martedì 17 maggio 2016

Una controversia cattolica



di Raniero La Valle

L’intervento della Civiltà Cattolica nella campagna referendaria sulla nuova Costituzione renziana, offre l’opportunità per fare un po’ di storia di una controversia cattolica che si è accesa in questa occasione, e non tra le curie ecclesiastiche, di cui solitamente si occupa l’informazione religiosa, ma tra gli stessi cittadini.
Che la controversia sia esplosa sulla Carta fondativa della Repubblica è una novità, perché c’è stata finora una unanimità cattolica sulla Costituzione, nei cui confronti, come ha notato Alberto Melloni, il mondo cattolico nutre una sorta di “istinto materno”, e ciò per la buona ragione che la Carta del ’48 è in buona parte sua fattura. Forse non sempre si è trattato di un’identificazione argomentata, però nella coscienza cattolica la Costituzione aveva messo radici, tant’è che quando nel 1994 Giuseppe Dossetti chiamò alla sua difesa, la sorpresa non fu che i cattolici si mobilitassero per essa, ma che fosse stato un monaco a svegliarli scendendo dal suo eremo.
Nel referendum del 2006 contro la riscrittura fattane da Berlusconi e Calderoli il mondo cattolico fu unanime. La Costituzione, interiorizzata, non strideva con la qualità di cittadino, e non sarebbe stata allora concepibile un’antinomia come quella enfatizzata ora da Renzi: “Ho giurato sulla Costituzione, non sul Vangelo”.
Oggi invece la scissura si è consumata, e con una foga che ha ben presto travalicato i limiti di un ordinario dissenso politico.
Da un lato c’è infatti chi rivendica il diritto di essere e di dirsi cristiani anche nella scelta del modello costituzionale, dall’altro c’è chi vibratamente lo nega; e contro entrambi c’è chi del proprio modello alternativo fa un idolo, un assoluto, così da sacrificargli ogni cosa, al punto da far voto di immolare ad esso lo stesso proprio destino politico, e quello del Paese: una drammatizzazione da ultima spiaggia, che ha accompagnato tutto l’iter parlamentare della riforma Renzi-Boschi e che ha finito per contagiare l’ambiente culturale e politico al punto che oggi anche i maggiori critici della riforma – dai competenti giudicata addirittura un “orrore” - la candidano al “Sì” nel referendum per una sorta di ineluttabilità del destino, per un fatalismo costituzionale che non lascerebbe altra alternativa che la resa alla pretesa sovvertitrice, con la velleitaria speranza di correggerla dopo.
E’ in questo clima che si è aperta una specifica vertenza interna al mondo cattolico sull’interpretazione della laicità. La storia comincia il 21 gennaio scorso quando, dopo l’approvazione in seconda lettura, senza i due terzi dei voti, della nuova Carta costituzionale da parte del Senato, si cominciano a raccogliere firme per un appello di “Cattolici del No”, intenzionati a prendere parte come tali alla ormai imminente battaglia referendaria. Il precedente è quello di una significativa partecipazione di molti cattolici, spinti dal rinnovamento conciliare, alla battaglia per il “No” all’abrogazione del divorzio nel primo referendum del 1974. Questa volta la ragione che spinge quanti si sentono chiamati in causa come cristiani - senza peraltro voler parlare a nome di tutti né della Chiesa - è il rifiuto di una “democrazia dimezzata” e di un’inedita onnipotenza del potere che ritengono inscritte nel nuovo disegno costituzionale.
Raccolte duecento firme, l’appello veniva presentato in un incontro pubblico il 21 marzo alla Federazione Nazionale della Stampa a Roma.
Contro l’iniziativa dei “Cattolici del No” scendevano in campo, dicendosi “costretti” ad intervenire per salvaguardare la laicità da poco conquistata dalla regressione a “un modo integrista di intendere la fede”, alcuni membri della Comunità romana di San Paolo che si servivano del “postino” della stessa comunità e della sua rete di contatti informatici  per diffondere il 19 aprile il loro contro-appello “dentro e fuori la comunità”, e instradare le firme di adesione ad esso all’indirizzo email unasceltadilaicità@gmail.com. Non mancava un esagerato riduzionismo riguardo alla posta in gioco, che non sarebbe stata altro, a loro parere, che dare o no il consenso “a un nuovo assetto parlamentare”.
Il documento era severo verso l’Appello dei Cattolici del No, giudicato “sbagliato e regressivo sul piano culturale, civile e politico”, però apparve subito poco plausibile che il suo movente fosse il richiamo a un integrismo laico inteso come rigida esclusione di ogni riferimento alla fede nelle scelte politiche e costituzionali. Non era credibile sia perché tale motivo non era stato invocato, dalle stesse persone, nella vicenda referendaria del 1974, sia perché l’intero mondo delle riviste cattoliche e cristiane, a cominciare da quelle delle comunità di base e da quella romana “Confronti”, si era mobilitato per il No contro la riforma costituzionale di Berlusconi, nel ben più recente referendum del 2006, con argomenti molto simili a quelli validi oggi. Ma soprattutto perché la stessa comunità di san Paolo era nata, distaccandosi col suo abate dalla basilica di san Paolo fuori le mura, da una ipotesi di teologia politica, che aveva avuto la sua più alta espressione nella lettera pastorale del 1973 dello stesso Franzoni, “La terra è di Dio”, e si sarebbe poi manifestata nei decenni successivi in molteplici modi, a cominciare dallo strenuo impegno per la causa politica palestinese.
In effetti la nuova interpretazione rigorista e “apolitica” della laicità, che ritiene di potersi presentare come neutrale e liberamente disponibile al “sì” e al “no” nel referendum, è tanto politica come l’altra, produce evidenti effetti politici ed è immediatamente utilizzabile in una logica di schieramento. Lo si è subito visto quando i membri della comunità promotori della cosiddetta “scelta di laicità” (benché altri protestassero e si dissociassero) decidevano di trasferire in un ambito più vasto, attraverso il quotidiano La Repubblica, la loro polemica con i “cattolici del No”. Lo facevano il 29 aprile con una lettera alla rubrica di Corrado Augias (Mario Campli, “Il referendum non è una scelta di fede”) e da allora, nelle successive due settimane, per ben cinque volte la Repubblica ne rilanciava il messaggio sostenendo la tesi della interdizione della fede nel confronto costituzionale. Tuttavia, secondo i ripetuti interventi di Augias,  ciò non era dovuto a “una questione di principio”, ma a un impedimento rappresentato dalle indebite commistioni tra fede e politica perpetrate “per secoli” dalla Chiesa, da Pio IX che si contrappose a Camillo Benso di Cavour nella difesa del potere temporale, all’”accanimento” con cui si volle  “il famigerato articolo 7” nella Costituzione, al contrasto tra Pio XII e De Gasperi sulle elezioni a Roma, alle più recenti intromissioni dei vescovi italiani e alle loro pressioni sugli uomini delle istituzioni: insomma un richiamo ai morti perché non si muovano i vivi. Ciò accadeva fino al 13 maggio, quando la Repubblica esultava per l’auspicio della Civiltà Cattolica di un “sì” nel referendum, e il promotore dell’iniziativa “per la laicità”, nella solita rete della comunità romana, vi si appellava con gusto opponendo il “Sì” del gesuita al “No” che aveva stigmatizzato degli altri cristiani.
             A nome dei cattolici del No, Raniero La Valle interveniva due volte nel dibattito. La prima volta, il 1 maggio, in risposta a Mario Campli:

