domenica 9 marzo 2014

L’INDISSOLUBILITÀ TRA UNIVERSO MASCHILE E FEMMINILE


  Pubblichiamo il discorso tenuto in occasione dell’8 marzo alla Casa delle Donne di Roma da Raniero La Valle, a proposito del libro di Marcella Delle Donne, “Voce donna, femmina dell’uomo” (Edizioni Albatros, 2013)

Abbiamo tra le mani un libro, un piccolo grande libro.
Piccolo perché sono 96 pagine, neanche scritte tutte. Grande perché non sai che libro è, e intanto ci vuole una densissima prefazione di un’antropologa, Alessandra Broccolini, per cominciare a capire di che libro si tratta e quali problemi ci pone.
Un libro di storie
Intanto è un libro di storie. Storie di donne. Ma qui c’è una prima sorpresa. Perché subito ti accorgi che non è solo storia di donne, ma inevitabilmente è storia anche di uomini. E’ vero, a scandire tutti i racconti ci sono nomi di donna – Fabiana, la fanciulla bruciata, Amina, la vittima innocente del Darfur, Fatima, la musulmana innamorata, Carmelina, la fuggiasca pugliese suicida, Giuseppina, la ribelle antimafia dell’Aspromonte, Sonia, la primaria dell’ospedale multietnico di Sarajevo, Jole, la pittrice mancata, Fiore, l’italiana di patria tedesca e con una zingara come samaritana, e infine c’è la stessa Marcella, combattuta tra l’istante e l’eterno -; ma ecco dietro i nomi di donna ci sono sempre i nomi dell’uomo, David, il figlio della mafia, Pietro, l’illuminato volterriano, Berlusconi, il cavaliere orgiastico, Peppe il pittore infedele, Elio, il piccolo contadino divenuto ingegnere, Ercole, l’agricoltore che mieteva il grano vicino a San Pancrazio, quando Roma era ancora in campagna.
Poi ti accorgi che in queste storie dove sempre serpeggia la violenza, non sempre è l’uomo il nemico delle donne; spesso invece altre donne sono nemiche delle donne e come nemiche ci sono anche comunità intere; nel caso degli aborti selettivi a danno delle bambine, misogine – quando non costrette – sono anche le mancate madri; Amina, violentata presso la fonte, subisce l’ostracismo ed è condannato da tutto il villaggio, maschile e femminile; di Carmelina, abbattuta sulla via della fuga dalla famiglia e violata dagli stupratori, dice il vicinato che se l’è andata a cercare, la gente sussurra, si scuotono le teste, non solo quelle virili; Fiore subisce il diktat materno che le stronca la vocazione, le cambia la vita.
Naturalmente c’è la ragione di questo, è la cultura patriarcale interiorizzata anche dalle donne; ma questo basta a dire che per cambiare la società la lotta non è di un genere contro l’altro genere, ma è di tutta la specie; ed è una lotta anche dentro lo stesso genere: infatti come gli uomini obiettori di coscienza si oppongono al potere maschilista della guerra, così le donne in nero si oppongono alle donne in grigioverde o in mimetica del loro esercito che partecipano alla repressione.
E qui c’è il primo pregio di questo libro, che essendo un libro di storie, non è il libro di una ideologia, fosse pure un’ideologia femminista; perché ci sono più cose e più ricchezze nelle storie, di quante non possano essere racchiuse nelle ideologie. E da qui viene una prima avvertenza e cioè che il destino del femminismo non sta nell’elaborare la separazione conflittuale tra i sessi, ma nel rendere veramente umano il loro intreccio.

