionale e mette la Costituzione, resa in tal modo "flessibile" da rigida che è, alla mercé dell'attuale maggioranza parlamentare, innaturale e iconoclasta; e nello stesso tempo impedisce che si facciano, rispettando le regole, le vere e puntuali riforme che sono opportune e coerenti (a cominciare dalla differenziazione del bicameralismo, con la novità di un Senato della Repubblica e delle autonomie).
La battaglia per far fallire questa legge interrompendone l'iter parlamentare, è dunque la battaglia estiva da fare, e la più urgente. La normativa che sancisce la deroga dovrebbe essere infatti approvata in seconda lettura (trattandosi di una legge costituzionale) tra l'ottobre e il novembre prossimi, e il tempo è poco  perché si tratta di convincere il Parlamento a far cadere la legge, o almeno a non approvarla con la maggioranza dei due terzi, ciò che permetterebbe il ricorso al referendum popolare per una sua conferma o bocciatura.
Il tempo è poco anche perché in questi mesi, prima che la legge grimaldello vada in vigore, bisognerebbe modificare la legge elettorale "Porcellum"; dopo non sarà più possibile perché la riforma elettorale entrerà nel pacchetto delle riforme costituzionali e quindi se ne parlerà tra due anni, e nel frattempo il "Porcellum"sarà blindato come immodificabile, sicché o non si potranno sciogliere le Camere o si dovrà votare ancora una volta con la legge vigente, che ci ha procurato i Parlamenti deformi che sappiamo.
Ma perché questo accanimento per cambiare la Costituzione, che giunge fino al tradimento dei principi e delle regole su cui essa è fondata?
Il governo, che si è autoproclamato dominus e arbitro della riforma costituzionale, ha presentato al Senato una relazione che accompagna il disegno di legge grimaldello, dicendone tutto il bene possibile.
Ma la vera relazione, negli stessi giorni, è quella che si ricava da un documento della Jp Morgan, la famosa banca d'affari americana che ha così grandi responsabilità nelle speculazioni che innescarono nel 2008 la crisi mondiale. Per quanto la si possa accusare di avventatezza, la Morgan di capitalismo se ne intende. E in un documento del 28 maggio scorso ha scritto, nero su bianco, che la colpa del dissesto economico europeo è delle Costituzioni nate dopo la caduta delle dittature, e "rimaste segnate da quell'esperienza": insomma delle Costituzioni antifasciste. Esse mostrerebbero una forte influenza delle "idee socialiste" (l'apporto dei cattolici e dei liberali è ignorato) ragion per cui è oggi difficile applicare le misure di austerità; infatti a causa di quelle Costituzioni i Parlamenti sono troppo forti nei confronti dei governi, le regioni troppo influenti sui poteri centrali, ci sono le tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori e - addirittura! - c'è "la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo".
Già si era detto che la convinzione dominante a Bruxelles e a Francoforte (cioè nella Banca e nelle istituzioni europee e nella Banca tedesca) fosse che per affrontare la concorrenza internazionale si dovrebbero abbandonare "molte delle conquiste della civiltà europea degli ultimi cinquant'anni", ed ecco che i banchieri americani danno il nome a queste conquiste da cancellare: sono le Costituzioni.
in Italia si sta provvedendo. Glielo lasceremo fare?

                                                                                      Raniero La Valle 
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mercoledì 19 giugno 2013

