domenica 2 novembre 2014

Alla Leopolda e al “vecchio Sinodo”



Pubblichiamo l’intervento tenuto da Raniero La Valle il 30 ottobre 2014 all’assemblea tenutasi nella Sala delle Colonne della Camera dei Deputati sul tema: “Riforme istituzionali e legge elettorale: innovazione o restaurazione?

Sono state fatte qui molte e decisive critiche alla nuova Costituzione che è in gestazione alla Camera. Ma chi le ha fatte non è stato alla Leopolda. Se infatti fosse andato alla Leopolda avrebbe avuto la rivelazione, sarebbe caduto da cavallo e avrebbe capito che tutto quello che si è pensato fin qui era sbagliato. Un testimone oculare, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ha riferito che alla Leopolda erano presenti giovani di tutta Italia, soprattutto tra i 25 e i 35 anni, “quasi tutti universitari o laureati, con una forte propensione all’intervento in pubblico e con una cultura consolidata di sinistra liberale. Indistinguibili le provenienze familiari, le culture originarie, la linea di frattura per appartenenza religiosa. Se parlassimo loro di queste cose, per loro irrilevanti, sarebbe come parlare di Jurassik Park. Da questo punto di vista l’attuale configurazione dei sindacati che risale alla Guerra Fredda mi sembra che per loro rientri in questa categoria”.
Dunque secondo osservatori che vi erano presenti, alla Leopolda si sarebbero smaltite, come reperti da rottamare, famiglie, culture e religioni. Sono cose da reduci, da mangiatori di gettoni e fotografi non digitali. Per quelli per cui “il futuro è solo un inizio” provenienze familiari, vecchie culture e identità religiose sono irrilevanti. E perciò sono anche obsolete tutte le lotte che si sono fatte o si possono fare per queste cose.

