venerdì 28 febbraio 2014

PER UN PARLAMENTO COSTITUENTE A BRUXELLES

ASSEMBLEA PROMOSSA DA ECONOMIA DEMOCRATICA – SBILANCIAMOCI – 
COMITATI DOSSETTI PER LA COSTITUZIONE

Roma 12 aprile 2014 ORE 10 al Centro Congressi di Via dei Frentani 4

EGUAGLIANZA E INCLUSIONE IN ITALIA E IN EUROPA  
                           
Le elezioni per il Parlamento europeo avvengono nel segno di un rovesciamento. Il sogno dell’Europa unita si sta trasformando in un incubo. In Grecia le famiglie devono scegliere se comprare la luce, il cibo o le medicine. In Italia imprenditori si suicidano perché nessuno paga i loro crediti. In Francia e in altri Paesi fondatori della Comunità europea il principale emigrante è diventato il lavoro, che va dove è più abbondante ed è meno pagato e non ha alcun diritto. L’ideale politico dell’Europa unita, che avrebbe dovuto realizzarsi col superamento degli Stati nazionali e l’instaurazione della pace, è naufragato in un arretramento della politica che ha ceduto all’economia, alla finanza e al denaro, nel frattempo diventato euro, il governo della società e la sovranità che dai popoli europei avrebbe dovuto passare al popolo dell’Europa.
In questo contesto le politiche antisociali di rigore imposte dagli organi comunitari in ossequio ai mercati finanziari stanno producendo, in gran parte dell’Unione, una recessione che pesa interamente sui ceti più deboli, provocando un aumento della povertà e della disoccupazione e una riduzione delle prestazioni dello Stato sociale. Ne risulta minato il processo di integrazione, ben prima che sul piano politico e istituzionale, nella coscienza e nel senso comune di gran parte delle popolazioni europee. L’unità del nostro continente richiede infatti lo sviluppo di un senso di appartenenza a una medesima comunità, quale solo può provenire dall’uguaglianza nei diritti, oggi smentita dalla crescente diseguaglianza tra popoli del nord e popoli del sud dell’Europa, non soltanto nei diritti sociali, garantiti ai primi e sempre meno ai secondi, ma anche nei diritti politici, essendo incomparabile il peso, ai fini del governo dell’Unione, del diritto di voto nei Paesi più ricchi e in quelli più poveri.
Proprio in questi ultimi Paesi, nei quali fu più entusiasta e pressoché unanime l’adesione all’Unione, sta perciò sviluppandosi un antieuropeismo rabbioso, che si manifesta in una crescita delle destre xenofobe e populiste, nel rifiuto dell’integrazione, nella richiesta di uscita dall’eurozona oppure, nel migliore dei casi, in una disincantata delusione. Sta così accadendo che il mercato comune e la moneta unica, che i padri costituenti dell’Europa concepirono e progettarono come fattori di unificazione, sono oggi diventati, in assenza di politiche economiche comuni e solidali, altrettanti fattori di conflitto e di divisione.
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sabato 15 febbraio 2014

CHI FARÀ LA RIVOLUZIONE DI FRANCESCO?

di Raniero La Valle

C’è una questione seria: chi farà la rivoluzione di papa Francesco? Non parlo della  rivoluzione nella Chiesa, che papa Francesco chiama «conversione» o anche «permanente riforma» e che, come dice nella Evangelii Gaudium, deve cominciare dalla conversione del papato: questa la deve fare lui e con lui la devono fare i credenti della sua Chiesa Ma la rivoluzione che papa Francesco invoca per la società, e che lui chiama riforma finanziaria ed etica, per cambiare «un sistema sociale ed economico ingiusto alla radice» (E. G. n. 59) e abbattere la «dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano», la dobbiamo fare noi, i cittadini, uomini e donne amanti dell’umanità e della giustizia, credenti o non credenti che siamo.
La critica al sistema economico dominante in nome dei poveri e degli esclusi Bergoglio l’ha formulata ben prima di diventare papa, insieme a tanti preti e vescovi che per questo, fossero o no partecipi della teologia della liberazione, in Argentina erano chiamati «comunisti». Ma «la scelta dei poveri risale ai primi secoli del cristianesimo» testimoniò il cardinale Bergoglio a Buenos Aires dinanzi  alla Corte che indagava sui crimini del regime militare argentino: «se io oggi leggessi come omelia alcuni dei sermoni dei primi Padri della Chiesa del II-III secolo, su come si debbano trattare i poveri - spiegò ai giudici - direste che la mia omelia è da marxista o da trotzkista», mentre invece «la scelta dei poveri viene dal Vangelo». 
Una critica di sistema