LA FEDE CHE I NOSTRI TEMPI RICHIEDONO


Raniero La Valle: la mia rilettura del Concilio

Relazione tenuta il 17 maggio 2013 nella Biblioteca di San Gregorio al Celio

Per la prima volta riprendo la parola dopo una convalescenza, e non so se ancora ne sarò adesso capace.  Se no, vorrete scusarmi.
Per parlare del Concilio, come del resto di qualsiasi altra cosa, bisogna prima di tutto aver chiaro qual è il luogo da cui si parla; perché il luogo determina anche la qualità del discorso.
Noi ne parliamo da San Gregorio, che è stato precisamente uno dei luoghi del Concilio. Il Concilio non si svolgeva infatti solo in San Pietro, ma era sparso per tutta la città; e anche la gratia loci del Concilio non era solo quella che si sprigionava dalla Basilica Vaticana, ma quella che scaturiva da molti altri luoghi di Roma e del mondo; e uno di questi luoghi era San Gregorio; c'era una gratia loci di San Gregorio a partire da Padre Benedetto, da don Dossetti e dai vescovi che lo frequentavano, e don Innocenzo se lo ricorda.
Allora per ritrovare in questo luogo la grazia del Concilio dopo cinquant'anni,  io vorrei partire da una delle ultime massime di San Gregorio Magno, che don Innocenzo ci trasmette con così fedele cura attraverso il blog intitolato a papa Gregorio, di cui vorrei qui ringraziarlo.
Questa massima tratta dalle Omelie sui Vangeli”, giuntaci qualche giorno fa, dice: otiosus est sermo docentis, si praebére non valet incendium amoris; cioè “la parola di chi insegna è sprecata se non innesca in chi ascolta l’incendio dell’amore".
Che significa questo?
Significa che è inutile parlare del Concilio se questo non accende in noi l’amore; e soprattutto che non si può parlare del Concilio se non se ne parla con amore.
Ora però proprio qui c’è una delle più grandi difficoltà riguardo al Concilio. Il Concilio è stato un grandissimo atto di amore, di Dio, della Chiesa, di papa Giovanni, e anche dei vescovi e dei periti che si azzuffavano per far prevalere una tesi o un’altra, naturalmente sempre per il maggior bene di Dio e della Chiesa.
Ma poi la ricezione del Concilio è stata una ricezione senza amore. E’ stata una ricezione nella paura, come se si fosse messo in movimento un meccanismo che non si riusciva più a controllare, come è accaduto con la riforma liturgica, che è stata bloccata; è stata una ricezione nella reticenza e nella censura, perché ci furono delle cose di cui definitivamente non si doveva parlare, il celibato dei preti, il sacerdozio delle donne, il diaconato femminile, il controllo delle nascite; è stata una ricezione per alcuni nel risentimento e nella ribellione, come clamorosamente è avvenuto con Lefebvre e più discretamente con tutti i lefebvriani nascosti nella Chiesa, il cui numero veniva intanto sistematicamente accresciuto ad ogni infornata di nuovi vescovi o cardinali; è stata una ricezione restauratrice tendente a ripristinare lo stato di cose passate, come se il Concilio non ci fosse stato; questa restaurazione non è riuscita per esempio quando si è tentato di inumare la Chiesa del Concilio nel sarcofago giuridicistico di una Lex Ecclesiae fundamentalis in cui si voleva ridurre in formule normative tutto il Concilio - quella restaurazione Bologna e San Gregorio riuscirono a sventarla, informandone e allertando, con un grande movimento di comunione, tutta la Chiesa – però  è riuscita in molteplici altri campi: nella controriforma liturgica dopo la liquidazione di Lercaro e Bugnini, nello svuotamento della collegialità finita nella fiction del Sinodo dei vescovi, nel rilancio del papa come vescovo universale e epitome della Chiesa attraverso i grandi viaggi epocali e la bolla mediatica creata attorno a Giovanni Paolo II; restaurazione è stata anche  la revoca alle Chiese protestanti della qualifica di Chiese sorelle operata dalla Congregazione di Ratzinger, e la comunione ristabilita con i vescovi scismatici di Lefebvre.
Quanto al rapporto con le grandi religioni dell’umanità, dopo l’apertura del primo incontro interreligioso di Assisi, è stata una restaurazione il secondo incontro celebrato apparentemente allo stesso modo vent’anni dopo, ma con la riserva che ciascuno chiuso nella propria stanza a una data ora pregasse separatamente il proprio Dio.
Inserita in questo discorso accidentato, la ricezione del Concilio è stata sbattuta tra negazioni e nostalgie, tra involuzioni e fughe in avanti, tra calcoli e rassegnazioni; tutto, fuorché  l’amore.
Io credo, tuttavia, che l’amore acceso dal Concilio abbia continuato a correre incoercibile nelle vene segrete della Chiesa, nelle missioni, nelle nuove teologie, nelle nuove forme di volontariato e di vita cristiana, nel rinnovamento del monachesimo, ma a livello di Chiesa intesa come nomenclatura, come struttura gerarchica, cioè a livello di quella Chiesa che è descritta al cap. III della Lumen Gentium, quella Chiesa che sta al terzo posto dopo la Chiesa come mistero e dopo la Chiesa come popolo di Dio, insomma al livello di quella Chiesa che è raccontata dai media, il Concilio è stato vissuto come un segno di contraddizione, come qualcosa con cui fare i conti, non come qualcosa da amare. I papi che hanno ereditato il Concilio magari lo hanno adottato con lealtà, ma senza amore.
Paolo VI pensò addirittura che il diavolo ci si fosse messo di mezzo. Ha detto il 29 giugno 1972 nel giorno solennissimo di San Pietro, che mentre si era creduto che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa, era “venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza”.
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giovedì 13 giugno 2013

