L’ordinanza della Giudice delle Indagini Preliminari di
Agrigento Alessandra Vella che ha mandato libera Carola Rackete dall’accusa di
aver usato resistenza e violenza contro una nave da guerra italiana che
difendeva il porto di Lampedusa dallo sbarco dei migranti salvati in mare dalla
Sea Watch, non è solo un atto di giurisdizione, è una profezia, un annuncio, un
grido. Essa, emessa da una donna, in nome del diritto internazionale e della
Costituzione italiana dichiara qual è la vera obbedienza che in quel caso si
doveva prestare, non solo per obbligo morale, ma anche proprio in termini di
diritto positivo; essa rigetta il principio della ragion di Stato in forza
della quale sarebbe lecita qualsiasi cosa, mette fuori legge il sacrificio e
rovescia la tradizione per la quale Antigone, Vasti, Marianella Garcia Villas e
ogni altro, donna o uomo, che resista e disobbedisca a un potere ingiusto,
debba pagarla, debba morire.
L’ordinanza dice infatti due cose. La prima è che l’intero
ordinamento giuridico, internazionale ed italiano, stabilisce l’obbligo di
prestare soccorso in mare ai naufraghi e di sbarcarli in un porto sicuro, dove
devono ricevere soccorso, prima assistenza e identificazione, perché la prima
dignità è che ciascuno abbia un nome. Pertanto l’intero ordinamento esclude e
condanna il sacrificio di migranti e naufraghi in nome della ragion di Stato o
della ragion politica dei Paesi del rifiuto, dei Paesi della spietatezza. Vale
a dire che la regola “meglio morti che sbarcati” implicita nella chiusura dei
porti e nella durezza di cuore dei consenzienti, non può essere praticata da
nessuno Stato.
La seconda è che con la sentenza che libera e legittima la Comandante della Sea Watch viene riscattata la tradizione delle donne perseguitate e punite per aver obbedito alla coscienza, per aver obbedito alla “legge inscritta nelle stelle” (cioè nei cieli della perfetta e consumata giustizia), invece che alla norma ingiusta e all’editto del tiranno. Rovesciando la sentenza di Caifa, la giudice di Agrigento dice: “Non è bene che una donna sola faccia dieci anni di carcere, perché a tutta la nazione italiana sia tolto il fastidio di dover accogliere i naufraghi”. In tal modo vengono rivisitate ed esaltate tre tradizioni: la tradizioni di Antigone, che disobbedì a Creonte per dare sepoltura al fratello; la tradizione di Vasti, la regina biblica del libro di Ester che fu ripudiata e scacciata dal re persiano Assuero, per essersi ribellata al suo re e marito che la voleva esibire come ornamento del suo potere, come una gemma della sua corona, strumento e non persona; la tradizione di Marianella Garcia Villas, uccisa dagli aguzzini del Salvador per aver difeso i contadini e offerto a mons. Romero i capi d’accusa per le sue omelie.
La seconda è che con la sentenza che libera e legittima la Comandante della Sea Watch viene riscattata la tradizione delle donne perseguitate e punite per aver obbedito alla coscienza, per aver obbedito alla “legge inscritta nelle stelle” (cioè nei cieli della perfetta e consumata giustizia), invece che alla norma ingiusta e all’editto del tiranno. Rovesciando la sentenza di Caifa, la giudice di Agrigento dice: “Non è bene che una donna sola faccia dieci anni di carcere, perché a tutta la nazione italiana sia tolto il fastidio di dover accogliere i naufraghi”. In tal modo vengono rivisitate ed esaltate tre tradizioni: la tradizioni di Antigone, che disobbedì a Creonte per dare sepoltura al fratello; la tradizione di Vasti, la regina biblica del libro di Ester che fu ripudiata e scacciata dal re persiano Assuero, per essersi ribellata al suo re e marito che la voleva esibire come ornamento del suo potere, come una gemma della sua corona, strumento e non persona; la tradizione di Marianella Garcia Villas, uccisa dagli aguzzini del Salvador per aver difeso i contadini e offerto a mons. Romero i capi d’accusa per le sue omelie.
La novità ancora una volta affermata dall’ordinanza di
Agrigento è che c’è una legge che impone di disobbedire alle leggi che
tradiscono l’umano e mette fuori legge l’ideologia del sacrificio.
Il bombardamento aereo contro un centro di detenzione dei migranti in Libia, che ha causato almeno cento morti, e la “minaccia” del premier libico Fayez al-Sarraj di far evadere ottomila profughi dai campi di prigionia in cui oggi sono rinchiusi, sono la prova definitiva che gli scampati in fuga dalla Libia che arrivano in Italia hanno il diritto di asilo, ai sensi dell’art. 10 della Costituzione che dice lo straniero, al quale sia impedito "l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”.
Il bombardamento aereo contro un centro di detenzione dei migranti in Libia, che ha causato almeno cento morti, e la “minaccia” del premier libico Fayez al-Sarraj di far evadere ottomila profughi dai campi di prigionia in cui oggi sono rinchiusi, sono la prova definitiva che gli scampati in fuga dalla Libia che arrivano in Italia hanno il diritto di asilo, ai sensi dell’art. 10 della Costituzione che dice lo straniero, al quale sia impedito "l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”.
Vogliamo anche segnalare che lunedì prossimo 8 luglio,
ricorrendo il sesto anniversario della sua visita a Lampedusa, papa Francesco
celebrerà in San Pietro una messa per i migranti, i rifugiati e per quanti si
impegnano a salvare le loro vite. Si tratta di un gesto potente; ma per evitare
che esso venga frainteso come atto di protesta politica contro l’attuale
condotta italiana, il papa ha avuto l’avvertenza di stabilire che la messa
avvenga a porte chiuse, senza pubblicità e intervento di giornalisti e
televisioni, per sottolineare il suo desiderio che la celebrazione sia il più
possibile raccolta “nel ricordo – ha detto il portavoce della Santa Sede – di
quanti hanno perso la vita per sfuggire alla guerra e alla miseria e per
incoraggiare coloro che ogni giorno si prodigano per sostenere, accompagnare e
accogliere i migranti e i rifugiati”.
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