martedì 26 giugno 2018

NON COME NELL'ALTRO GENOCIDIO

Il prezzo è molto alto: l’imbarbarimento del discorso politico in Italia, denunciato da Pax Christi; l’aggiunta di odio e paura alle scelte già gravissime dei precedenti governi, denunciata da mons. Nogaro e Sergio Tanzarella; impotenza, interventi maldestri, discussioni e contenziosi della comunità internazionale, dell’Europa,e dell’Italia denunciati dall’arcivescovo di Milano Delpini col Consiglio pastorale, e soprattutto l’odissea dei profughi parcheggiati e riforniti in mare per giorni e giorni davanti a porti chiusi (quelli di Pozzallo sono alfine sbarcati ieri): a questo prezzo i Paesi d’Europa, almeno quelli fondatori, sono stati messi in crisi, si sono specchiati nel loro egoismo di Paesi pieni di ricchi, e pur sempre litigando tra loro hanno cominciato ad ammettere che delle soluzioni vere vanno cercate, buttando a mare il troppo comodo regolamento di Dublino. Si vedrà nel prossimo vertice; in ogni caso il piano presentato dal presidente italiano Conte, in sei premesse e dieci obiettivi, segna il ritorno della politica, della coraggiosa e paziente ricerca di soluzioni intese al bene comune, e soprattutto pone sul piatto la verità da tutti finora occultata di questa crisi: la questione dei migranti non si può affrontare con misure di emergenza, perché non è un’emergenza, è la nuova condizione del mondo, lo struttura, e perciò va affrontata e avviata a soluzione con misure strutturali e visioni a lungo termine. Discuteremo le proposte, e vedremo se questa carica dirompente piantata dall’Italia in Europa sarà recepita e governata in modo ragionevole e costruttivo, oppure se, compressa, farà saltare il mal architettato edificio istituzionale europeo. La rivoluzione in corso, come l’abbiamo definita, non ha un esito scontato.
C’è però un prezzo che, pur nella ricerca di soluzioni difficili, non può essere pagato, un limite invalicabile che non può essere superato in corso d’opera e nemmeno nel concepire ipotesi di soluzioni future: quello di sigillare i profughi lì dove sono, in terra od in mare, o di riportarli con la forza nei lager, nelle galere e nei luoghi di tortura da cui sono usciti.
È questo che si deve impedire all’Europa; ed è per reagire a quest’ordine venuto da Roma che la nostra Guardia Costiera è stata inondata in questi giorni della seguente e-mail inviata ai Comandi generali delle Capitanerie di porto “e alla loro coscienza”, avente per oggetto la “Richiesta di immediato ripristino delle operazioni di soccorso in mare nei riguardi delle navi ONG”. Questo il testo della lettera:
«Apprendiamo che la Guardia Costiera italiana ha, nella giornata di venerdì 22 giugno, diffuso una nota, rivolta ai comandanti delle imbarcazioni che si trovano nella zona antistante la Libia, in cui si precisa di “rivolgersi al Centro di Tripoli ed alla Guardia costiera libica per richiedere soccorso”. La Guardia Costiera italiana ha sempre svolto in questi anni importanti operazioni di soccorso in mare portando in salvo migliaia di persone, operando anche al limite delle acque libiche. Ci chiediamo perché oggi delegando alla Libia, Paese con Governo instabile, non in grado di garantire i diritti fondamentali dell’uomo e ancora priva di una Centrale operativa nazionale di coordinamento degli interventi di soccorso in mare, il vostro Corpo, pur eseguendo un comando, intenda vanificare l’importante operato fin qui svolto e contravvenire alla Convenzione SAR siglata ad Amburgo nel 1979 ed alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982. Tutto ciò dinanzi, peraltro, ad una Guardia Costiera Libica su cui pesano pesanti accuse di “condotte violente durante le intercettazioni in mare e collusione con i trafficanti”, come evidenziato da un recente Rapporto di Amnesty International. Su questa stessa Guardia costiera sono in corso indagini da parte del Tribunale penale internazionale. Inoltre, il Tribunale di Ragusa nel caso “Open Arms”, ha precisato che le responsabilità di ricerca e soccorso non possono essere delegate a Paesi che non sono in grado di offrire porti sicuri, come appunto la Libia. Le operazioni di soccorso si devono concludere in un porto sicuro nel più breve tempo possibile, sempre in rispetto della Convenzione SAR. Ricordiamo, infine, che in base ai dati forniti dall’UNHCR sono già più di mille i migranti morti nel Mediterraneo, di cui ben 220 persone tra il 19 ed il 20 giugno. Morti che continueranno purtroppo ad aumentare se la nostra Guardia Costiera porrà fine alle sue missioni, contravvenendo non solo alla Convenzione SAR ma anche al senso più alto del proprio mandato: salvare vite umane. Facciamo appello al rispetto delle Convenzioni di diritto del mare, ma anche al profondo senso di umanità che ha sempre contraddistinto la Guardia Costiera Italiana: non si esima ora dalla salvaguardia delle persone, nel rispetto delle Convenzioni internazionali di diritto del mare e a garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo».
Abbandonare in mare, catturare e rimandare indietro i profughi negli inferni da cui provengono, al di fuori dei casi di rimpatrio volontario, sarebbe come se nell’altro genocidio la Croce Rossa avesse intercettato persone in fuga dal campo di Auschwitz e ce le avesse riportate con la forza. In verità, sotto altra forma, proprio questo avvenne, perché da Londra, considerando altre priorità, si rifiutarono di ordinare alle Forze Aeree alleate, che ne erano state richieste, di bombardare i binari della ferrovia che da tutta Europa portava i deportati nei campi di sterminio.
In un documento, detto “Katécon” (Appello a resistere) in migliaia abbiamo firmato il giudizio che assimilava al genocidio la guerra ai migranti : “Intercettare il popolo dei migranti e dei profughi, fermarlo coi muri e coi cani, respingerlo con navi e uomini armati, discriminarlo secondo che fugga dalla guerra o dalla fame, e toglierlo alla vista così che non esista per gli altri, significa fondare il futuro della civiltà sulla cancellazione dell’altro, che è lo scopo del genocidio”, diceva quel documento.
Quindi cerchiamo, pur nei toni accesi che corrono oggi in Europa, di trovare soluzioni politiche alla rivoluzione in atto, ma non permettiamo che nel perseguire il risultato, si faccia come si fece nell’altro genocidio.

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