Una proposta alla società e alle forze politiche italiane
PER UNA LEGISLATURA DI RICOSTRUZIONE E DIALOGO - PER UN VOTO LIBERO ED EGUALE
La battaglia parlamentare del 13-14 dicembre ha dimostrato che il premio di maggioranza introdotto dalla legge Calderoli, nella misura in cui non può impedire che la politica scompaia di cinque anni in cinque anni nemmeno nelle aule legislative, non solo non garantisce la stabilità ma porta alle ultime conseguenze la logica dello scontro e fa dipendere dagli umori o dagli interessi anche di un singolo deputato l’intero corso politico.
Prendere atto del nuovo pluralismo politico.
La riproposizione di questo premio anche nelle prossime elezioni, vicine o lontane che siano, altererebbe poi in maniera gravissima, prima ancora che il risultato del voto, la dialettica politica tra i partiti e la stessa identità di ogni forza politica. È del tutto evidente infatti che dalle ultime vicende sono emersi diversi soggetti politici, ciascuno con la propria visione e il proprio progetto per il Paese, che non sono per ora riconducibili in alcun
modo alla logica di uno schema bipolare.
Di fronte al Paese si pongono oggi un polo guidato da Berlusconi comprendente il suo partito e la Lega, una nuova forza politica aspirante a rappresentare in modo più adeguato la Destra, guidata da Fini, un Polo centrista guidato da Casini, un’area di centro-sinistra guidata da Bersani e un’ala di sinistra oggi priva di rappresentanza parlamentare, ma che legittimamente chiede di riaverla.
Elezioni politiche che venissero fatte con la precostituzione del risultato di 340 deputati offerti al gruppo o Polo che, anche di misura, sia vincente, impedirebbero di sottoporre all’elettorato le vere proposte politiche in lizza, alcune delle quali dovrebbero scomparire e confondersi con le altre, e perciò impedirebbero al popolo sovrano di decidere come e da chi voglia essere governato.
Il popolo non può essere sovrano solo per dire se vuole essere o no governato da Berlusconi, ma deve poter dire se vuole essere governato da Berlusconi, da Fini, da Casini, da Bersani o da Di Pietro. D’altra parte sarebbe spiacevole se per decidere sulla persistenza del ciclo berlusconiano, si dovesse, a causa della legge elettorale, fare ricorso a uno spirito da CLN stipulando un’alleanza politica povera di contenuti tra tutte le forze che sono all’opposizione dell’attuale premier.
Una legislatura di dialogo e di tregua.
Ancora più importante è che la gravità della situazione italiana è tale che per uscirne non basta una soluzione politica, ma occorre un’opera di rinnovamento culturale e spirituale, che comporta la ricostruzione di principi costituzionali ed etici fondamentali per lo sviluppo delle persone e la convivenza civile.
Per una tale operazione non sono sufficienti i tempi che ci separano dalle prossime elezioni, ma sarà necessaria tutta la prossima legislatura, che si prospetta perciò come una legislatura di carattere ricostruttivo e ricostituente, in cui si dovrà pensare di nuovo come portare a termine la transizione italiana e se e come insistere sulla prospettiva del bipolarismo e del presidenzialismo.
Ciò rende necessario che la prossima legislatura, anche in vista di puntuali riforme che dovessero essere deliberate da maggioranze costituzionali, favorisca il massimo dialogo tra le parti, e che a questo essa sia predisposta per composizione e per stile. E ciò anche ai fini di arrivare a una nuova legge elettorale che, in quanto regola del gioco politico, possa godere del più largo consenso delle parti.
Ciò richiede che nelle due Assemblee tutti siano correttamente rappresentati, non potendosi procedere a tali riforme attraverso forzature maggioritarie, e addirittura in assenza di minoranze escluse dalle Camere. E richiede altresì che nel rapporto con i loro rappresentanti tutti i cittadini, sovrani non solo per un giorno, concorrano “a determinare la politica nazionale”.
