La federazione europea c’è, ora ci vuole la democrazia
Potrebbe essere uno sterile
esercizio cercare di fare previsioni su quello che sarà l’esito delle prossime
elezioni europee, perché le elezioni non sono un fattore determinante del
futuro europeo. Lo sarebbero se le istituzioni europee fossero istituzioni
democratiche, perché allora il voto degli elettori deciderebbe del governo e
della politica, come avviene nelle democrazie e come avviene ancora da noi. Ma
le istituzioni europee non sono democratiche, non c’è una Costituzione europea,
ci sono solo dei trattati internazionali fatti dai governi su misura dei
mercati, e con il voto di maggio non si potrà nemmeno decidere se a fare il
presidente della Commissione dovrà essere il tedesco socialdemocratico Schulz o
il greco di sinistra Tsipras, perché pur tenendo conto dei risultati elettorali
e delle preferenze del Parlamento di Bruxelles, a decidere su chi comanda in
Europa resteranno i governi, e naturalmente i più forti tra loro.
Certo, sarà interessante vedere
che seguito potrà avere la nuova lista di sinistra “L’Altra Europa” capeggiata
da Tsipras, nel momento in cui quella che fu la sinistra italiana è dispersa
tra l’elettorato grillino, ciò che resta del PD catturato nell’avventura
personalista di Renzi, l’ex sinistra democristiana rottamata nel centrosinistra
e le varie anime della cosiddetta sinistra alternativa. I sondaggi accreditano
la lista di Tsipras di 5 o 6 deputati eletti, ma questa lista è viziata da un
peccato d’origine, che è la presunta contrapposizione tra una società civile,
che sarebbe pura, e la società politica dei partiti che sarebbe contaminata e
esecranda. Infatti la lista è stata promossa da intellettuali, con al centro il
nome di Barbara Spinelli; ma essi hanno decretato che i partiti e i loro
dirigenti non ci dovevano entrare, e quando questo criterio di purità rituale è
stato violato, sono cominciati i litigi e Paolo Flores D’Arcais e Andrea
Camilleri, che erano tra i padri nobili dell’iniziativa, si sono defilati e
hanno tolto la loro garanzia al prodotto.
Ma ciò riguarda più l’Italia che
l’Europa: perché appunto l’Europa non avendo un ordinamento democratico è sul
piano istituzionale indifferente alle elezioni. Vero è che un successo delle
forze populiste e antieuropee, che non è affatto da escludere, potrebbe
innescare dinamiche distruttive della stessa Unione Europea. Ma ciò non farebbe
che confermare che il vero problema non è la composizione del Parlamento
europeo, ma è il fatto che si tratta di un Parlamento figurativo nel quadro di
un sistema non democratico. C’è infatti alla base un equivoco di fondo. Si dice
che l’Europa dovrebbe andare verso l’unità politica. Ma di fatto l’Europa è già
una Federazione, nel senso che decide al posto degli Stati. Caratteristica di
una Federazione è che le norme e i regolamenti stabiliti dall’autorità centrale
entrano direttamente in vigore negli Stati federati senza bisogno di passare
attraverso una ratifica dei rispettivi Parlamenti, e questo già avviene; e altra
caratteristica è che c’è una distinzione tra due sfere di competenza, una di
materie su cui decidono ancora gli Stati, l’altra di materie su cui decide
l’autorità federale, come accade già oggi per l’intera materia economica,
commerciale e finanziaria. Il problema è che questa Federazione, che dunque già
esiste, non è democratica, non conosce né limiti né garanzie contro il potere,
e non gode di alcuna legittimazione, né ispirazione e, tanto meno, di alcun
controllo popolare.
Qualcuno
potrebbe dire che non è questo che conta, perché è una questione che riguarda
solo la forma delle istituzioni europee. Ma la democrazia non attiene alla
forma, bensì alla sostanza della vita di una comunità politica. E infatti il
disastro in cui è caduta l’Europa in massima parte dipende proprio da questa
mancanza di democrazia. È questa la ragione per la quale le elezioni per il
Parlamento europeo avvengono nel segno di un rovesciamento. Il sogno
dell’Europa unita si sta trasformando in un incubo. In Grecia le famiglie devono
scegliere se comprare la luce, il cibo o le medicine. In Italia imprenditori si
suicidano perché nessuno paga i loro crediti. In Francia e in altri Paesi
fondatori della Comunità europea il principale emigrante è diventato il lavoro,
che va dove è più abbondante ed è meno pagato e non ha alcun diritto. L’ideale
politico dell’Europa unita, che avrebbe dovuto realizzarsi col superamento
degli Stati nazionali e l’instaurazione della pace, è naufragato in un
arretramento della politica che ha ceduto all’economia, alla finanza e al
denaro, nel frattempo diventato euro, il governo della società e la sovranità
che dai popoli europei avrebbe dovuto passare al popolo dell’Europa.
