sabato 31 maggio 2014

Un secondo Francesco in Terra Santa


PROVIAMO CON LA RELIGIONE di Raniero La Valle

Mentre  l’Europa, chiusa nella sua fortezza, votava il 25 maggio per i suoi egoismi, per il suo denaro, per i suoi divieti di ingresso e incoronava nuovi leaders populisti fatti di nulla, quello che una volta si chiamava Patriarca d’Occidente e che perciò doveva essere il primo a trepidarne, era volato a Gerusalemme quasi a dire all’Europa che le sue vere frontiere stavano lì, presso nuovi popoli, dove oggi si giocano la pace, la civiltà e il futuro del mondo.
Il Papa è andato lì come vescovo di Roma, per ripetere il gesto compiuto durante il Concilio da Paolo VI che vi era corso ad abbracciare il vescovo di Costantinopoli, divisi com’erano, da novecento anni, da reciproche scomuniche. Però questo nuovo evento di comunione tra i due Patriarchi delle Chiese divise non poteva essere semplicemente una replica dell’antico. Non doveva essere solo incontro ma già preghiera comune. E doveva mostrare che se fra i gerarchi delle due Chiese, successori degli apostoli Pietro ed Andrea, la pace ormai era fatta, c’era ora una pace ben più difficile e necessaria da fare, quella tra le Chiese stesse, tra i loro fedeli.
Sono le Chiese e i fedeli infatti, non solo i loro capi e teologi, che si devono riconciliare. Esse sono divise tra Oriente e Occidente come all’interno di ogni Paese, e perfino a Gerusalemme esse sono a malapena capaci di convivere attorno al sepolcro di Cristo solo grazie alla puntigliosa osservanza del decreto di un Sultano ottomano. Ma non basta migliorare i rapporti. E a poco varrebbe che il Papa, il Patriarca ortodosso  e gli altri esponenti cristiani abbiano pregato insieme al sepolcro, se poi i fedeli delle loro Chiese continuassero a essere separati dall’eucaristia, a non poter praticare l’intercomunione, a trovarsi ciascuno davanti a una mensa divisa. L’eucaristia non può continuare ad essere la pietra d’inciampo, su cui si esercita il potere di ciascuna Chiesa per decidere chi sta dentro e chi sta fuori del recinto sacro, per separare nel popolo di Dio i membri regolari dai sans papier. Su questo cammino papa Francesco sembra voler andare: ha già detto che l’eucaristia non si può usare come un premio o come un castigo, e se egli vuole trovare una strada perché possano comunicare nell’eucaristia i divorziati risposati, tanto più vorrà cercare di aprire una via perché possano comunicare nella condivisione della Parola e della mensa eucaristica i fedeli delle diverse confessioni cristiane.
Del resto è chiaro che l’ecumenismo tra le Chiese non è solo un affare di relazioni esterne, ma comporta una riforma interna di ciascuna Chiesa. Il Papa sa che ristabilire il rapporto con le Chiese ortodosse significa recuperare una modalità collegiale e sinodale della vita della Chiesa romana, e comporta anche la disponibilità a rivedere i modi di esercizio del primato petrino, come ha ripetuto a Bartolomeo; ma ancor più ciò vorrebbe dire recuperare anche le luminose intuizioni della tradizione orientale, come quella che assorbe la giustizia nella misericordia di Dio, che per mille anni la Chiesa di Roma ha lasciato offuscare.  

L’unità tra il religioso e il politico

Questo, dell’unità tra le Chiese, è stato il primo scopo del viaggio. Ma altre unità da costruire sono entrate potentemente in gioco nelle poche ore di questo straordinario pellegrinaggio, che per la sua qualità senza precedenti non è sembrato tanto il pellegrinaggio del quarto papa in Terra Santa (dopo Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), quanto quello di un secondo Francesco. Tre unità sono state propugnate da papa Francesco nei tre giorni del suo passaggio: l’unità tra israeliani e palestinesi, quella tra musulmani, ebrei e cristiani, quella tra cristiani ed ebrei.
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lunedì 19 maggio 2014

QUALE DIO OGGI?

CHIESA DI TUTTI CHIESA DEI POVERI

Relazione tenuta da Raniero La Valle sabato 17 maggio a Roma in apertura dell'assemblea del movimento "ChiesadituttiChiesadeipoveri" in ricordo dei 50 anni dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

QUALE DIO OGGI?