Il tema dei poveri doveva essere poi non solo un tema teologico forte del pontificato di Francesco («per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica» ha scritto nella Evangelii Gaudium n.198; «tra la nostra fede e i poveri esiste un vincolo inseparabile», n. 48)), ma doveva diventare l’architrave del suo giudizio sulla situazione storica e del suo programma pastorale per il mondo. È rimasta ben presente in lui la consapevolezza, maturata in America Latina, delle cause strutturali della povertà, e questa si è tradotta in una radicale critica di sistema che il papa ha cominciato ad articolare e ad enunciare fin dai primi atti del suo pontificato. Già il tema fu avanzato in tutta la sua ampiezza nel discorso rivolto agli ambasciatori di quattro piccoli Paesi venuti a presentargli le credenziali il 16 maggio 2013, nel quale metteva sotto accusa il «rapporto che abbiamo con il denaro, nell’accettare il suo dominio su di noi e sulle nostre società», per cui «oggi l’essere umano è considerato come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato questa cultura dello scarto – aggiungeva - Mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce. Questo squilibrio deriva da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone unilateralmente e senza rimedio possibile le sue leggi e le sue regole. Inoltre, l’indebitamento e il credito allontanano i Paesi dalla loro economia reale ed i cittadini dal loro potere d’acquisto reale. A ciò si aggiungono, oltretutto, una corruzione tentacolare e un’evasione fiscale egoista che hanno assunto dimensioni mondiali. La volontà di potenza e di possesso è diventata senza limiti».

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L’ASSEMBLEA DEI COMITATI DOSSETTI PER UN RITORNO ALLA SERIETÀ E ALLA DIGNITÀ DELLA POLITICA

-          La legge elettorale in discussione distruttiva della democrazia –


 L’assemblea dei Comitati Dossetti per la Costituzione tenutasi il 14 febbraio a Bologna nella Sala del Convento di San Domenico ha giudicato con severità gli avvenimenti culminati nella rimozione del governo Letta, ravvisandovi una caduta della politica nel gioco delle intenzioni coperte, delle promesse ingannevoli e delle improvvisazioni inspiegabili.
L’assemblea, apertasi con le relazioni del presidente dei Comitati Raniero La Valle e del prof. Mario Dogliani dell’università di Torino, e presieduta dall’avv. Francesco Di Matteo, ha rivolto alle forze parlamentari e in particolare al Partito Democratico un appello per il ritorno alla serietà della politica. Non si può togliere dignità alla politica quando attraverso di essa per molti passa l’alternativa tra la felicità e la disperazione, quando alla politica sono legate decisioni di vita o di morte per popoli interi e quando molti si impegnano in politica per altissime ragioni di carità e di giustizia.  Il gran numero di persone presenti all’assemblea testimoniava quale fosse il livello di preoccupazione che gli ultimi avvenimenti hanno indotto nei cittadini.
L’assemblea ha chiesto il ritiro della proposta di legge elettorale in discussione alla Camera, considerandola incostituzionale e illegittima, anche alla luce della recente sentenza della Corte. Essa confligge sia con la finalità di dare una vera rappresentanza parlamentare al Paese, sia con quella della “governabilità”, comprime il pluralismo politico, è funzionale al perdurare dell’arbitrio dei poteri economici e  finanziari e sarebbe distruttiva della stessa democrazia.
L’assemblea ha poi denunciato la contraddizione, incomprensibile per i cittadini e offensiva per la magistratura, di una persona  interdetta con sentenza definitiva dai pubblici uffici, che in un ufficio pubblico come il Quirinale è consultato per la formazione di un governo, ed ha respinto l’idea di una riforma costituzionale che parta dal presupposto che il Senato sia un ente inutile e perciò inutilmente costoso. L’assemblea ha invece sollecitato nuovi studi e proposte per una riforma del Senato della Repubblica che, fuori del circuito della fiducia tra Parlamento e governo, sia eletto con la proporzionale e sia configurato come la Camera delle garanzie, dell’alta codificazione, del concorso alla legislazione costituzionale e del raccordo tra Stato e regioni, nella linea delle ipotesi formulate dal prof. Dogliani e dal sen. Walter Tocci.
L’assemblea ha infine rivolto un pressante invito al Partito Democratico perché, a partire dall’esigenza di salvare la democrazia nel nostro Paese,  rimetta in discussione le sue proposte di legge elettorale e di riforme costituzionali e voglia anche ripensare se stesso. Un principio di dialogo si è instaurato in proposito nel corso della stessa assemblea con esponenti autorevoli di tale partito; i Comitati Dossetti per parte loro hanno avanzato la loro disponibilità a continuare tale dialogo per uno scambio di valutazioni e prospettive sul piano giuridico, culturale e politico.  


