È un momento drammatico per la Chiesa; film libri e giornali
l’accusano, vecchie storie e nuove denunce si affollano, mentre essa stessa,
con la riunione di tutti i presidenti delle Conferenze episcopali a Roma insieme
col papa fa una scelta di campo definitiva contro gli abusi sessuali, di
coscienza e di potere del suo stesso clero, pur tra le proteste di qualche
porporato riottoso.
Ma dietro questa facciata c’è un’altra partita anche più
seria che si sta giocando: è la partita di quanti mirano a uno scisma nella
Chiesa, gli uni per distruggerla, gli altri per distaccarla dalla guida di papa
Francesco.
Tra i primi ci sono gli officianti del pensiero unico, che
ritengono ormai incompatibile la persistenza della predicazione evangelica con
la volata finale di un mondo senza pensiero forgiato e governato dal denaro
nella sua ultima forma globale di liberismo selvaggio. A questo fronte senza
saperlo dà un notevole apporto la campagna della destra teologica che in nome
della tradizione si oppone al rinnovamento dell’annuncio evangelico “in quella
forma” – come chiedeva papa Giovanni – “che i nostri tempi esigono”; la lettera
del cardinale Müller contro il magistero di papa Francesco ne è l’ultimo
esempio.
Tra i secondi c’è un’area progressista e riformista che
critica papa Francesco “da sinistra”, accusando di immobilismo la sua Chiesa
perché sono finora mancate riforme istituzionali, come la riforma della Curia, un’avanzata
collegialità, una vera “democratizzazione”; ne è l’ultimo esempio il saggio di
un professore di Bergamo, Marco Marzano su “Francesco e la rivoluzione
mancata”, rilanciato dal “Fatto quotidiano” e anche da qualche sito cattolico.
Esso invita “i progressisti a tentare la via della mobilitazione diretta” per
denunciare la paralisi “imposta a un miliardo di fedeli cattolici da un’élite
di anziani maschi celibi” e “a minacciare, se persisterà l’assoluto
immobilismo, l’abbandono della barca e l’approdo ad altri territori ecclesiali
più sensibili e interessati ad un rapporto meno ostile con la modernità e i
suoi valori”, ossia “il metodo di Lutero”. È superfluo sottolineare qui la
catastroficità di tale posizione apparentemente “innovatrice”. Vogliamo solo
dire quanto sia sbagliata e conservatrice l’analisi di chi concepisce il
rinnovamento della Chiesa solo come un cambio di carattere istituzionale e non
come una rigenerazione del suo annuncio e della sua più profonda identità, lo
stesso errore dei tradizionalisti che hanno sempre ridotto la Chiesa alla sua
dimensione giuridicistica e fattuale.
Al contrario la Chiesa è rinnovata dalla Parola. L’istituzione
ne è determinata. E non si può negare che la grande rivoluzione portata da papa
Francesco sia stata quella della Parola, fino a una nuova rivelazione di Dio, delle
religioni e della Chiesa.
Del resto questo non succede solo nella Chiesa. Ci sono
discorsi, magari non subito seguiti dai fatti, che hanno cambiato il corso
della storia.
Si pensi al discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret, che
introdusse una nuova ermeneutica selettiva dell’Antico Testamento, separò la
misericordia di Dio dalla sua vendetta e introdusse una lettura non sionista,
non nazionalista cioè, delle Scritture ebraiche.
Si pensi al discorso di Paolo all’Areopago di Atene, che
consegnò “il Dio ignoto” alle religioni e alle culture di tutti i popoli, senza
rivendicarne l’esclusiva a una sola tradizione.
Si pensi al discorso di Gregorio Magno ai fedeli di Roma, straziati
dai Longobardi di Agilulfo: “perito il popolo, scomparsi i potenti, assente il
Senato, la città vuota ed in fiamme”, eppure il papa guarda al mondo nuovo che
comincia, all’ascesa dei popoli nuovi, e fonda l’Europa.
E per
venire a tempi più recenti, si pensi al discorso di Luigi Sturzo del 1905 a
Caltagirone, che mutò l’identità dei cattolici italiani facendone non più
sudditi del papa e araldi delle sue rivendicazioni temporali nella questione
romana, ma cittadini dello Stato, fautori della democrazia, promotori della
proporzionale e autonomi nelle loro scelte politiche, premessa necessaria del
ruolo che essi avrebbero giocato dopo il fascismo.
Si pensi
al discorso di Giovanni XXIII per l’inaugurazione del Concilio, nel quale
attestò la Chiesa sulla frontiera della misericordia (“la medicina della
misericordia invece delle armi del rigore”), l’attrezzò per l’”aggiornamento”
dello stesso annuncio evangelico e sognò il sogno di una “Chiesa di tutti e
soprattutto Chiesa dei poveri”.
Si pensi
al discorso di Togliatti del 1963 a Bergamo sul “destino dell’uomo”, in cui il
leader comunista riposizionava il suo partito, e l’idea stessa del comunismo,
non più solo sul terreno delle lotte economiche e sociali, ma su quello di una
nuova antropologia universalistica, per la quale la stessa coscienza religiosa,
posta di fronte ai drammatici problemi del mondo contemporaneo, era chiamata in
causa e poteva essere di stimolo al
cambiamento della società.
Di papa
Francesco non si può ancora dire quale sarà il discorso che farà storia, dopo
il quale la Chiesa, tutt’altro che immobile, non sarà mai più quella di prima.
Si potrebbe dire l’ “Evangelii gaudium” in cui questa nuova Chiesa è disegnata,
la “Laudato sì” che coinvolge tutti gli abitanti del pianeta nella salvezza
della Terra, i discorsi sulla misericordia che piantano il “Dio inedito” nel
cuore di tutti gli uomini, oltre ogni diversità di religione, i discorsi ai
movimenti popolari che esortano alla
lotta, e non solo alla rivendicazione di un altro modo possibile, il discorso
all’Europa per l’uscita dal regime di cristianità, i discorsi agli Stati per
una rivoluzione degli ordinamenti che escludono e dell’economia che uccide, o
il discorso con cui ha rovesciato fin nel catechismo una secolare dottrina che
ammetteva la pena di morte. Più probabilmente, al di là di un singolo discorso,
sarà il magistero globale di papa Francesco che avendo finalmente pensato la
riforma della Chiesa a partire dalla riforma del papato (Santa Marta!) ha di
fatto già realizzato quello che i suoi
critici malevoli rifiutano, e che i suoi critici benevoli reclamano. Lo scisma è
ormai fuori tempo.
È chiaro
che questo non può bastare; il governo non è solo profezia, è anche
istituzione, e un papa “governa” la Chiesa. Ma ogni cosa ha i suoi tempi, e in
tempi selvatici come questi non si possono fare corti circuiti e false
partenze. Ma di certo, se la Chiesa rimarrà fedele, “l’istituzione seguirà”;
forse non oggi le riforme che tutti noi abbiamo nel cuore, ma certamente
domani.
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