Un libro di poesia
Questa era la prima cosa da dire. La seconda, è che questo non è solo un libro di storia, è anche un libro di poesia. E qui vale quello che  Alessandra Broccolini ha scritto nella sua prefazione per spiegare perché ad un certo punto la sociologia deve tacere e deve cedere il posto alla poesia.
Come dice la Broccolini, “il messaggio che la poesia può raggiungere in pochi versi, rispetto alle centinaia di pagine e alle ore di lettura che una monografia richiede” rende la poesia “un mezzo espressivo di gran lunga superiore alla scrittura scientifica. La poesia, al pari della musica e della preghiera … arriva più lontano e ci rimane più a lungo di qualsiasi altro genere di scrittura, perché … arriva al cuore delle cose”.
In effetti è proprio così. Consentitemi solo due citazioni. Una è sul desiderio femminile. Sul desiderio femminile ci sono biblioteche intere. Ma alla poesia di Marcella Delle Donne bastano quattro parole per dire l’indicibile, inarginabile desiderio femminile di Fabiana: “quindici anni una fanciulla - il desiderio segreto di Fabiana - raggiungere la vetta - della danza tra le stelle”. L’altra citazione è su un suicidio. Si tratta di Amina, la ragazza del villaggio devastato del Darfur. Alla poesia di Marcella Delle Donne bastano pochi versi per fare del suicidio di Amina dalla cima di un colle un’ascensione al cielo: “guarda il paesaggio - a mó d’ali . le braccia solleva - dalla ripa nel vuoto - il volo spicca”.
Ma per quale ragione quando si parla della donna la poesia arriva più lontano della sociologia? Ciò non succede quando si tratta di altre realtà del mondo fisico. Di come è fatto il mondo fisico la scienza riesce a dare conto, e quello che non conosce oggi, certamente lo conoscerà domani. Questa è la fiducia nella scienza che ci ha dato la modernità. Ma quando si tratta della donna, e dell’uomo, questa autosufficienza del pensiero scientifico viene meno. C’è un limite oltre il quale la sociologia, ma anche la psicologia, la psicanalisi, le cosi dette scienze dell’uomo non possono andare. Succede infatti per la donna e per l’uomo quello che succede per Dio. Di Dio non si può dire tutto, neanche la teologia può farlo; c’è una ineffabilità, una indicibilità di Dio che sfugge alla nostra pretesa di imprigionare il divino in categorie chiare e distinte. La Chiesa orientale lo chiama apofatismo: vuol dire che non si può dare fondo alla conoscenza di Dio. Era la Chiesa cattolica che credeva di avere in pugno tutta la scienza divina, e con quella pretendeva di conoscere e di dominare tutta la realtà. Oggi anche lei ha capito che con gli strumenti del conoscere né si può esaurire il discorso su Dio, né si può afferrare tutto l’umano, e nel suo ultimo documento Papa Francesco ha detto che per poter parlare dello stato del mondo, della globalizzazione, non basta uno sguardo puramente sociologico, ma ci vuole un “discernimento evangelico”.
La ragione per cui non si può dire tutto della donna e dell’uomo, come non si può dire tutto di Dio, è che si somigliano. Sono immagine l’uno dell’altro. Se l’uomo e la donna non fossero immagini di Dio sarebbero conclusi in se stessi, la sociologia ci potrebbe arrivare a descriverli, la psicologia a capirli, la morale a guidarli, il diritto a garantirli, il potere a governarli, l’antropologia a conoscerli. Ma siccome confinano con Dio, sono fatti a immagine della sua libertà, svettano verso l’infinito, e perciò la sociologia non ce la fa, come non ce la fa la teologia con Dio, e ci vuole la poesia, la musica, la preghiera come dice la Broccolini, ci vuole il discernimento evangelico come dice Papa Francesco.
 Tra l’istante e l’eterno
Allora a leggere il libro di Marcella Delle Donne a partire da questa scoperta ci sono due questioni che si possono affrontare.
La prima è la relazione, nella donna, tra l’istante e l’evento. Qui c’è un’ambivalenza nel libro di Marcella perché da una parte quando lei con fare materno prende in braccio la bambina rom, dice che per un istante la bimba “non più negletta e misera si sente”, dove è chiaro che finito l’istante ricadrà nel suo abbandono; d’altra parte Marcella dice in altro luogo che “per anima di donna eternità è l’istante”.
Dunque la donna è in bilico tra l’istante e l’eternità. Ma è l’istante il vero nemico. Dove la donna è caduta, dove è stata discriminata, dove è stata negata, dove è nata la questione femminista e femminile è dalla parte dell’istante, non dalla parte dell’eterno.
Almeno in Occidente non è mai esistita una questione ontologica delle donne, non è vero che nel Medio Evo si discutesse se avessero l’anima; non c’è stata una riduzione della donna per natura a un rango non umano; nella Bibbia è chiarissimo che Dio maschio e femmina fece l’uomo, ambedue a sua immagine e somiglianza, in perfetta eguaglianza. In Occidente è stata più dura a morire la discriminazione ontologica tra servi e signori, tra schiavi e liberi, che quella tra uomini e donne.
