IL SEGRETO
La rielezione di Mattarella a presidente della Repubblica, che ha suscitato
un generale consenso, può tuttavia prestarsi a manovre di sovvertimento costituzionale
che è necessario fronteggiare. La prima consiste nella delegittimazione
dell’attuale sistema per l’elezione del capo dello Stato che invece si è
dimostrato validissimo. Esso è giunto al risultato in soli cinque giorni,
fortemente rallentati peraltro dalla pandemia che ha costretto alla
rarefazione del voto. Ha anche efficacemente fermato la corsa di candidature
del tutto inappropriate: prima di tutto l’autocandidatura di Berlusconi che
la procedura di tipo parlamentare rendeva irrealistica ma che una procedura
plebiscitaria attraverso un voto popolare avrebbe invece reso possibile; allo
stesso modo un’elezione popolare avrebbe reso plausibile il falsissimo
argomento di una dovuta alternanza tra “presidente di sinistra” e “presidente
di destra”, aprendo la strada ai Trump e ai Goldwater di turno. Si è pure
confermata la validità del sistema parlamentare integrato dalle
rappresentanze regionali che prevede come salutare il formarsi di maggioranze
diverse per le elezioni al Parlamento e quella al Quirinale mediante la
intenzionale esclusione della sincronia tra esse, con evidente vantaggio per
la divisione e il reciproco controllo dei poteri. Il risvolto negativo è
semmai che il raddoppio di un lungo settennato possa portare con sé un’errata
percezione di un rapporto di necessità tra il destino di una persona e il
destino del Paese, con l’idea sullo sfondo dell’Uomo della Provvidenza o
dell’uomo solo (e non certo della donna!) al comando.
Né vale l’argomento che i social e le maratone televisive polarizzino
oggi l’attenzione dell’opinione pubblica sui palazzi del potere, come
settanta anni fa, quando questo processo elettorale fu concepito, non era
prevedibile, perché anzi questo argomento lo avvalora per il più largo
coinvolgimento che comporta; d’altra parte anche in questo caso una
ragionevole durata dello spettacolo elettorale mentre è servita a dare il
pane ai giornalisti (anche se sempre gli stessi con inevitabile usura
dei rispettivi volti) non ha bloccato per troppo tempo i lavori in corso nel
Paese.
Il vero rischio è oggi quello di una deriva verso il presidenzialismo, non
solo per la suggestione esercitata dal rinnovo del mandato a Mattarella, ma
anche per la esplicita diffamazione dei partiti e delle loro leadership che è
stata perpetrata durante tutta la vicenda, mentre proprio le leadership (e
non i “peones” come con altrettanto disprezzo sono stati celebrati come
protagonisti i semplici parlamentari) hanno condotto il gioco compreso
il suo esito, deciso nel vertice finale mentre centinaia di grandi elettori
erano tenuti in surplace con l’astensione.
Il vero regista dell’operazione è stato del resto il segretario del partito
più sperimentato, Enrico Letta, che col realismo di una lunga esperienza
parlamentare ha sempre saputo di non avere in mano le carte se non per la
conferma di Mattarella. Ciò lo ha condotto a non fare mai alcun nome, tanto
meno dell’unico veramente desiderato, cosa resa più agevole dal grande
successo mediatico del trasloco degli scatoloni presidenziali e ha permesso
ai suoi luogotenenti di “farlo crescere” nelle urne, come è stato apertamente
ammesso, nella ben assecondata disattenzione generale.
Il rischio di una caduta in un presidenzialismo monocratico mediante
un’elezione popolare diretta è ora aumentato per il fatto che l’ha esaltato,
come il proprio “sogno”, l’attore politico che, conformemente al ruolo di
guastatore abituale che si è ritagliato nell’attuale congiuntura, ha sbarrato
la strada all’unica candidata apprezzata da tutti e giunta fino a un passo
dall’elezione. L’attore politico è stato Renzi, e la candidata era
Elisabetta Belloni, che è entrata in scena come parte di una rosa
proposta da Cinque Stelle, Lega e Fratelli d’Italia, con la
partecipazione straordinaria di Letta, in grado dunque di coagulare una
maggioranza schiacciante dell’Assemblea elettorale, È stato questo fausto
evento, a un passo dal realizzarsi, che ha miracolosamente prodotto la
repentina conclusione della vicenda, l’inopinato ritorno in campo del
presidente Mattarella, la rinuncia definitiva di Draghi, la reprimenda del
ministro degli Esteri Di Maio al suo capopartito Conte, e il tripudio
finale.
Le circostanze e le concomitanze sono tali che incuriosisce la domanda sul
perché la candidatura Belloni sia stata così facilmente sventata. Non potendo
ammettersi che la causa ne sia stata una parossistica misoginia di tutto il
sistema, occorre accogliere la motivazione addotta e presa per buona che non
si potesse portare alla presidenza della Repubblica la responsabile (da sette
mesi) dei Servizi di Sicurezza. Ma allora resta da chiedersi il perché.
Non si trattava infatti di fare presidente della Repubblica il capo della
Stasi, del KGB, della CIA, del Mossad o magari della Spectre, a volerci
mettere dentro anche una tipologia di jamesbondiana memoria; si trattava
invece della direttrice generale dei Servizi “segreti” italiani, a capo dei
quali c’è il presidente del Consiglio. Per quanto essi in passato siano stati
deviati, si dovrebbe spiegare perché oggi sia infamante o inabilitante
dirigerli; o chiedersi se vi sia qualche norma di purità rituale o
pericolo per qualcuno a far sì che una persona con più di cinquant’anni
investita di tale incarico sia la sola in Italia a non godere del diritto
civile e politico di fare il presidente della Repubblica; questa sì che
sarebbe una “sgrammaticatura” costituzionale, come è stato ammesso dallo
stesso segretario Letta, mentre non è credibile che a preoccuparsi della
grammatica costituzionale sia chi a suo tempo ne voleva sovvertire la
sintassi dimezzando la rappresentanza e abolendo il Senato. A meno che a non
volerlo fosse qualche Servizio, per nulla segreto, straniero, dal
momento che sarebbe un “delirio”, come ha sostenuto platealmente Cacciari
sull'Espresso,
eleggere qualcuno che non goda “della fiducia delle grandi potenze
economico-finanziarie da cui dipendono i nostri destini”, o magari fosse
l’Arabia Saudita. Così il segreto rimane: ma “per favore” la prossima
volta ditelo sui tetti..
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