Dunque il prossimo Parlamento, proprio in ragione di questa sua funzione riformatrice, dovrebbe essere eletto in modo da realizzare una veritiera rappresentanza, ed è massimo interesse di tutte le forze politiche che ciò avvenga e che proprio su ciò si fondi la legittimità delle decisioni prese.
Reagire all’astensionismo elettorale.
D’altra parte cresce il pericolo di un forte astensionismo elettorale, derivante sia dal restringersi dell’offerta politica ai cittadini, sia dalla grave menomazione che l’elettorato ha subito per il sequestro da parte dei partiti del suo diritto alla scelta dei parlamentari e alla manifestazione delle sue preferenze.
Per arrestare il corso verso una grave crisi di astinenza della nostra democrazia è necessario pertanto, sia riguardo alla scelta politica che alla scelta delle persone, restituire lo scettro al popolo sovrano.
L’eccessivo timore di elezioni anticipate.
È tuttavia improbabile che nell’attuale clima di duro scontro politico si possa giungere a un accordo volto ad abrogare la grave turbativa rappresentata dal premio di maggioranza e a ristabilire un sistema di preferenze.
Si pone allora il problema di come evitare i mali temuti e di come ottenere i benefici sperati, anche nell’ipotesi che si dovesse andare a votare con la legge Calderoli.
Se i rischi comportati dall’attuale legge elettorale maggioritaria e discriminante potessero essere evitati, anche le resistenze a un voto anticipato potrebbero venir meno – nessuno dovendo temere l’esito di elezioni artefatte – e anche il tabù del dover evitare le elezioni per chissà quali danni che ne avrebbe il Paese, potrebbe cadere.
Per ottenere tale risultato non c’è bisogno di una riforma elettorale. Infatti è proprio la legge elettorale in vigore che prevede e regola l’ipotesi di elezioni senza premio di maggioranza e con un risultato sostanzialmente proporzionale ed equo per tutte le forze politiche, senza la predeterminazione di chi debba guidare il governo. Tale ipotesi contemplata dalla legge Calderoli può essere resa operante solo che la normativa vigente venga osservata alla lettera e applicata dai partiti in modo conforme al dettato costituzionale. Inoltre i partiti stessi potrebbero reintrodurre la libera scelta dei candidati mediante lo strumento delle primarie.
Per un uso virtuoso della legge Calderoli.
Il buon uso della legge Calderoli potrebbe avvenire nel seguente modo.
Anzitutto la legge Calderoli non prevede la designazione diretta di un presidente del Consiglio da parte del corpo elettorale (checchè possa essere scritto nei simboli) ed anzi esplicitamente fa salve le prerogative del capo dello Stato a cui tocca il conferimento dell’incarico di governo sulla base dei risultati elettorali e della consultazione dei partiti (art. 14 bis, 3 del Testo Unico delle Leggi elettorali del 1957 come modificato dalla Legge 21 dicembre 2005, n, 270). La legge Calderoli prevede invece l’indicazione di un capo per ciascuna delle coalizioni concorrenti, il quale pertanto può essere una figura rappresentativa e di garanzia, di alto profilo culturale o istituzionale, ma non necessariamente il candidato politico per la guida dell’esecutivo; ogni forza collegata nella coalizione può invece presentare agli elettori il proprio progetto di governo, e sarà appunto tra questi che l’elettorato sarebbe invitato a indicare la propria preferenza.
È dunque possibile formare coalizioni elettorali più ampie rispetto a delle pure e semplici alleanze di governo, coalizioni che si ritrovino concordi per un voto libero ed eguale di tutti i cittadini, che condividano scelte generali di democrazia e di diritto, che enuncino un programma essenziale di attuazione costituzionale e presentino all’elettorato, come espressione rappresentativa della loro intesa, una personalità significativa dei valori condivisi dalle liste collegate, anche se non appartenente ad alcuna di esse e non identificabile con alcuno dei loro specifici programmi politici e di governo.
