La politica vive anche di simboli. Quelli che sono stati evocati da politici e giornalisti per rappresentare la fine del potere di Berlusconi, alludono tutti a delle catastrofi. Il discorso con cui a Bastia umbra Fini ha chiesto le dimissioni del governo, è stato paragonato dai difensori del premier alla marcia su Roma: un colpo di Stato!
I giornali che cercavano di descrivere la portata dell’evento, lo hanno paragonato al 25 luglio, quando solo la rivolta di ministri e gerarchi del duce poté provocare la fine del regime. Altri hanno assimilato il crollo del regime berlusconiano al 25 aprile, quando dopo la devastazione della guerra si dovette ricominciare tutto dalle macerie. I disastri culturali e ambientali hanno poi offerto facilmente il destro di richiamare gli ultimi giorni di Pompei, e le alluvioni del Veneto e del Salernitano, di cui il potere non si è accorto, sono state prese a simbolo di un governo allo sbando, incapace di lucrarci sopra come aveva fatto col terremoto dell’Aquila.
I giornali che cercavano di descrivere la portata dell’evento, lo hanno paragonato al 25 luglio, quando solo la rivolta di ministri e gerarchi del duce poté provocare la fine del regime. Altri hanno assimilato il crollo del regime berlusconiano al 25 aprile, quando dopo la devastazione della guerra si dovette ricominciare tutto dalle macerie. I disastri culturali e ambientali hanno poi offerto facilmente il destro di richiamare gli ultimi giorni di Pompei, e le alluvioni del Veneto e del Salernitano, di cui il potere non si è accorto, sono state prese a simbolo di un governo allo sbando, incapace di lucrarci sopra come aveva fatto col terremoto dell’Aquila.
Questi simboli apocalittici tirati in ballo per raccontare un’ordinaria crisi politica, sono più eloquenti di molte analisi. Vuol dire trasportare in un clima da caduta degli dei, quello che in democrazia dovrebbe essere un normale cambiamento di governo. Ma questo dice fino a che punto il sistema politico-istituzionale è stato snaturato dagli inventori di nuove repubbliche. Per licenziare un presidente del Consiglio ricusato anche dai suoi, e ormai impresentabile in ogni sede, persino nei “forum” governativi dove si discute della famiglia, non dovrebbe esserci bisogno di passare attraverso convulsioni paragonabili alle più grandi catastrofi che il Paese ha subito; anche perché se è vero che la seconda volta le tragedie si presentano come farsa, a guardare la condizione in cui è precipitata l’Italia, si può dire che pur nella farsa di oggi la tragedia non manca.
Un sistema politico in cui il tramonto di un leader populista suscita questi traumi e si fa rappresentare da immagini e simboli della fine, è un sistema che non è sano, che non funziona, e che comunque è fallito. Questo è il vero tema che dovrebbe esplodere nella discussione politica, al di là del dibattito sulle vie d’uscita, su nuovi improbabili governi o sul tempo più adatto alle elezioni. Il bipolarismo così come è stato realizzato in Italia è sbagliato. Esso ha permesso che si realizzasse un circuito perverso tra Stato e società: una società che stava perdendo tutti i suoi punti di riferimento, politici, costituzionali, etici e religiosi, ha dato alimento alle ideologie antipolitiche della riduzione personalistica, maggioritaria, manichea del sistema istituzionale; e lo Stato, che a sua volta dà forma alla società, ha impresso in essa il marchio del conflitto, della disgregazione sociale, della irresponsabilità verso il bene comune e della violenza in tutta la scala dei rapporti pubblici e privati.
Se non si rimedia a questo, agendo sia nel senso del rinnovamento culturale e morale della società, sia nel senso della rigenerazione democratica dello Stato, non c’è futuro. Certo nessuno oggi si può illudere di guadagnare o di precostituirsi posizioni più favorevoli in questa crisi. Nessuno può riuscire a fare il suo gioco. Il gioco deve ripartire da capo, richiamando in campo tutti i protagonisti, anche gli esclusi dal Parlamento e i milioni di elettori che le urne hanno perduto. Anche quanti ancora credono nel bipolarismo e nel privilegio della governabilità sulla rappresentanza, dovrebbero comprendere che, anche ai loro fini, occorre una nuova partenza. Perciò sarebbe necessario che ora si eleggesse un Parlamento senza premi di maggioranza e sbarramenti, ma con una legge proporzionale che permettesse di impostare la prossima legislatura come una legislatura costituente, in cui, oltre a provvedere al dissesto economico e occupazionale, si decidesse quale debba essere l’orientamento del sistema politico, in una recuperata coerenza con la Costituzione, e quale debba essere la definitiva legge elettorale. Ciò comporterebbe che ora si andasse alle urne non con la legge Calderoli, che è la maggiore responsabile dell’attuale rovina. Ma se una modifica della legge “porcellum” non fosse possibile per il rifiuto di Berlusconi a rinunziarvi, allora attraverso una larga intesa tra le altre forze politiche potrebbe essere praticato un uso alternativo della stessa legge Calderoli. Essa infatti nel suo impianto fondamentale è una legge schiettamente proporzionale, e potrebbe essere fatta funzionare senza che scattino le ipotesi del premio di maggioranza e dei proibitivi sbarramenti per le forze politiche minori, e senza alcuna investitura populistica di un “sovrano del popolo”.
Raniero La Valle
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