venerdì 11 gennaio 2019

AI NASTRI DI PARTENZA


Lo sblocco della prigionia sul mare inflitta ai migranti salvati dalla Sea Watch (ma il loro calvario è solo all’inizio) almeno una buona notizia l’arreca: sarà per l’appello lanciato domenica all’Angelus da papa Francesco, sarà per l’offerta della Chiesa valdese, sarà per l’imprevista vampata umanitaria del premier Conte, in ogni caso una decina di naufraghi, uomini donne e bambini, passeranno oltre i porti chiusi di Salvini ed entreranno in Italia. La buona notizia è che il cuore di pietra, quando è troppo esposto alla pubblica visione, non regge: perfino i governanti se ne vergognano, italiani ed europei, e devono mostrare almeno un lembo del loro cuore di carne. Così una manciata di profughi, centellinati tra una decina di Paesi, entra ancora questa volta nel paradiso europeo.
Ma la cattiva notizia è che questo ennesimo caso d’eccezione non fa che confermare la regola dell’esclusione e del rifiuto, la regola dello scarto: i salvati e i sommersi, ma si potrebbe anche dire i predatori e i predati.
I primi, quelli che oggi sono forti, non si contentano più di chiudere porti e frontiere, di schierare cani ringhiosi e doganieri, tornano ad alzare muri e cortine. Ormai c’è un muro che corre per migliaia di chilometri non a dividere Est ed Ovest, ma a barricare il Nord contro il Sud, a cominciare dal muro col Messico, che Trump è pronto a costruirsi anche da solo, e che spacca in due l’America. E qui da noi abbiamo il muro steso attraverso il Mediterraneo, da Gibilterra ad Efeso, il muro tra Israele e i Territori ancora non del tutto Occupati, che sega la Terra santa a Betlemme, il muro che, alto otto metri, divide in separate corsie la strada 4370, tra Gerusalemme e Gerico, in modo che da un lato corrano le macchine ebree e dall’altro quelle palestinesi, il muro finanziato dalla Gran Bretagna che sarà costruito lungo l’autostrada che mena al porto di Calais, per impedire l’imbarco dei clandestini, e il muro fitto di menzogne, di eserciti invasori e di false guerre civili che il Nordatlantico ha costruito negli anni e ancora munisce per predare il cobalto in Congo e il petrolio in Medio Oriente, gettando al macero Africa, Siria, Iraq e le altre perle della civiltà antica; e vedremo come andrà a finire in Asia.
Il Nord contro il Sud. Ma chi salverà il Nord da se stesso? Forse un giorno il Sud lo salverà.
Per ora sembra che il mondo sia tornato ai nastri di partenza: il forte vince, il debole soccombe. È la legge dell’evoluzione scoperta da Darwin: c’è una lotta per la vita, nella quale sono preservate “le razze favorite”, i soggetti più atti a sopravvivere, e i più deboli e malriusciti devono invece soccombere. Ma questo riguardava le leggi di natura: non la cultura, non la storia. E invece questo principio è stato trasposto nella politica, nel diritto, nella filosofia; la modernità se ne è imbevuta, fino alla formulazione di Spencer: “se gli uomini sono realmente in grado di vivere, essi vivono, ed è giusto che vivano: Se non sono realmente in grado di vivere essi muoiono ed è giusto che muoiano”; e su questo principio è stato costruito il capitalismo selvaggio, il suo vangelo: la competizione, la concorrenza, la moneta buona che scaccia quella cattiva, il darwinismo sociale.
È gloria dell’Occidente, a partire dal Sud del mondo, avere immesso nella storia il principio alternativo: il potere del re che compensa l’impotenza dei deboli, fin dai codici di Ur e di Hammurabi, la beatitudine dei poveri predicata da Gesù, le cose deboli che confondono le forti di san Paolo, fino alle rivoluzioni moderne, alle Carte dei diritti, al costituzionalismo post-bellico, ai grandi messaggi di eguaglianza e di liberazione, da Gandhi a Mandela alle teologie in contesto nero e latino-americano, fino al rovesciamento della retribuzione divina in misericordia di un uomo del Sud come papa Bergoglio. 
La novità consiste nel fatto che questo principio alternativo è oggi diffamato e negato in via di principio, e questa negazione pretende di farsi maggioranza, di diventare pensiero comune e prassi di governo al di qua dei muri che si stanno erigendo per affermare il  “prima noi”, ossia “solo noi”. C’è un’impressionante intervista rilasciata in questi giorni da un esponente di questo nuovo, e tuttavia vecchissimo pensiero, un membro del Consiglio d’Amministrazione della RAI, designato dai Fratelli d’Italia, Giampaolo Rossi, un sintomo autorevole perciò di che cosa c’è oggi al centro della comunicazione. Dice Rossi che “uno dei tratti del nostro tempo è la fine irreversibile dei due principali dogmi ideologici della sinistra mondiale che hanno dominato il dibattito culturale e l’immaginario simbolico di milioni di persone per circa un secolo. I due dogmi sono: progresso e uguaglianza. Ma già Ernst Jünger, una delle più lucide intelligenze del ‘900, in un suo scritto ricordava che 'gli uomini sono fratelli ma non eguali'.” Ciò vuol dire che anche nel voto si potrebbe contare più o meno secondo il livello d’istruzione, come una volta in  ragione del censo. E che il progresso va tolto come speranza dei poveri. E che infierire sui migranti sarebbe una cosa di sinistra perché, come ci viene spiegato,  le migrazioni non sono un fenomeno storico a cui dare risposta, ma un complotto dei nemici dell’Occidente per scardinarne i valori e fornire manodopera a basso costo ai padroni del vapore.
Questo vuol dire essere tornati ai nastri di partenza, è come se di nuovo dovessimo decidere se gli uomini e le donne, sono eguali e se la storia non è finita.  È questa la grande sfida, la posta in gioco, la grande responsabilità delle nuove generazioni. 

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