In questo
contesto le politiche antisociali di rigore imposte dagli organi comunitari in
ossequio ai mercati finanziari stanno producendo, in gran parte dell’Unione,
una recessione che pesa interamente sui ceti più deboli, provocando un aumento
della povertà e della disoccupazione e una riduzione delle prestazioni dello
Stato sociale. Ne risulta minato il processo di integrazione, ben prima che sul
piano politico e istituzionale, nella coscienza e nel senso comune di gran parte
delle popolazioni europee. Sta così accadendo che il mercato comune e la moneta
unica, che i padri costituenti dell’Europa concepirono e progettarono come
fattori di unificazione, sono oggi diventati altrettanti fattori di conflitto e
di divisione, mentre l’Europa, fino a pochi anni fa percepita in tutto il mondo
come un modello di civiltà, è in preda, di nuovo, agli egoismi nazionalistici,
alle pretese egemoniche, ai populismi, ai reciproci rancori che hanno
sostituito l’originario spirito unitario e impediscono ogni contributo europeo
alla crescita di un vero umanesimo mondiale.
Perciò la
vera questione, ormai indilazionabile, è la riforma delle istituzioni europee.
Queste sono le riforme necessarie, altro che quelle italiane. Ciò che urge è di
introdurre la democrazia in Europa. Per questo il movimento chiamato “Economia
Democratica”, i Comitati Dossetti per la Costituzione e
“Sbilanciamoci” hanno lanciato un appello per l’attribuzione di funzioni costituenti al Parlamento che si sta
per eleggere, quale Assemblea Costituente Europea.
Il compito di
tale Parlamento costituente dovrebbe essere quello di dotare l’Unione di una
Costituzione che, nel quadro delle garanzie nonché dei limiti e vincoli ai
poteri, ben noti alla tradizione costituzionale europea, stabilisca
l’eguaglianza nei diritti e nei doveri di tutti i cittadini europei, così
realizzandone una vera unità politica. Si tratta da un lato di riprendere e
finalmente portare a buon esito l’antica lotta per l’eguaglianza,
irrinunciabile obiettivo non solo di ogni sinistra ma di ogni umanesimo,
dall’altro di intraprendere la nuova lotta per l’inclusione politica economica
e sociale di grandi masse di popolazione oggi emarginate, scartate, tenute
fuori dal lavoro, dal godimento dei beni comuni, dai confini ideali o fisici
dell’Europa e dalla stessa vita.
Questa è la
vera, nuova, grande opportunità che si apre. Non è vero che dopo la crisi
dell’euro e dopo il governo Renzi non resta che il diluvio. Dopo la transizione
oggi in atto in Europa e in Italia, resta da rilanciare la Costituzione , resta
da passare alla democrazia, con l’istituzione di
un vero governo federale vincolato al Parlamento da un rapporto di fiducia, con
una banca centrale dotata dei poteri di tutte le banche centrali, una fiscalità
comune e un governo comune dell’economia obbligato a rispondere alla
rappresentanza democratica dei cittadini europei.
Per avviare una riforma di questo tipo a noi sembra
che i tempi, nonostante le apparenze, siano favorevoli, e ciò per due
circostanze concomitanti. La prima è la gravità stessa della crisi che persuade
milioni di persone della necessità di un cambiamento radicale ai fini della
stessa salvaguardia del mondo. La seconda è la comparsa inaspettata sulla scena
di una critica drastica al capitalismo finanziario oggi dominante in Europa e
nel mondo, una critica che non ha nulla a che fare con la vecchia analisi marxista:
è la critica rivolta dal papa Francesco al dominio incontrollato del denaro
che, come ha detto più volte, è fatto “non per governare ma per servire”, è la
sua denuncia delle ideologie che si pongono a sostegno dell’assoluta
autonomia dei mercati, della speculazione finanziaria e della società dell’esclusione e dello “scarto”, è il suo
rifiuto delle teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni
crescita economica, favorita dal libero mercato, riesca a produrre di per sé
una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo, è il suo invito a una
rifondazione di sistema, finanziaria ed
etica “che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti”.
Questo compito tocca naturalmente alla politica. Tenendo conto
però dell’autorità della fonte da cui proviene questa istanza di cambiamento e
dell’immensa platea di quanti se ne possono sentire chiamati in causa e
coinvolti, si può dire che l’azione politica per un rinnovamento profondo
dell’Europa e dell’ordine economico mondiale può trovare oggi, in aggiunta a
quanti già in tutto il mondo hanno lottato e lottano per questi obiettivi, una
ulteriore base di massa. Le elezioni europee possono essere la prima grande
occasione per mettere questa possibilità alla prova.
Raniero La Valle
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