SOLO MISERICORDIA


di Raniero La Valle

Finalmente abbiamo un pastore che invece di parlare di principi non negoziabili (con cui non si mangia, direbbe Berlusconi) o condannare "comportamenti devianti" (ciò che già non gli perdonano), ci dà una buona notizia, una buonissima notizia. Quel pastore è il papa Francesco, e la buona notizia, l' "evangelo", è che Dio è misericordia.
Questa di per sé è una buona notizia, ma non sensazionale, perché è di dominio comune, almeno nel cristianesimo, che Dio sia misericordioso. La straordinarietà della notizia consiste nel fatto che Dio è "solo misericordia". E questa non è affatto una convinzione comune, anzi è rarissima, e c'è moltissima gente che all'idea di un Dio giustiziere, punitivo, vendicativo, che arriva a colpire inesorabilmente anche quei malvagi che a noi sfuggono, non vuole rinunziare.
Papa Francesco dice invece che Dio è solo misericordia, e che "perdona sempre". Non vorrei citare i discorsi specifici in cui egli ha fatto questa affermazione, sia che l'abbia fatta nelle straordinarie omelie mattutine di Santa Marta (nelle quali fa pensare allo stile delle "Omelie sui Vangeli" di San Gregorio Magno), sia che l'abbia fatta in  altre occasioni, perché in realtà questo annuncio del Dio che perdona è presente sempre nel suo magistero. Potrei citare in particolare l'Angelus della domenica dedicata al cuore di Gesù, nel quale l'invito all'immensa folla a credere che Dio ci perdona sempre, sempre, e lo fa per amore, era particolarmente insistente e accorato.
Cosa, appunto, singolare. Perché senza dubbio questa idea di un Dio che è solo misericordia sta nella tradizione sia ebraica che cristiana, ma è pochissimo frequentata, mentre prevale l'idea di un Dio che giudica, e poi perdona, ma anche punisce e condanna in questa vita e nell'altra. Il giudizio universale di Michelangelo nella Cappella Sistina pesa come una cappa di piombo sulla nostra fede, e l'inferno di Dante è ormai padrone del nostro immaginario religioso.
Si respira quando ci si imbatte in un Talmud babilonese (uno scritto ebraico del XII secolo), in cui si dice che quando il mondo è messo male per le sue colpe, "Dio si alza dal trono della giustizia e si siede sul trono della misericordia". Sui "due troni" si ricorda una bellissima omelia di padre Balducci alla Badia Fiesolana. La stessa idea della "sola" misericordia, che è essa stessa giustizia, percorre una "corrente calda" del cristianesimo d'Occidente e d'Oriente, di cui Isacco di Ninive, almeno a mia conoscenza, è una delle massime espressioni.
Che ora questa certezza venga tranquillamente e ripetutamente predicata dal Papa, nella misura in cui non si riduca a una pia iperbole ma se ne riconosca lo spessore teologico, è un evento per la fede degli uomini e delle donne del nostro tempo. Lo è perché certamente il Dio raccontato dal Concilio Vaticano II era così, ma così non era il Dio permaloso che era annunciato, anche nelle preghiere della Messa, prima del Concilio: un Dio offeso, che doveva essere "placato", doveva essere "soddisfatto", e aveva voluto essere risarcito col sacrificio del Figlio, che proprio per questo, "discendendo dai cieli", sarebbe stato mandato a morire sulla croce. Ed è straordinario l'annuncio del Dio di sola misericordia di papa Francesco, perché neanche dopo il Concilio il Dio annunziato dalla Chiesa è così, non è così il Dio del catechismo della Chiesa cattolica, che è ancora quello che ha cacciato gli uomini dal giardino dell'Eden infliggendo loro una quantità di deprivazioni e di dolori a causa di un peccato ancora chiamato "originale".
Dunque questo è un evento, ed è una festa. Allora ricominciamo ad annunciare la fede da qui, e le chiese, e forse anche i seminari, torneranno a riempirsi, come si riempie la piazza San Pietro.
Naturalmente resta un problema. Se Dio non giudica alla maniera umana, chi giudicherà e tratterrá i malvagi dalle loro nequizie, e non li lascerà "impuniti"? È evidente che ciò toccherà alla giustizia degli uomini, che perciò è tra le più alte, e decisive e difficili delle incombenze umane e dei poteri pubblici. La storia della giustizia lo dimostra, con i suoi orrori (compresa l'Inquisizione) e con le sue straordinarie illuminazioni e conquiste degli ultimi secoli nel tempo del costituzionalismo.
Ma come fare giustizia? Se non ha a che fare con la giustizia di Dio essa però, nella sua diversità laica, non deve porsi in contraddizione con la giustizia e la misericordia di Dio, il quale sempre resta il modello da imitare. Perciò la giustizia umana dovrà comunque essere intrisa di carità, mirare non alla distruzione ma alla "rieducazione" del colpevole, non ammettere torture e "trattamenti contrari al senso di umanità", proprio come dice la nostra oggi oltraggiata Costituzione, non compiacersi della prigione, aborrire la pena di morte.
Ma siamo appena all'aurora.
                                                             Raniero La Valle
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lunedì 10 giugno 2013