Questa assemblea si inserisce in un percorso che ha preso come suo punto di partenza quell’11 settembre 1962 in cui papa Giovanni, tracciando il programma del Concilio, annunciò un nuovo Natale della Chiesa. Secondo questa nuova nascita essa sarebbe stata Chiesa di tutti e soprattutto Chiesa dei poveri. Non cambiava il soggetto Chiesa, come ci terrà a dire Benedetto XVI, ma essa sarebbe rinata dall’alto, cioè dallo Spirito. È stato infatti lo Spirito che ha voluto il Concilio, per “ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria”; questa è l’affermazione che ha fatto papa Francesco alla canonizzazione di Giovanni XXIII. Papa Giovanni, nel convocarlo, è stato docile allo Spirito, e proprio per questo Francesco lo ha proclamato santo. Ora, ripristinare e aggiornare vuol dire appunto far nascere una seconda volta.
Questa nuova nascita della Chiesa ha avuto una lunga gestazione, di cui la “Lumen Gentium” è stato il punto d’avvio. È venuto poi il processo postconciliare, ma tardava a nascere la Chiesa dei poveri, finché il 13 marzo 2013 nella cappella Sistina il papa appena eletto, rispondendo all’invito del suo amico brasiliano cardinale Hummes di “ricordarsi dei poveri”, prese il nome antidinastico di Francesco. E quando il papa si presentò con quel nome alla gente raccolta in piazza san Pietro e chiese la benedizione e l’investitura silenziosa del popolo, sembrò che una lunga attesa fosse giunta a compimento. Come il santo vecchio Simeone, quando Gesù venne presentato nel tempio, capì che cominciava una nuova stagione per la fede di Israele, così quando al balcone della basilica si presentò questo pastore che si inchinava alle pecore, il popolo romano avvertì che forse qualcosa cominciava di nuovo. E non si trattava solo della novità di “una Chiesa povera per i poveri”, come la voleva il papa, cioè di una novità per la Chiesa istituzione, ma di una novità per la fede, e quindi per il mondo, se per fede si intende il rapporto del mondo con Dio.
Così lì, in quel crepuscolo romano, si compiva quel “balzo innanzi” che cinquant’anni prima, aprendo il Vaticano II, papa Giovanni aveva detto che ci si aspettava dal Concilio. Per cinquant’anni si era creduto che quel balzo innanzi riguardasse la Chiesa e la sua riforma, non il contenuto stesso della fede. Si pensava che il Concilio nulla avesse innovato nella fede, come se la sua natura pastorale lo avesse reso incapace di penetrazione dottrinale e di riflessione teologica. Ma il balzo innanzi che secondo Giovanni il Concilio doveva far fare alla Chiesa era proprio nella “penetrazione dottrinale” e nella educazione delle coscienze alla fede, e proprio questo il Concilio aveva fatto. Inutilmente esso si sarebbe occupato della Chiesa, se lo scopo e il cimento non fossero stati di ripristinare e aggiornare la trasmissione della fede;  l’aveva detto anche Ratzinger quando era ancora cardinale commentando la “Lumen Gentium” (27 febbraio 2000): “Una Chiesa che esiste solo per se stessa è superflua”.
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venerdì 16 maggio 2014