Riguardo poi ai risultati del voto, la legge Calderoli, facendo proprio l’impianto del Testo Unico del 1957 per le elezioni della Camera e del decreto legislativo n. 533 del 1993 per l’elezione del Senato, prevede, come prima ipotesi e come prima fase della procedura, che tutti i seggi in palio alla Camera e al Senato siano distribuiti in modo proporzionale tra tutte le coalizioni e le liste concorrenti, sulla base di una quota elettorale nazionale (o regionale per il Senato) eguale per tutti, così che i voti di tutti gli elettori pesino tutti allo stesso modo nell’assegnazione dei seggi.
Dunque la legge Calderoli nella sua prima ipotesi e nel suo impianto fondamentale, non avendo modificato o abrogato la struttura portante delle precedenti leggi elettorali, è una legge rigorosamente proporzionale, compreso il recupero dei resti.
Tuttavia la legge Calderoli introduce a un certo punto una ipotesi subordinata, e cioè che, fatta in via provvisoria l’assegnazione dei seggi, risulti che nessuna coalizione o partito abbia conseguito, grazie ai suoi voti, 340 deputati alla Camera e il 55 per cento dei seggi in ciascuna regione al Senato.
A questo punto la legge Calderoli da distributiva diventa redistributiva, toglie i seggi agli uni e li attribuisce agli altri; alla coalizione o lista risultata come la minoranza più forte, (anche per pochi voti rispetto a ciascuna delle altre) aggiunge tanti deputati o senatori quanti ne mancano a 340 (o al 55 per cento nella regione) togliendoli da quelli già assegnati alle altre liste e coalizioni. Di conseguenza si vengono a formare due diverse quote elettorali, una, a cui bastano meno voti, per chi vince, l’altra, per la quale ci vogliono molti più voti, per gli altri; e così i voti dei cittadini non sono più eguali, essendo computati secondo aritmetiche diverse.
A questo punto la legge Calderoli da distributiva diventa redistributiva, toglie i seggi agli uni e li attribuisce agli altri; alla coalizione o lista risultata come la minoranza più forte, (anche per pochi voti rispetto a ciascuna delle altre) aggiunge tanti deputati o senatori quanti ne mancano a 340 (o al 55 per cento nella regione) togliendoli da quelli già assegnati alle altre liste e coalizioni. Di conseguenza si vengono a formare due diverse quote elettorali, una, a cui bastano meno voti, per chi vince, l’altra, per la quale ci vogliono molti più voti, per gli altri; e così i voti dei cittadini non sono più eguali, essendo computati secondo aritmetiche diverse.
Inoltre la legge Calderoli introduce una ulteriore discriminazione, perché stabilisce una soglia di sbarramento che non è eguale per tutti: ai partiti uniti in una coalizione che ottenga un certo numero minimo di voti vengono distribuiti seggi se hanno conseguito il 2 per cento dei voti alla Camera e il 3 per cento al Senato; ai partiti non coalizzati non viene invece distribuito alcun seggio se non hanno superato la soglia del 4 per cento alla Camera e dell’8 per cento al Senato.
Questo meccanismo redistributivo dei seggi introdotto come ipotesi nella legge Calderoli, ed esaltato dall’attuale maggioranza come se fosse una nuova Costituzione, può non scattare, in modo tale che la legge, per natura sua proporzionale, non opererebbe la successiva maonomissione del risultato elettorale. È sufficiente che i partiti applichino la legge Calderoli con la stessa sagacia con cui, nelle sue ipotesi subordinate, essa è stata concepita.
È sufficiente cioè che tutte le forze e i partiti interessati a un Parlamento eletto, almeno per la prossima legislatura, senza l’alterazione del premio di maggioranza, stabiliscano un “collegamento” in una coalizione non di carattere partitico-politico ma tecnico-istituzionale, che per la sua estensione, superiore a quella necessaria e possibile per la formazione di un governo, possa conseguire per volontà dell’elettorato più di 340 deputati e del 55 per cento dei senatori in ogni regione.