Questo a Firenze. Ma da Roma è venuta una grande risposta. La risposta che ci sono e sono ben vivi quanti “subiscono l’ingiustizia ma anche lottano contro di essa”; è venuta la risposta che il lavoro ha una dignità, per cui “non esiste peggiore povertà materiale”che la mancanza di lavoro; che in Italia i giovani disoccupati sono più del 40 per cento, e questo vuol dire “annullare un’intera generazione” per riequilibrare un sistema in crisi che mette il denaro e i profitti al di sopra dell’uomo; che non si può affrontare questo scandalo con “strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi” e che invece “dobbiamo cambiare il sistema, vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno”, che occorre “continuare la lotta”.
Questa risposta a Firenze è venuta da Roma; ma non sto dicendo di piazza san Giovanni, sto dicendo dell’aula del “Vecchio Sinodo” dove ha parlato il papa Francesco ai rappresentanti dei movimenti popolari di tutto il mondo, per raccoglierne la voce e benedirne la lotta. Erano stati infatti invitati in Vaticano esponenti di organizzazioni popolari di ogni provenienza, in rappresentanza dei contadini senza terra, degli indigeni, dei precari, dei lavoratori del settore informale e dell’economia popolare, dei migranti, di quanti vivono nelle periferie urbane e in insediamenti di fortuna, e sono risuonate le tesi degli indignados spagnoli, degli americani di Occupy Wall Street, degli italiani del Leoncavallo, della fabbrica recuperata Rimaflow, della rete “Genuino clandestino”, e si sono ascoltate le analisi del presidente indio della Bolivia Morales.
Nel suo discorso papa Francesco ha ripreso in mano le tre grandi bandiere che furono della sinistra, la terra, la casa e il lavoro, e ha invitato i movimenti popolari a combattere “perché nessuna famiglia sia senza casa, nessun contadino sia senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità data dal lavoro”, concludendo con l’invito a continuare la lotta, “con coraggio ma anche con intelligenza, con passione ma senza violenza”: “sigan con su lucha”.
Terra, casa, lavoro: “E’ strano, ha detto il papa. Se parlo di queste cose dicono che il papa è comunista. Ma terra, casa, lavoro, quello per cui lottate, sono diritti sacri, stanno nel Vangelo, nella dottrina sociale cristiana”. Il papa non è un reduce. Certo, se la Chiesa prima di lui avesse detto che lottare per i diritti non vuol dire essere comunisti, ma vuol dire lottare in quanto uomini e donne responsabili, molte cose sarebbero state diverse, forse le “ideologie” non sarebbero state licenziate, Moro non sarebbe stato sequestrato e ucciso. In ogni caso quanti lottano per la giustizia oggi hanno un leader religioso, in attesa di averne uno politico, in attesa di avere una prospettiva, un’organizzazione politica. Perché senza politica i diritti non si instaurano e non si difendono. Ma certo è che mentre da una parte la lotta per il lavoro e per i diritti è rottamata come una lotta di reduci, dall’altra è proposta come la lotta del futuro, per costruire il mondo umano del futuro. Dunque la sepoltura del progetto democratico non è riuscita.
Messa dentro questa alternativa, tra una liquidazione e una ripresa della prospettiva democratica e popolare, la nuova Costituzione proposta dal governo Renzi è per l’appunto la Costituzione di Jurassik Park, di un mondo finto, virtuale, digitale, che sta solo nei display dell’ I-phone e dei computer; però è un mondo abitato da bestie feroci. Renzi lo chiama il mondo dell’opportunità, che sarebbe “la nuova parola della sinistra”; ma questo vorrebbe dire lasciare fuori milioni di persone a cui tutte le opportunità sono state tolte o negate, a cominciare dagli immigrati che Salvini non vuole e dai licenziati picchiati dalla polizia, a cominciare dai bambini che secondo l’ultimo rapporto dell’UNICEF sono sempre più poveri: un bambino su tre in Italia è nella povertà, mentre dal 2008 in Italia ci sono 600.000 bambini poveri in più, come i morti della prima guerra mondiale. Ma la Costituzione non è per gli scalatori sociali, per i vincenti virtuali, essa prende in carico le persone reali, nelle loro condizioni “di fatto” (come volle che fosse scritto Teresa Mattei), le cui opportunità sono impedite dagli ostacoli di ordine economico e sociale che è compito della Repubblica rimuovere (art. 3).
E dunque è ormai per una divergenza profonda sull’idea stessa di società, che noi continuiamo a volere come società di libertà e di diritti, di famiglie, di aggregazioni intermedie e di persone, di culture e di fedi, che non possiamo accettare le riforme istituzionali apocrife del P.D. di Renzi (apocrife in quanto ascritte al Partito Democratico come tale).
Certo, come dice Fassina, bisogna entrare nel merito. Ma riguardo al merito vanno almeno citati tre punti irrinunciabili che sono stati enunciati dallo stesso Presidente della I Commissione della Camera, Francesco Paolo Sisto (Forza Italia) in un’audizione alla quale anch’io ho partecipato. Essi mi sembrano dirimenti anche per noi: 1) Non giustificare una riforma costituzionale maldestra, per il fatto che vi sia qualche punto positivo (bicameralismo o altro), sacrificando tutto il resto, in base al principio “il meglio è nemico del bene”; al contrario, in tema di Costituzione “ogni passaggio deve essere assolutamente calibrato: non si può sacrificare nulla”. 2) Non accettare una riforma che fa prevaricare il governo sui poteri del Parlamento, che privilegia il governo su una “Camera residuale” e un “Senato lillipuziano”; è inammissibile il voto a data bloccata che, scaduto il termine fissato (60 giorni) permetterebbe al governo di far votare una legge nel testo da lui proposto o accolto, con la caduta di tutti gli emendamenti anche già approvati, magari anche per effetto di un facile gioco di ostruzionismo della maggioranza; ciò “afferma e consolida in capo al governo un potere che forse non è neanche del Parlamento” (Sisto). 3) Non aggravare le forme di democrazia diretta, rendendole più difficili (firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare, quorum dei referendum). “Si ha l’impressione – ha detto Sisto – che questa sia una riforma che lungi dall’ampliare le garanzie del Parlamento e della democrazia diretta le restringa”.
Per la difesa della democrazia non possiamo chiedere di meno di quanto si chiede in Parlamento anche da banchi inconsueti. E se le garanzie saranno compromesse, tanto più se in sistema con una legge elettorale monocratica e a liste bloccate, non ci sarà altra strada che il referendum.

                                                                                                Raniero La Valle


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