La legge grimaldello contro la Costituzione grave errore del Governo e dei partiti


I Comitati Dossetti per la Costituzione denunciano come inammissibile il disegno di legge costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri il 6 giugno 2013, che detta nuovi modi e tempi per la riforma della Costituzione in violazione dell'art. 138 della Carta.
Violazioni che  consistono, a tacer d’altro:
  1. nel riconoscimento al Governo dell’inusitato ruolo di proponente delle riforme costituzionali, per giunta coadiuvato da una commissione di esperti nominati dallo stesso Governo;
  2. nell’altrettanto inusitata imposizione di un limite temporale al procedimento di revisione, come se si trattasse dell’approvazione, con caratteri d’urgenza, di una legge ordinaria;
  3. nella diminuzione da tre mesi ad uno dell’intervallo intercorrente tra la prima e la seconda approvazione del testo delle leggi di revisione costituzionale: un intervallo voluto espressamente dai Costituenti perché le eventuali modifiche costituzionali potessero essere adeguatamente discusse nell’opinione pubblica prima della delibera  definitiva delle Camere (nella quale, com’è noto, non è ammissibile la presentazione di emendamenti) .
Si è eccepito che queste modifiche verrebbero ad essere contenute in una legge costituzionale ad hoc. Questa non è però una valida giustificazione. Da un lato tali modifiche spiegherebbero infatti “effetti permanenti” con riferimento alla disciplina procedimentale delle future leggi costituzionali, per cui si tratterebbe di “deroghe con effetti permanenti” e cioè di vere e proprie modifiche surrettizie all’art. 138; dall’altro il fatto che tali modifiche siano contenute in una legge costituzionale non significa alcunché perché le leggi costituzionali, non diversamente dalle leggi ordinarie, devono rispettare i limiti formali e sostanziali posti dalla Costituzione.
Si tratta pertanto di una legge grimaldello che fa saltare le garanzie e le regole che la Costituzione stessa ha eretto a sua difesa, e che finché sono in vigore vanno rispettate. Essa contempla che in diciotto mesi vengano cambiati forma dello Stato, forma di Governo, Parlamento e l’intero equilibrio fra i poteri dello Stato su cui riposano i diritti dei cittadini.
I Comitati Dossetti per la Costituzione, richiamandosi alla grande manifestazione di patriottismo costituzionale tenutasi a Bologna il 2 giugno con la partecipazione di popolo e rappresentanti di movimenti di massa, e dando seguito al loro appello del 2 maggio “Giuristi contro la Convenzione”, fanno presente al Governo ed alla maggioranza parlamentare che con tale disegno di legge, rispecchiante la mozione delle Camere del 29 maggio scorso, viene compiuto un gravissimo errore, a cui, tuttavia, sarebbe ancora possibile non dare corso.
La previsione e l’auspicio, formulati da molti e dallo stesso Presidente della Repubblica che da qui a poco più di diciotto mesi si possa concludere l'iter delle riforme, sono tutti basati sul presupposto che il disegno di legge costituzionale, presentato ora al Parlamento, sia subito approvato e poi, nello spirito dell’Alleanza manifestatasi il 29 maggio, sia definitivamente varato in seconda lettura alla fine di ottobre, con una maggioranza che superi i due terzi dei voti, in modo tale che sia esclusa la possibilità di indire il referendum confermativo.
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