L’EUROPA E IL MARE


di Raniero La Valle

Nemmeno quindici giorni prima delle elezioni europee, l’Europa è finita annegata nel mare tra Tripoli e Lampedusa. È  lei che è colata a picco nel Mediterraneo con i due barconi di profughi affondati nel giro di due giorni con uomini donne e perfino neonati di pochi mesi.
L’Italia ha cercato di salvarli: una bella cosa umanitaria nel mare comunque definito “nostrum”, in latino; il che vuol dire che attraversarlo senza visto è pur sempre un reato, la cui punizione però grazie ai maggiori scrupoli del centro-sinistra non è più la morte, cioè il lasciarli affogare. Ma è bastato che l’Italia decidesse di non fare annegare i naufraghi perché si mostrasse la durezza dell’Europa: l’Europa non li vuole, una volta salvati, perché gli uomini non sono capitali e la grande conquista europea è la libera circolazione dei capitali, non la libera circolazione degli esseri umani.
Inutilmente il ministro Alfano e quella degli esteri Mogherini si lamentano “con l’Europa” perché non fa il suo dovere: vedete, dicono, questo non è un problema “nostro”, l’Italia è solo una porta d’ingresso, anzi gli immigrati nemmeno ci vogliono venire, sbarcano senza farsi riconoscere per non essere cacciati nei centri di detenzione e di espulsione, e subito cercano di raggiungere gli altri Paesi del continente.
Ma proprio questo svela l’insensatezza delle politiche sia dell’Italia che dell’Europa, che si possono così riassumere:
1)      gli altri, i non comunitari e non europei, in Europa non ci devono venire. Se ci vengono, è un reato, la cui unica esimente è il diritto di asilo; esso però più che un diritto è una grazia concessa dal singolo sovrano europeo, e se non è concessa o si scompare come clandestini o si è espulsi.
2)      Quelli che vengono per mare devono essere salvati dalla Marina Militare, perché continuare a non farlo sarebbe un crimine contro l’umanità, perché sarebbe un omesso soccorso contro il diritto marittimo e perché se no il papa torna a Lampedusa.
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venerdì 9 maggio 2014

FINE DEL PARTITO DEMOCRATICO?

Raniero La Valle _ Intervento al dibattito su Senato e legge elettorale promosso dalla Associazione per Rinnovamento della Sinistra alla Sala della Mercede della Camera dei Deputati l‘ 8 maggio 2014.

Sul Senato vorrei dire solo due cose. Anzitutto vorrei richiamare il monito che qualche giorno fa faceva il costituzionalista Mario Dogliani parlando a un incontro promosso dal Centro per la Riforma dello Stato: il monito al Partito Democratico perché dopo i deludenti dibattiti in direzione e in Parlamento sull’Italicum e sul passaggio dal governo Letta a Renzi, non abbandonasse ora senza combatterla la battaglia per il Senato.
In secondo luogo vorrei dire che in una democrazia ben fondata e seria non ci sono pregiudiziali di principio contro il monocameralismo. Alla Costituente ci fu una posizione monocameralista e anche Ingrao, come si legge nel suo libro uscito oggi, dopo l’esperienza di Presidente della Camera si pronunciò per un’opzione monocamerale; in questi giorni io stesso ho scritto che piuttosto che un Senato di notabili locali, con senatori magari di nomina quirinalizia, come quello a cui l’inviato piemontese in Sicilia voleva ascrivere il principe di Salina nella logica del Gattopardo, io preferirei che l’Italia offrisse di ospitare a Palazzo Madama un Senato dei popoli aprendosi al mondo.
Però io credo che qui vi sia di mezzo ben più che il Senato, c’è di mezzo la qualità della democrazia, perché nella cultura degli attuali riformatori non c’è un coerente disegno costituzionale, ma c’è, sulla scia del processo alla politica, l’idea di buttare a mare una zavorra e di cominciare con l’abrogare mezzo Parlamento.
Ma soprattutto mi pare che in questi giorni si stia consumando una tragedia politica, che è la fine del Partito Democratico, come già finirono la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. Già nelle maratone televisive, nei giornali, nel dibattito politico il Partito Democratico, gli esponenti democratici non ci sono più, c’è solo il renzismo e ci sono i renziani e le renziane. E la questione si pone sul lato dei contenuti e sul lato dello stile, che è sostanza anch’esso.
Sul lato dei contenuti quella che appare è una destra finalmente pervenuta al potere. E’un evento che giunge in Italia con un ritardo di vent’anni, perché Berlusconi ha occupato il potere ma non è stato a misura di esercitarlo, impedendo nello stesso tempo a chiunque altro, compresa la destra, una destra presentabile, di esercitarlo. La chiave di questo paradosso del potere e dell’impotenza di Berlusconi sta nella frase che più di ogni altra nelle polemiche del tempo colpì il centro destra e provocò l’indignazione dei seguaci di Berlusconi: voi non siete presentabili.
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domenica 4 maggio 2014

Raniero La Valle: commento alla Messa per i 22 anni dalla morte di Padre Balducci alla Badia Fiesolana il 27 aprile 2014.


