Nei giorni in cui, sulla soglia
del Ferragosto, cadeva il governo, la temperatura a terra giungeva in Puglia e
in Sardegna a punte di 51 gradi; a Genova veniva portata a termine la
demolizione del ponte
Morandi e della case ad esso sottostanti; nel Mediterraneo
tra Malta e Lampedusa due o tre navi si trovavano i porti chiusi in faccia avendo
a bordo centinaia di indesiderati e di scartati privati del diritto di vivere.
E molte altre simili cose erano in corso nel mondo, ma già queste tre dicono
tutto. La prima parla di un clima fuori controllo, che invece dovrebbe essere
governato dagli uomini; la seconda parla di una tecnologia che crea opere
sorprendenti e impensate ma non le cura, non le vigila e ne fa ragione di
morte; la terza parla della vanagloria di un potere che si compiace di se
stesso e si prostituisce al consenso che chiede, offrendo il prezzo di un
obbligo al naufragio, di un sacrificio degli innocenti, di un viatico alle
stragi degli innocenti.
Ciò che in tutto questo si
mostra è la sproporzione tra la tragica grandezza di questi fatti e la qualità
delle risposte date in sede politica. Uno dice ossessivamente che il rimedio è
tagliare 345 “poltrone” tra l’una e l’altra Camera; un altro apostrofa i
parlamentari ingiungendo loro, anzi a una parte del loro corpo presa per il
tutto, di precipitarsi a Roma
per votare, data la sua urgenza di prendersi dalle urne le poltrone che secondo
lui gli toccano come “capitale” guadagnato nelle elezioni europee; un altro
vuole andare all’incasso dei popcorn mangiati sull’Aventino aspettando che sul
fiume passasse il cadavere del suo nemico; e sullo sfondo c’è il coro del
popolo che non recita più la parte che gli era stata assegnata in commedia ma
scende in piazza con grida e striscioni chiamando “buffone” e “sciacallo”
proprio colui che si era presentato come suo salvatore.
Vedremo ora come ne verranno
fuori: e devono venirne fuori perché loro è la responsabilità della crisi così
creata.
Ma, al di là dei meriti e dei
demeriti dei protagonisti di questa fase, quello che emerge con potente
evidenza è che lo strumentario politico e le risorse di cui si è fatto uso fin
qui tra tutte quelle offerte dal sistema democratico (soprattutto a partire
dall’ubriacatura del maggioritario), non sono più in grado di reggere la sfida
e di far fronte ai problemi veramente nuovi che la storia oggi ci propone. Noi,
cui la Costituzione attribuisce il
compito di determinare le politiche nazionali, siamo, con i pochi mezzi che ci hanno lasciato
tra le mani, incapaci di prendere il controllo politico e pubblico, e perciò il
governo di fenomeni come il dissesto della Terra e del clima, l’onnipotenza
autoreferenziale della tecnologia e dei suoi apprendisti stregoni con la loro Intelligenza
Artificiale, il movimento di popoli in esodo o in fuga da una
parte all’altra di un mondo irto di armi e di violenza, il tracotante
“benservito” al diritto e alla giustizia sulla terra. E se, come ha cominciato
a fare, si scioglie tutta la Groenlandia, come ci dicono gli esperti (e
l’aumento di 3 gradi della temperatura terrestre avverrà nel 2050, dicono gli
australiani), le acque saliranno di sette metri; neanche Roma resterà
all’asciutto, fortuna che ci sono i sette colli.
Per la prima volta il tema della
fine del mondo non è più esclusivo delle religioni, è il problema attuale della
politica. Non possiamo aspettarci un Dio che scende dal Sinai per porre rimedio
ai guasti causati dalle nostre idolatrie. Lo dice anche
papa Francesco: la Chiesa non offre miracoli, la Chiesa “vede chi è in
difficoltà, non chiude gli occhi, sa guardare il mondo in faccia” e lo rimette
in piedi, “nella posizione dei viventi”, come fece Pietro con il paralitico. E,
messi in piedi, tocca a noi: “Dio vuole la fede, loro vogliono i miracoli”,
aveva già detto il papa il 3 febbraio scorso.
L’impresa dunque la dobbiamo
compiere noi. Occorre riprendere in mano il controllo politico dei processi, ma
ormai questo è il compito non di questa o quella identità, non di questo o quel
sovrano etnico o imperiale. Il loro ciclo storico si è estinto nelle fiammeggianti
apocalissi del Novecento. È il compito invece della intera comunità umana, come
nuovo soggetto costituzionale e politico.
È questa l’eresia pelagiana dell’uomo che si
salva da sé? No, è sapere che Dio starà col suo popolo, con i popoli tutti non
“con braccio possente e ira scatenata”, ma con la forza liberante della sua
misericordia.
Pertanto, passata l’attuale
bufera, bisognerà pensare a dar luogo a nuove offerte politiche, porre mano a
nuovi strumenti di azione e decisione politica, nell’agone democratico, non per
contendere il potere ma perché sia salva la terra e la storia continui. Ci
vorranno un’aggregazione, un’alleanza, un partito, che guardino anche oltre i
confini dell’Europa, non come eterna ripetizione dell’identico, ma come
risposta nuova a problemi nuovi, non di una parte contro l’altra, ma dalla
parte della Terra, un partito della terra.
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