martedì 13 agosto 2019

RIMETTERSI IN PIEDI PERCHÉ LA STORIA CONTINUI


 Nei giorni in cui, sulla soglia del Ferragosto, cadeva il governo, la temperatura a terra giungeva in Puglia e in Sardegna a punte di 51 gradi; a Genova veniva portata a termine la demolizione del ponte Morandi e della case ad esso sottostanti; nel Mediterraneo tra Malta e Lampedusa due o tre navi si trovavano i porti chiusi in faccia avendo a bordo centinaia di indesiderati e di scartati privati del diritto di vivere. E molte altre simili cose erano in corso nel mondo, ma già queste tre dicono tutto. La prima parla di un clima fuori controllo, che invece dovrebbe essere governato dagli uomini; la seconda parla di una tecnologia che crea opere sorprendenti e impensate ma non le cura, non le vigila e ne fa ragione di morte; la terza parla della vanagloria di un potere che si compiace di se stesso e si prostituisce al consenso che chiede, offrendo il prezzo di un obbligo al naufragio, di un sacrificio degli innocenti, di un viatico alle stragi degli innocenti.
Ciò che in tutto questo si mostra è la sproporzione tra la tragica grandezza di questi fatti e la qualità delle risposte date in sede politica. Uno dice ossessivamente che il rimedio è tagliare 345 “poltrone” tra l’una e l’altra Camera; un altro apostrofa i parlamentari ingiungendo loro, anzi a una parte del loro corpo presa per il tutto, di precipitarsi a Roma per votare, data la sua urgenza di prendersi dalle urne le poltrone che secondo lui gli toccano come “capitale” guadagnato nelle elezioni europee; un altro vuole andare all’incasso dei popcorn mangiati sull’Aventino aspettando che sul fiume passasse il cadavere del suo nemico; e sullo sfondo c’è il coro del popolo che non recita più la parte che gli era stata assegnata in commedia ma scende in piazza con grida e striscioni chiamando “buffone” e “sciacallo” proprio colui che si era presentato come suo salvatore.
Vedremo ora come ne verranno fuori: e devono venirne fuori perché loro è la responsabilità della crisi così creata.
Ma, al di là dei meriti e dei demeriti dei protagonisti di questa fase, quello che emerge con potente evidenza è che lo strumentario politico e le risorse di cui si è fatto uso fin qui tra tutte quelle offerte dal sistema democratico (soprattutto a partire dall’ubriacatura del maggioritario), non sono più in grado di reggere la sfida e di far fronte ai problemi veramente nuovi che la storia oggi ci propone. Noi, cui la  Costituzione attribuisce il compito di determinare le politiche nazionali,  siamo, con i pochi mezzi che ci hanno lasciato tra le mani, incapaci di prendere il controllo politico e pubblico, e perciò il governo di fenomeni come il dissesto della Terra e del clima, l’onnipotenza autoreferenziale della tecnologia e dei suoi apprendisti stregoni con la loro Intelligenza Artificiale, il movimento di popoli in esodo o in fuga da una parte all’altra di un mondo irto di armi e di violenza, il tracotante “benservito” al diritto e alla giustizia sulla terra. E se, come ha cominciato a fare, si scioglie tutta la Groenlandia, come ci dicono gli esperti (e l’aumento di 3 gradi della temperatura terrestre avverrà nel 2050, dicono gli australiani), le acque saliranno di sette metri; neanche Roma resterà all’asciutto, fortuna che ci sono i sette colli.
Per la prima volta il tema della fine del mondo non è più esclusivo delle religioni, è il problema attuale della politica. Non possiamo aspettarci un Dio che scende dal Sinai per porre rimedio ai guasti causati dalle nostre idolatrie. Lo dice anche papa Francesco: la Chiesa non offre miracoli, la Chiesa “vede chi è in difficoltà, non chiude gli occhi, sa guardare il mondo in faccia” e lo rimette in piedi, “nella posizione dei viventi”, come fece Pietro con il paralitico. E, messi in piedi, tocca a noi: “Dio vuole la fede, loro vogliono i miracoli”, aveva già detto il papa il 3 febbraio scorso.
L’impresa dunque la dobbiamo compiere noi. Occorre riprendere in mano il controllo politico dei processi, ma ormai questo è il compito non di questa o quella identità, non di questo o quel sovrano etnico o imperiale. Il loro ciclo storico si è estinto nelle fiammeggianti apocalissi del Novecento. È il compito invece della intera comunità umana, come nuovo soggetto costituzionale e politico.
 È questa l’eresia pelagiana dell’uomo che si salva da sé? No, è sapere che Dio starà col suo popolo, con i popoli tutti non “con braccio possente e ira scatenata”, ma con la forza liberante della sua misericordia.
Pertanto, passata l’attuale bufera, bisognerà pensare a dar luogo a nuove offerte politiche, porre mano a nuovi strumenti di azione e decisione politica, nell’agone democratico, non per contendere il potere ma perché sia salva la terra e la storia continui. Ci vorranno un’aggregazione, un’alleanza, un partito, che guardino anche oltre i confini dell’Europa, non come eterna ripetizione dell’identico, ma come risposta nuova a problemi nuovi, non di una parte contro l’altra, ma dalla parte della Terra, un partito della terra.

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