Credo che a nessuno possa sfuggire il significato profondo del fatto che celebriamo questa messa nel ricordo di padre Balducci nel momento in cui avviene la canonizzazione di papa Giovanni che è quasi il suggello di tutto ciò che padre Balducci ha pensato e sperato. Che papa Giovanni sia oggi proclamato santo in piazza San Pietro è per padre Balducci come un ritorno a casa, e lo è anche per noi.
Tuttavia se ora io facessi una bella commemorazione di padre Balducci, ignorando le Scritture che abbiamo appena ascoltato, farei tre tradimenti.
Il primo tradimento sarebbe allo stesso padre Balducci, di cui ho sempre detto che le cose più belle e più durature erano quelle meravigliose omelie sulle letture della messa, che preparava passeggiando nel chiostro dopo aver letto i giornali.
Il secondo sarebbe a papa Francesco che proprio in ciò, annunciando ogni mattina il Vangelo a Santa Marta, ha fatto la sua rivoluzione. Anzi proprio per questo è andato ad abitare a Santa Marta, perché lì può dire sempre la messa con i fedeli, e non con la faccia voltata verso il muro, come facevano i papi nella cappella privata dei Palazzi apostolici; è a partire da lì che cambia il pontificato, perché come aveva scritto papa Giovanni nel “Giornale dell’Anima” “al di sopra di tutte le opinioni e i partiti che agitano e travagliano la società e l’umanità intera è il Vangelo che si leva. Il papa lo legge e coi vescovi lo commenta …”. Questo deve fare il papa; se il papa lo fa, lì comincia la riforma del papato e della Chiesa.
Oggi, per usare un’espressione di padre Balducci, c’è un cerchio che si chiude. Da papa Giovanni a papa Francesco c’è un ponte che scavalca cinquant’anni di deserto, un ponte che dall’11 settembre 1962, quando un mese prima del Concilio papa Giovanni parlò della Chiesa di tutti e soprattutto Chiesa dei poveri, al 13 marzo 2013 quando il cardinale brasiliano Claudio Hummes al papa Bergoglio appena eletto disse nella Sistina: “ricordati dei poveri”, e lui decise di chiamarsi Francesco.
Il terzo tradimento, se non parlassimo delle Scritture, sarebbe alla parola di Dio che non può tornare a lui senza aver primo irrigato la terra (Is.53,10-11).
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venerdì 2 maggio 2014

QUATTRO PAPI E UN CONCILIO


di Raniero La Valle

La retorica dei “quattro papi”, due in cielo e due in piazza san Pietro, ha dominato la rappresentazione mediatica delle canonizzazioni papali del 27 marzo; ma non si potrebbe capire il significato profondo di tale evento se si restasse alla superficie della sua spettacolarità e non si entrasse nel clima di estrema discrezione e intensità che papa Francesco ancora una volta ha saputo creare nella piazza, e di cui è stata espressione la essenzialissima e scarna omelia da lui pronunciata al Vangelo.
Ciò ha fatto della canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II non la celebrazione trionfale di due nuovi eroi della fede, portati agli onori degli altari perché ne traesse più lustro la Chiesa, ma un atto fondativo di una Chiesa capace di entrare nella sofferenza del mondo e chiamata a rinnovarsi nel capo e nelle membra.
Papa Francesco ha individuato infatti  nelle piaghe del Cristo, che sono anche le piaghe del mondo, la matrice e il contesto di questa abbondante santità che è scaturita dal soglio pontificio; e ha ricondotto a un’unica origine sia la testimonianza di papa Giovanni, sia quella di papa Wojtyla che le è seguita, sia la travagliata storia della Chiesa degli ultimi cinquant’anni, sia quel riunirsi a Roma di un milione di persone per celebrare i due papi, sia il compito assegnato al suo stesso pontificato: e quest’ unica origine è la docilità allo Spirito Santo in forza della quale Giovanni XXIII ha convocato il Concilio.
Nel convocare il Concilio papa Giovanni non si è messo infatti alla guida della Chiesa come un pastore conduce il gregge ma, secondo Francesco, “si è lasciato condurre”, ed è stato per la Chiesa  “una guida guidata, guidata dallo Spirito. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per questo – ha aggiunto Francesco – a me piace pensarlo come il papa della docilità allo Spirito Santo”. Qui naturalmente c’è l’elogio della virtù personale di Angelo Roncalli, ma riguardo alla Chiesa questo vuol dire una cosa sola: che il Concilio è stato convocato dallo Spirito Santo, che il Concilio è stato, ed ancora è, per quanto ne seguirà nella Chiesa, opera di Dio.
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