“Ci sarà pure un giudice a
Berlino!”, gridava il mugnaio di Potsdam contro il giudice locale che non gli
aveva reso giustizia nei confronti del barone che gli aveva deviato le acque
dal suo mulino, fonte della sua vita. “C’è una giustizia e io la troverò”,
urlava la vedova di “Delitto e castigo” cacciata sulla strada, con gli orfani,
il giorno del funerale di suo marito: “Possibile che non ci sia giustizia? Chi
devi difendere se non noi derelitti? Ma ora vedremo! Ci sono al mondo dei
tribunali, c’è una giustizia, e io la troverò”, giura la poveretta. “Ma che
gente è la tua?”, dicono alla regina di Cartagine i marinai naufraghi
dell’“Eneide”: “Che barbaro costume ci impedisce di scendere a terra e di
fermarci sulla spiaggia? Lasciaci trarre a riva la flotta sconquassata dai
venti, aggiustarla con travi tagliate dalle selve, fabbricarvi dei remi, per
poi salpare lieti verso l’Italia e il Lazio”; e fu perché Didone aprì quel
porto ai profughi che nacque poi l’Europa.
Ma oggi non c’è un giudice a
Strasburgo. O meglio c’è una Corte europea dei Diritti Umani che non ha accolto
la richiesta dei naufraghi della Sea Watch di essere sbarcati, uomini, donne e
15 minori, ma ha chiesto al nostro governo di dar loro cibo, acqua e cure
mediche, insomma “i generi di prima necessità”, come se avere un tetto sulla
testa e una terra sotto i piedi non fosse una prima necessità per ogni essere
umano. Che mangino pure, ma in coperta, sotto i venti e le tempeste. Questo ha
detto il giudice europeo, che in ciò fa corpo con i governi e con tutta
l’Europa che i naufraghi, i profughi, i richiedenti asilo non li vogliono
nemmeno vedere, e se li vedono gli negano perfino il nome all’anagrafe; e si
sono dovuti mettere in 7 per spartirsi 47 migranti, uno ogni 15 milioni di
europei, perché la nave potesse alfine prendere terra a Catania. “Un giorno
vergognoso per l’Europa”, ha detto il presidente della ONG Sea Watch: "i diritti umani non
dovrebbero essere negoziati, e gli esseri umani non dovrebbero essere contrattati",
È questa la linea della fermezza
con variante umanitaria: l’ha spiegata in TV nella mezz’ora di Lucia Annunziata
il presidente del Parlamento europeo Tajani, leader in pectore di Forza Italia;
ma la linea della fermezza in salsa umanitaria è quella che ha decretato il
delitto di Stato dell’uccisione di Moro e travolto la “prima Repubblica”.
Eppure che un tetto, una terra e
un lavoro sia il minimo che serve a fare la dignità di un essere umano lo ha
proclamato, ogni volta che ha incontrato i Movimenti Popolari, il papa
Francesco, l’unico ormai che riscatta la coscienza dell’Europa e degli Stati
dal precipizio di spietatezza in cui sono caduti.
Ma la spietatezza è anche il
punto debole su cui è destinato a franare l’attuale sistema di potere dell’Europa
e degli Stati europei. Politiche anche severe sull’economia e sull’immigrazione
possono essere accettate e perfino produrre consenso, ma la spietatezza no, la
spietatezza non paga, la spietatezza non ha guadagnato ancora la maggioranza
dei consensi. Sulla spietatezza i governi possono essere combattuti, possono
essere sconfitti, possono cadere. Si tratta di trovare gli strumenti per
chiamare in giudizio la spietatezza, che è anche un’empietà; l’ordinamento li
offre, se non sarà un giudice sarà un Parlamento, una parte della stessa
maggioranza, sarà un elettorato, sarà un popolo, ma alla fine la spietatezza
sarà sconfitta. È quello il tirante che non tiene, che innesca la rovina di
tutta la costruzione di governo e di potere, come il tirante strappato del
ponte Morandi a Genova.
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