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giovedì 6 febbraio 2014

COMITATI DOSSETTI PER LA COSTITUZIONE - Assemblea pubblica contro la violenza della riforma elettorale



Venerdì  14 febbraio 2014 ore 17.00
Bologna Convento di San Domenico – Piazza San Domenico .

UN COLPO DI RENI PER IL FUTURO DELLA REPUBBLICA

I Comitati Dossetti per la Costituzione agiscono sotto la propria responsabilità e mai hanno preteso che le proprie posizioni fossero quelle che se fosse stato in vita avrebbe preso Giuseppe Dossetti. Ma oggi sono certi che il proprio Fondatore avrebbe lanciato un grido di allarme sulla violenza che si sta innescando nel corpo politico italiano, e di cui sono stati preannuncio gli avvenimenti di questi giorni. Il fatto che la violenza si sia finora manifestata solo in parole di pesantissima volgarità e sessismo, in momenti di rissa parlamentare, nonché in atti istituzionali e in proposte legislative, non significa che essa sia meno grave e pericolosa di quella cruenta: “voi credete di ritardare il giorno fatale e affrettate il sopravvento della violenza” (Amos, 6,3).
È un innesco della violenza anche quello comportato dal progetto della nuova legge elettorale che se realizzato muterebbe la figura stessa della Repubblica: per suo mezzo infatti la Repubblica democratica istituita dalla Costituzione rischia di trasformarsi in una democrazia “octroyée”, concessa cioè dalle forze dominanti nei limiti in cui venga considerata compatibile con la sovranità dei poteri economici e l’impunità del denaro.
In questa situazione ciò che soprattutto oggi Dossetti chiederebbe a tutti è la lucidità dell’analisi.
Il rischio della trasformazione della democrazia della Costituzione in democrazia per concessione è ravvisabile nella facoltà attribuitasi dagli autori della riforma elettorale di decidere quanti e quali debbano essere i partiti ammessi a essere rappresentati nelle Assemblee legislative e a giocare il gioco della governabilità. Secondo la legge proposta da Renzi e Berlusconi, a parte la Lega e le minoranze linguistiche fatte salve come fenomeni di ambito locale, per effetto degli sbarramenti eretti contro singole liste e coalizioni (dal 4,5 all’8 al 12 per cento, pari a diversi milioni di voti), i partiti che resterebbero in gioco sarebbero tre: Forza Italia, Partito Democratico e Movimento 5 stelle. Tuttavia per il suo settarismo, la sua immaturità e il suo autolesionismo il Movimento di Grillo si pone fuori dal sistema proponendosi come sua alternativa catartica; e poiché l’occasione è subito colta dai suoi avversari per neutralizzare la sua critica e convenire di escluderlo da ogni ingerenza nel potere, i partiti atti a governare resterebbero due, Forza Italia e Partito Democratico.
Saremmo dunque ben oltre il bipolarismo, al bipartitismo; ma si tratterebbe di un bipartitismo imperfetto perché a causa dell’alto premio di maggioranza i due partiti, al primo turno o al ballottaggio, entrambi in condizione di minoranza e prevedibilmente non lontani l’uno dall’altro, diventerebbero per legge l’uno un nano, l’altro un gigante. Ma il nano, pur nella sua diversità di stile e di opzioni etiche, non potrebbe che svolgere un’opposizione apparente, di fatto funzionale alle scelte politiche della forza di governo a cominciare da quelle che, rese obbligatorie dall’ideologia economica o dai poteri di Bruxelles e di Berlino, sarebbero, come già oggi, comuni.
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