domenica 15 maggio 2011

Ricomincio da quattro

di Raniero La Valle

Ci sono quattro referendum per cui andare a votare il 12 e 13 giugno.
Due sono per rivendicare la libertà dell’acqua. La libertà dell’acqua consiste nel fatto che essa non sia di proprietà di nessuno; è un dono di Dio, e come tale è celebrata in tutti i modi nella veglia della notte di Pasqua; in ogni caso, anche per coloro che non si fanno emozionare da Dio, essa è una pertinenza della terra, e come tale è un bene comune, il che vuol dire che appartiene di diritto all’intera umanità, e perciò a ciascun uomo e a ciascuna donna, e anzi ad ogni vivente, perché è la condizione della vita.
Di conseguenza non si può privatizzare, cioè dare in proprietà a nessuno, e nessuno se la può vendere, per il semplice fatto che non è una merce.
I due referendum abrogativi tendono ad eliminare, con la vittoria del “sì”, le norme che col pretesto di regolare la distribuzione dell’acqua (che dalle mani pubbliche si intende sia trasferita a mani private) di fatto attribuiscono l’esclusività della gestione dell’acqua alle imprese private, pur senza attribuirne loro la proprietà; e perciò i privatizzatori, che ci sono in tutti i
 partiti, anche a sinistra, gridano che la proprietà dell’acqua non è in discussione e che pertanto i referendum sarebbero pretestuosi e andrebbero disertati.
Ma l’esclusività è precisamente un connotato della proprietà, e perciò chi ha l’esclusività della distribuzione, di fatto ha la proprietà di ciò che distribuisce e commercia, e perciò sfrutta come privato un bene pubblico, un bene comune.



Un altro referendum chiede un terzo “sì” per abrogare il piano del governo per la costruzione delle centrali nucleari e più in generale per lo sfruttamento dell’energia nucleare in Italia, a cui già una volta il popolo aveva opposto il suo rifiuto. Il governo teme moltissimo questo referendum perché è molto popolare, tutti sanno di Chernobyl e di Fukushima, e quindi teme che il sì contro la reintroduzione del nucleare sarebbe plebiscitario.
Perciò il governo è ricorso al trucco (questo è un governo senza verità) di abrogare lui stesso le norme sottoposte al giudizio popolare, norme che in ogni momento potrebbe ripristinare, in modo da fare cadere il referendum, a cui in tal modo verrebbe sottratto l’oggetto.
Lo scopo del governo è di ottenere che non più spinti dall’urgenza di opporsi al nucleare, gli elettori non vadano a votare neanche per gli altri tre referendum, facendo così mancare il quorum necessario (la metà più uno degli elettori) perché i referendum abbiano efficacia.
Questo trucco però può essere sventato perché, secondo una sentenza della Corte Costituzionale (meno male che c’è ancora) il quesito dovrebbe essere trasferito su altre parti dello stesso provvedimento: in questo caso sulle altre norme del piano energetico nazionale non soppresse dal governo e suscettibili di dare l’avvio a una ripresa del programma nucleare.
Questo trasferimento dovrebbe essere operato dalla Cassazione, ma non sappiamo come andrà a finire perché mentre scriviamo la manovra manipolatrice del governo è ancora in corso e la Corte non ne è stata ancora investita.

Ma perché il governo vuole, come già una volta sperò Craxi, che “gli italiani vadano al mare” e non vadano a votare?
Perché vuole avere le mani libere sull’acqua (se tutto il pubblico è trattato come privato, perché non dovrebbe essere privata anche l’acqua?) e perché non vuole che abbia successo il quarto referendum, quello che abrogando il cosiddetto “legittimo impedimento” inventato da Alfano e già parzialmente dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, costringerebbe Berlusconi a mettersi “a disposizione della giustizia” per rispondere dei numerosi e gravi reati di cui è imputato.
Ma proprio perché la vera posta in gioco del 12 e 13 giugno, al di là del merito dei quesiti, è il fatto stesso che i referendum possano svolgersi e andare a buon fine, è supremo interesse della Repubblica che i cittadini vadano a votare e che il popolo sovrano esprima la sua voce.

In tempi normali, quando la Repubblica fosse salvaguardata, la Costituzione non fosse sotto attacco, il Parlamento fosse degno di stima e non ridotto alle pratiche di un calcio-mercato e la democrazia della rappresentanza funzionasse come vero veicolo della volontà popolare, i referendum, che sono una forma abbastanza eccezionale di democrazia diretta, non sarebbero così importanti.
Ma oggi nei referendum ha finito per rifugiarsi quanto ancora resta di autentica dinamica democratica nel rapporto tra le istituzioni e i cittadini; e come sono importanti i test elettorali amministrativi anche in poche città, perché vi si esprime il vero umore degli elettori, così sono decisivi i referendum per tenere aperto il varco della democrazia e permettere che si riapra un percorso perché essa torni a fiorire e a essere vera.
E se in questi ultimi tempi molte delle ricchezze politiche e civili che avevamo conquistato le abbiamo perdute, non c’è da scoraggiarsi, possiamo ricominciare da quattro.

Raniero La Valle

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