In tal caso non ci sarebbe alcun premio di maggioranza; a tutti i partiti, anche a quelli che avessero dato vita a una coalizione opposta, i seggi sarebbero attribuiti in modo proporzionale secondo la effettiva forza di ciascuno e, non essendoci alcuna ragione che dei partiti siano esclusi dalle coalizioni, per tutti la soglia di sbarramento si abbasserebbe al 2 per cento alla Camera e al 3 per cento al Senato.
Questo uso virtuoso della legge Calderoli prevede pertanto un collegamento di carattere tecnico-istituzionale in una coalizione che potrebbe andare da un capo all’altro dello schieramento politico, ferma restando la comune fedeltà ai valori fondamentali di democrazia e di libertà, e non esclude che all’interno della medesima coalizione, nella stessa campagna elettorale, singoli partiti o alleanze di partiti si candidino a governare, illustrino agli elettori il loro specifico programma e propongano una guida e un ceto di governo; ogni partito e forza politica, dentro e fuori la coalizione, manterrà cioè la propria identità e la propria prospettiva ideale e politica e mostrerà le proprie capacità di aggregazione in vista di obiettivi condivisi; sarà poi, sulla base di risultati elettorali non manipolati, che le ipotesi di governo suffragate dal più largo consenso dei cittadini, potranno tradursi in realtà, in modo che sia nello stesso tempo salvaguardata la governabilità, assicurata da forze omogenee, e la rappresentatività dell’intero corpo elettorale nel rapporto di fiducia col governo e nell’opera delle riforme.
Una coalizione “per un voto libero ed eguale”.
Una tale coalizione, che dovrebbe essere riconoscibile anche nel nome come finalizzata al bene comune istituzionale prima che a un esercizio del potere, potrebbe risolvere anche la questione delle preferenze. Essa potrebbe infatti contemplare le elezioni in due turni, il primo dei quali sarebbe autogestito.
I partiti collegati, presentandosi in una coalizione “per un voto libero ed eguale”, potrebbero infatti organizzare, una o due settimane prima del deposito delle liste, delle primarie in cui i cittadini, scegliendo quattro o cinque nomi dell’elenco loro presentato dai partiti, determinerebbero l’ordine in cui ciascun partito inserirebbe i candidati nella lista definitiva, ordine che sarebbe quello secondo il quale, come stabilisce la legge, infine verrebbero eletti.
Un passo avanti. In un sistema così configurato, senza premio di maggioranza e senza designazione arbitraria degli eletti, le gerarchie dei partiti farebbero un passo indietro, ma la società civile, la politica, le basi dei partiti, il popolo sovrano farebbero un passo avanti.
Quella qui suggerita sarebbe la via per uscire dalla lunga stagione dell’odio e avviare una ricomposizione dell’unità spirituale e politica dell’Italia: una via, ma forse anche l’unica via.
Per presentare questa proposta e discuterla con i partiti è stato deciso di convocare un’Assemblea nazionale dei Comitati Dossetti per la Costituzione; essa si terrà venerdì 28 gennaio alle ore 15 nella Biblioteca del Convento di San Domenico a Bologna.
I cittadini e i rappresentanti dei partiti sono cordialmente invitati.
I cittadini e i rappresentanti dei partiti sono cordialmente invitati.
La ragione per cui i Comitati Dossetti prendono questa iniziativa è chiara: la Costituzione non vive da sola, ma nella coerenza di tutto l’ordinamento; non può sopravvivere la lettera della Costituzione mentre deperisce e si perde la Repubblica. Né i Comitati intendono entrare nel merito dei problemi e delle scelte politiche che scaturiscono da questa proposta, essendo questo il terreno proprio e il fulcro della responsabilità dei partiti, con cui del resto i Comitati già in passato, come nel giugno scorso a Bologna, hanno avviato un fecondo dialogo.
20 dicembre 2010
Raniero La Valle e Luigi Ferrajoli Presidente e Vice-presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione
(Per comunicazioni: raniero.lavalle@tiscali.it)
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