Caro Augias, non credo si possa dubitare che Aldo Moro fosse laico. Ma nel suo discorso alla Costituente del 13 marzo 1947, convenendo con l'on. Togliatti che la Costituzione non dovesse essere ideologica, aggiungeva che costruire un nuovo Stato non voleva dire solo architettarne l'organizzazione, ma "prendere posizione intorno ad alcuni punti fondamentali inerenti alla concezione dell'uomo e del mondo"; per questo non si poteva fare una Costituzione "afascista", come voleva l'on. Lucifero, ma, mettendo insieme i primi tre articoli, occorreva fare la Costituzione di uno Stato che, posto a  fondamento il lavoro, "avesse come fine supremo la dignità, la libertà, l'autonomia della persona umana". Perché dunque qualche suo lettore non tollera che dei "cattolici del No", senza parlare che per sé e senza voler imporre la propria visione a nessuno, motivino anche con la loro fede la propria contrarietà alla rottamazione del nostro ordinamento costituzionale (ben oltre il Senato)? Forse la fede è diventata così pericolosa per il potere nel tempo di papa Francesco, ed essere "laici" significa nascondersi "come cristiani" nella vita pubblica? Ma il papa a Lesbo, a propugnare una tutt'altra politica europea, c'è andato come un vescovo cristiano, o come un profugo argentino?

La seconda volta, il 13 maggio, dopo l’intervento nel dibattito del prof. Gianfranco Fioravanti, medievalista dell’Università di Pisa ed ex cattolico del no (nel referendum del 74), che aveva scritto polemicamente “Se Dio finisce nell’urna elettorale”:

Caro Augias, i cattolici sono interessati alla Costituzione perché attraverso i poteri e le tecniche, per nulla banali e neutrali, che essa istituisce, intendono come cittadini e sovrani concorrere a determinare una politica nazionale che riscatti la sofferenza di 7 milioni di poveri, torni a salvare in mare i profughi che l’Europa con l’operazione “Frontex” preferisce invece naufraghi, faccia che l’Italia non sia complice del genocidio del popolo dei migranti percosso e respinto su tutte le frontiere, faccia sì che i giovani abbiano un tetto, mezzi di produzione e lavoro per un futuro di dignità e libertà in questo Paese: tutte cose a cui come cristiani tali cittadini sono sommamente sensibili. Vedo però che per quattro volte in pochi giorni vengono qui attaccati i cattolici del no nel referendum costituzionale, come se solo loro fossero di ostacolo al trionfo di un disegno a cui l’attuale governante si dice pronto a sacrificare tutto come a un idolo. Quanto a Dio non siamo noi a decidere dove “finisce”, ma mi sembra invecchiata l’idea che egli stia altrove solo per smistare i trapassati tra inferno purgatorio e paradiso. Sorprende che la cultura italiana così avanti in tutti i campi,  per la cultura religiosa sia ancora ferma a quella della Divina Commedia.

Augias rispondeva che non c’era nulla da obiettare a questa nobile visione, ma insisteva sui “pericoli della nostra storia” Lo stesso giorno compariva, festeggiatissimo, l’articolo della Civiltà Cattolica.

                                                              Raniero La Valle

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