lunedì 15 giugno 2009

La risposta

di Raniero La Valle (su "Rocca" n. 13)


Finalmente la risposta è arrivata. L’ecumene islamica aveva lanciato e chiesto un segnale di pace all’intero mondo cristiano, due anni fa, il 13 ottobre 2007; aveva detto, attraverso i suoi massimi sapienti, in una lettera indirizzata a tutte le Chiese cristiane, che senza la pace tra musulmani e cristiani, i quali insieme formano il 55 per cento della popolazione mondiale, il mondo non può vivere; che l’Islam non ce l’ha con i cristiani, purché essi non si mettano in guerra con i musulmani a causa della loro religione, non li opprimano e non “li privino delle loro case”; e come terrenocomune dell’incontro aveva messo non un dato di natura, accertabile mediante la ragione, ma l’amore di Dio e l’amore del prossimo, riconoscibili come veramente universali mediante la fede.
Era un documento bellissimo; ma anche quasi disperato, perché inerme di fronte a tutta la potenza di fuoco dell’America di Bush scatenata nella sua “guerra perpetua”, debole di fronte alle occupazioni illegali di terre e case arabe da parte di Israele col sostegno di tutto l’Occidente, utopico di fronte a un’Europa che con le sue culture alla Oriana Fallaci e le sue sbracature leghiste cercava nello scontro di civiltà la sua nuova religione civile.
Era però un documento sincero nell’aspettarsi una risposta cristiana; e qui su Rocca dicemmo che la risposta doveva essere comune, e non di ogni Chiesa per conto suo.
Ci sono state invece 66 risposte, di gruppi di base e dignitari di Chiese; c’è stata anche una risposta abbastanza formale del Vaticano, seguita dall’avvio di incontri tra delegazioni; ma fino al 4 giugno scorso una risposta alta, unitaria, credente e profetica non c’era stata.

Ed ecco che la risposta è venuta col discorso del Presidente degli Stati Uniti che dall’antica Università del Cairo, in uno straordinario intreccio di cultura, politica, storia e sapienza cristiana, è andato oltre ciò che era stato chiesto, per offrire “un nuovo inizio” nel rapporto con l’Islam e aprire il cantiere per la costruzione di un mondo finalmente unito.
È molto singolare che la risposta sia venuta da un capo politico, anzi dal capo dell’Impero d’Occidente. Ma viviamo tempi ultimi, e le cose sono più intrecciate di quanto pretendono le nostre filosofie e i codici di laicità dell’Occidente; le supplenze che una volta furono (e spesso vogliono continuare ad essere) delle Chiese rispetto alla politica, possono anche muoversi nella direzione inversa; e se tacciono le Chiese, e qualcosa è urgente da dire, va benissimo che parlino i laici. Anche Costantino era un imperatore, e non era neanche battezzato quando convocò il Concilio di Nicea; però c’era stata la Pentecoste dei pagani.
D’altronde Obama è restato rigorosamente nel limite suo, e ha parlato dei compiti della politica. Ma nella politica c’è che l’America può parlare ai musulmani non come a estranei, perché essa stessa è fatta in gran parte di musulmani, e questa è la vera ricchezza e il guadagno del pluralismo; nella politica c’è che l’Islam è interno alla cultura dell’Occidente, non solo per la bussola, ma perché c’è anch’esso nella genesi del Rinascimento e dell’Illuminismo; nella politica c’è che la libertà religiosa deve fare spazio a ciò che le religioni veramente sono, e non agli stereotipi nei quali esse sono deformate e combattute; nella politica c’è che a decidere dell’eguaglianza o parità delle donne islamiche non è il velo, ma l’accesso all’istruzione; nella politica c’è che bisogna risolvere la catastrofe palestinese non per togliersi un problema di torno, ma perché 60 anni di tormenti per un popolo già bastano, come aveva detto anche il Papa in Terrasanta, e gli insediamenti israeliani non sono solo politicamente inopportuni, ma per l’America sono illegittimi.
È stato un discorso fatto “con verità”, e per questo è un documento di alta cultura, fondativo di una nuova possibilità per la politica, per le relazioni internazionali, per i rapporti tra le religioni e le civiltà. Un discorso fuori del solco machiavellico delle politiche di potenza, non finalizzato al potere del Principe, ma a una convivenza finalmente possibile. Nella versione Obama davvero gli Stati Uniti non vogliono più esportare con la forza il loro modello economico e politico, davvero non vogliono più interessarsi degli Arabi solo per il loro gas e il loro petrolio, davvero si vogliono ritirare dall’Iraq e non mantenervi alcuna base, davvero intendono rovesciare la funesta “strategia della sicurezza nazionale americana” di Bush, che esplicitamente rivendicava un imperio mondiale e la riduzione di tutto il XXI secolo a “un nuovo secolo americano”, una politica che ha prodotto immensi dolori. L’Europa, uscendo dal suo crepuscolo, dovrebbe ora mettersi accanto all’America, e con lei portarsi all’altezza di questa sfida.

Perché queste cose, ammesso che gliele lascino fare, Obama non le può fare da solo.



Raniero La Valle

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