È invece sul versante dell’istante, cioè della storia, della cultura, del diritto, anche del diritto canonico, se volete, è sul piano della vita familiare e sociale che la donna è stata conculcata, occultata, violentata, non in pari son se stessa e con l’uomo, e ancora giustamente si combatte perché l’istante sia riscattato. Ma sul lato dell’eterno, dell’essenza, la donna già non è più “la femmina dell’uomo”, nel senso dei vocabolari, ma è la creatura umana in quanto femmina; e perfino a Dio ora non si dice più solo Padre ma anche Madre.
Perciò la questione della donna, la questione denunciata l’8 marzo non si risolve con la fuga nella metafisica, rivendicando anche per la donna il “cogito” cartesiano e “l’esistere in assoluto di ogni essere donna”, come dice Marcella Delle Donne (pag. 41); il problema non è metafisico, è culturale, e la lotta è politica, economica, giuslavoristica, sociale. Le Costituzioni, e anche le teologie, l’eguaglianza originaria e per natura delle donne l’hanno già proclamata da tempo.
Due universi, una sola carne
L’altra questione che vorrei porre, che è un po’ anche quella conclusiva, risponde a questa domanda: se l’uomo e la donna, ciascuno a suo modo, rappresentano l’assoluto, travalicano i confini dell’umano, svettano verso l’infinito, che cosa tiene insieme il mondo? Che cosa impedisce che nel mondo si scatenino forze centrifughe, che ognuno di questi due universi infiniti si ponga come totale, come sufficiente a se stesso; che cosa impedisce che l’uomo e la donna partano su due traiettorie diverse, verso le stelle, e il mondo non possa più stare insieme?
La risposta sta nella seconda parte del libro, e qui non è più questione di storie. Quello che impedisce la disintegrazione, quello che fa prevalere la forza di gravità verso il centro della terra sulla forza centrifuga verso il niente, è la forza dell’Eros. È l’intreccio, nonostante tutto mai smentito, tra l’universo maschile e quello femminile, è il fatto che la donna è pensata come femmina dell’uomo, e l’uomo è pensato come il maschio della donna. Ciò che tiene in piedi il mondo è l’unità indissolubile, in una sola carne, dell’uomo e della donna.
Ciò ci riporta ai racconti della Creazione, ma ce ne permette una interpretazione diversa, che proprio in questi giorni si sta chiarendo. Infatti si è ricominciato a discutere sul significato della parola di Gesù, che si trova nel Vangelo di Matteo: “da principio Dio li creò maschio e femmina e disse: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola…Quello dunque che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi”. Questa parola Gesù la disse rispondendo ai farisei, che gli avevano posto il problema del divorzio, che poi allora era il ripudio. Il detto di Gesù è stato interpretato come una prescrizione giuridica dell’indissolubilità del matrimonio di ogni singola coppia umana. Ma parlandone pochi giorni fa papa Francesco ha osservato che i farisei presentano a Gesù una casistica, e che dietro il pensiero casistico c’è sempre una trappola. “Sempre! Contro la gente, contro di noi e contro Dio, sempre!” Invece quello che fa Gesù, dice il papa,  è di riportare il rapporto tra uomo e donna all’ordine della creazione, all’averli Dio creati maschio e femmina, a non volere l’uomo da solo, ma “con la sua compagna di cammino”. E questo “è l’inizio dell’amore: andate insieme come una sola carne”. Cioè, ha concluso il papa, “il Signore sempre prende il pensiero casistico e lo porta all’inizio della rivelazione”. Non è per caso che in questi stessi giorni il cardinale Kasper, parlando al Concistoro, superando la casistica, ha aperto la strada alla riammissione dei divorziati risposati alla comunione sacramentale, nonostante l’impedimento finora fatto valere dell’indissolubilità matrimoniale: una rivoluzione.
Ma allora questo vuol dire che quella unità indissolubile tra l’uomo e la donna, riportata da Gesù all’inizio della creazione, prima di ogni casistica, non riguardava tanto il singolo matrimonio monogamico, che allora neanche esisteva, ma riguarda l’unità tra i due universi, maschile e femminile. È questa unità in una sola carne umana, è questa alleanza ontologica tra uomini e donne, è questo intreccio tra maschile femminile tenuto insieme dalla forza dell’Eros e da quella dell’ Agápe, che non si dovranno mai sciogliere; è questa l’unità che tiene in piedi e fa vivere il mondo, e che veramente realizza per tutti, non per gli uomini da soli e non per le donne da sole, il rapporto tra l’istante e l’eterno.

                                   Raniero La Valle
            

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