mercoledì 6 febbraio 2019

L’ALLEANZA È CON TUTTI

Un minuto prima di partire per gli Emirati Arabi Uniti, domenica all’Angelus, il papa ha gridato per i bambini dello Yemen che soffrono fame sete e morte per il conflitto di cui anche gli Emirati Arabi sono responsabili, e ciò perché sia chiaro che non si può cantare il Te Deum se, prima di tutto, non c’è umanità.
Eppure c’è da cantare il Te Deum per questo viaggio del papa ad Abu Dhabi. E non solo perché si è trattato della prima volta che un Pontefice romano ha messo piede sulla terra che ha donato al mondo Maometto e la Mecca, ed è la prima volta che nella Penisola arabica si dice una Messa in pubblico, all’aperto, con 170.000 persone e le donne non velate. Ma anche perché nel dialogo col mondo musulmano e i rappresentanti delle altre religioni si è manifestata con la massima evidenza la novità dell’annuncio che questa Chiesa sta portando al mondo, e per contro la gravità del disegno di quanti invece vorrebbero bloccare e rovesciare il corso di questo pontificato. La novità sta precisamente nella riproposizione dell’annunzio che il Verbo si è fatto carne per tutti, non importa se ebrei o stranieri, cretesi od arabi, medi o elamiti, cattolici o protestanti, sunniti o sciiti, cinesi patriottici o clandestini, milanesi o barbari, credenti o non credenti, ossia nel proclamare che la salvezza, ammesso che una salvezza religiosa ci sia, è universale e non fa eccezione di persone, non lascia naufrago alcuno.
Questo però per la Chiesa cattolica non era possibile affermarlo da quando essa si era incatramata nel regime di cristianità, che non solo travisava la sua identità nell’ibridismo politico-religioso del potere temporale, ma delimitava rigorosamente il cristianesimo nei confini fisici della Chiesa cattolica,  in base all’assioma teologico che fuori della Chiesa non c’è salvezza. In tal modo era amputata la carne del Verbo e frantumata la carne dei popoli.

Se oggi invece si può proporre “l’arca della fratellanza” in cui si ricomponga “l’unica famiglia umana voluta da Dio”, è perché il Concilio Vaticano II, l’Europa e papa Francesco sono usciti dal regime di cristianità. Ne sono un segno potente il viaggio in terra d’Arabia, lo scambio fraterno con l’Islam, la comune affermazione, nel documento congiunto, che “il pluralismo e le diversità di religione…. sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi”. Una diversità, ha aggiunto Francesco nell’omelia della Messa, che “lo Spirito Santo ama e vuole sempre più armonizzare”. Si dichiara con ciò la fine della lunga stagione delle scomuniche e dei proselitismi, e si raggiunge l’ipotesi di Tommaso Moro la cui “Utopia” contemplava che nella sua repubblica si giungesse a professare la religione più perfetta e che anche tutti gli altri mortali fossero condotti “allo stesso modo di pensare a proposito di Dio”, a meno che, insinuava,  “in questa gran varietà di religioni non ci sia qualcosa che soddisfi ai suoi impenetrabili voleri”, sicché fosse Dio stesso “a ispirare a chi una cosa e a chi un’altra”.
Ciò non vuol dire sincretismo; ad Abu Dhabi si è stati ben attenti a salvaguardare le differenze e l’identità di ciascuno: nel documento non si è andati di un millimetro oltre il Concilio, ha detto il papa nel viaggio di ritorno, ma “è un passo avanti che viene da 60 anni, il Concilio che deve svilupparsi”. E così si è potuto trovare ciò che è veramente comune, e convenire che ”le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue”. E si confessa anche perché finora è avvenuto il contrario: “Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portali a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione, per realizzare fini politici e economici mondani e miopi”. Questo è il messaggio che il papa, e il Grande Imam di Al-Azhar a nome dell’Islam d’Oriente e d’Occidente, intendono ora presentare al mondo, perché il mondo si salvi. E papa Francesco, senza pretendere investiture, si è mostrato, a detta degli stessi musulmani,  come “maestro spirituale universale” .

Restando nel quadro delle tre religioni abramitiche c’è ora da rinvigorire il dialogo con gli ebrei, che la loro attuale condizione storica rende notoriamente difficile. Qui c’è il resoconto, pubblicato da “Vatican Insider”, di un bel dialogo svoltosi nei primi giorni del gennaio scorso in Vaticano tra l’ex Papa Benedetto XVI e cinque rabbini di lingua tedesca, guidati dal rabbino Folger, che sono venuti a interrogarlo in seguito a un suo saggio sul dialogo ebreo-cristiano pubblicato su “Communio”. L’incontro è stato molto positivo. In particolare si è ribadito il ripudio da parte cattolica della “teologia sostitutiva” secondo la quale Dio, a causa del rifiuto ebraico di Cristo, avrebbe trasferito la sua alleanza da Israele alla Chiesa, quando invece i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rom. 11, 29), e tanto meno possono essere abrogati dall’uomo. L’ex papa Ratzinger ha affermato che tale teologia era una “cattiva teologia” mentre i rabbini hanno lamentato che, benché abbandonata dalla Chiesa, essa continua a serpeggiare tra molti fedeli. In ogni caso questa difficoltà dovrebbe essere ormai superata. I cattolici non dubitano che sia rimasta ben salda l’alleanza di Dio con il popolo ebreo. Ciò che resta per il compimento del dialogo è che siano ora gli ebrei a riconoscere che questa stessa alleanza è concepita ed estesa da Dio a tutti i popoli.

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