Ciò ci riporta alla nostra assemblea di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” che il 6 aprile scorso a Roma ha cercato di ascoltare il grido dei popoli impauriti del futuro. Non è possibile trarre già ora delle conclusioni da tale assemblea. “Conclusioni” si potrebbero trarre, come è stato detto alla fine dei lavori, se fossimo in grado di dare una risposta alla vita devastata di Stella, la ragazza nigeriana la cui tragedia è piombata tra di noi nel racconto dei “casi concreti” di cui i giudici ci hanno parlato: violentata, mutilata, come è stata, tacitata fin dai suoi tredici anni, triturata negli ingranaggi del sistema che noi stessi abbiamo creato e difendiamo con accanimento per mare e per terra. Potremmo trarre “conclusioni” se fossimo in grado di fondare un’alternativa per tutte le Stelle che non avranno né pace né sorte se non ci convertiamo, se non cambiamo dalle sue fondamenta questo nostro governo del mondo.
Però in quell’assemblea abbiamo fatto una cosa rara, se non unica in questi tempi di domande inevase; abbiamo evocato e avviato una lettura messianica della crisi, e ne abbiamo tratto una lezione, analoga ci sembra a quella proclamata nella bufera da papa Francesco; e la lezione, espressa da Giuseppe Ruggieri, è quella di portare la sofferenza umana dentro Dio stesso, che patisce e muore nel crocefisso, e di riconoscere nella sofferenza lo strato più profondo dell’umano, che richiede una solidarietà assoluta, senza condizioni. A questo siamo chiamati, quando non c’è un’uscita puramente politica dalla crisi, né essa sta in qualsiasi ideologia religiosa, dottrina sociale o partito cattolico, ma sta primariamente nell’assumere la sofferenza dell’altro e da questo dolore farsi dettare la prassi adeguata a un processo di liberazione e di salvezza. Questa è per l’appunto la “Chiesa ospedale da campo” ripensata da papa Francesco, preannunciata dal Concilio del Novecento, osteggiata dalle Curie prigioniere del passato.
Tradotto nella sfera pubblica ciò significa, secondo la proposta folgorante formulata da Luigi Ferrajoli, fare del popolo dei migranti il popolo costituente e del diritto di emigrare il potere costituente di un nuovo ordine mondiale, basato sull’effettiva uguaglianza di tutti gli esseri umani. Anzi occorre procedere oltre su questa strada, fare dell’intera famiglia umana il soggetto costituente del nuovo ordine mondiale, e fare di tutti i diritti negati, non solo del diritto di migrare, il potere costituente di una nuova comunità internazionale di diritto di giustizia e di pace.
Sarebbe questa comunità umana universale, costituita in comunità politica, ministeriale e profetica, a raccogliere l’eredità delle promesse messianiche, sarebbe questo”il messia che rimane” come il misterioso “discepolo che rimane” di cui Gesù ha detto a Pietro, nell’ultima pagina del vangelo di Giovanni: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te?”.
E se è stato detto che ormai “solo un Dio ci può salvare” è pur vero che c’è un Dio salvato dall’uomo, un Dio che deve molto all’umano, perché se non avesse creato e non fosse entrato nella carne dell’uomo, spogliando se stesso e facendosi simile agli uomini, sarebbe stato un Dio per nessuno, sarebbe stato un Dio della legge, non dell’amore, sarebbe stato un Dio senza storia.
Ed ora è solo l’uomo che può salvare Dio nel mondo, anche nel “mondo senza Dio” tracimante negli incubi dell’ex papa Ratzinger; è l’uomo che può salvare Dio dalla cattura degli idoli, liberandolo dai fraintendimenti e dalle false rappresentazioni che si fanno di Lui, dal “carico di errate preghiere”, come cantava David Maria Turoldo, dalla violenza esercitata in suo nome, e da tutti i Costantino che su di lui pretendono fondare il loro trono.
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