Nella vicenda dell’Elemosiniere
del papa che riattacca la luce ai nuovi romani immigrati c’è come il
precipitato e il significato di tutto il pontificato di Francesco; e vi è anche
tracciato il disegno dell’unica Chiesa che è possibile nel futuro.
I dibattiti che hanno
imperversato sui giornali e nei talk-show su questo fatto che nessuno ha visto
ma che è subito diventato un grande evento mediatico, sono stati di una
trivialità impressionante. Nessuno ha visto la verità profonda di quanto è
accaduto; la discussione era tutta su chi dovesse pagare le bollette della
luce, se si potesse ammettere uno strappo alla legalità nel centro di Roma,
tanto più se compiuto da uno “Stato estero” come il Vaticano; addirittura secondo
l’ex giudice Nordio, un magistrato di qualche notorietà, l’Italia avrebbe
dovuto aprire una questione diplomatica con la Santa Sede per violazione della
legge e del Concordato del 1984, se non addirittura del Trattato del 1929.
A nessuno è venuto in mente che
il papa è il vescovo di Roma, e che un vescovo sta lì per portare la luce dove
sono le tenebre, e che la sua legge non è il contratto di compravendita
dell’energia, ma è il Vangelo. Nessuno si è ricordato che papa Francesco ha
cominciato il suo ministero a Roma lamentando che se un barbone moriva di
freddo in via Ottaviano nessuno se ne curava, mentre se calavano due punti in
Borsa se ne faceva un grande pianto, e che l’economia in forza della quale
questo avveniva è un’economia che uccide, e che una società che lo permette è
una società dello scarto.
Soprattutto a nessuno è venuto in
mente di discutere che cos’è la legalità.
La legalità è violata a Roma
quando si permette a Casa Pound di cingere d’assedio una casa popolare per
intercettare, minacciare e tenere prigioniera una famiglia di ex nomadi, e
nessuno interviene, fino a quando la Sindaca in persona non va a rompere
l’assedio.
La legalità è calpestata a Roma
quando un ministro degli Interni per vendicarsi taglia i fondi destinati a Roma
capitale, dicendo che Roma non deve essere trattata meglio di un qualsiasi
comune dell’hinterland milanese.
La legalità non esiste a Rio de
Janeiro, dove si mette in prigione Lula per non fargli vincere le elezioni, ma
si lascia che un milione di persone viva nelle favelas tra le fogne
attaccandosi per la corrente elettrica ai semafori della strada.
Ma non c’è solo una legalità
dovunque violata: c’è una legalità selvaggia, c’è una legalità che legittima e
sancisce veri e propri reati, e anzi dei crimini. Oggi è legale in Italia ammazzare un ladro o
un intruso in casa propria e in ufficio, anche senza alcuna proporzione tra
difesa e offesa, o anche solo con la giustificazione di uno scatto emotivo.
Oggi è considerato legale dal Parlamento, e anzi corrispondente a “un
preminente interesse nazionale” chiudere i porti in faccia ai naufraghi,
sequestrare i superstiti in mezzo al mare, perseguire una politica all’insegna
del “meglio morti che sbarcati”, una politica per la quale sono meglio le
prigioni e le torture libiche che far vedere l’Italia anche solo “in cartolina”
: questi non sarebbero crimini, non sarebbe la nostra Shoà, dal momento che non
si dà l’autorizzazione procedere per perseguirli a norma di legge.
Oggi è legale in Italia che a
migliaia di stranieri siano negati il nome e l’anagrafe, gli si neghi cioè il
fatto stesso di esistere, contro la legge che sta prima di ogni altra legge,
che è la legge dell’esistenza in vita, contro la legge che è la prima di tutte
le leggi, è la stessa Costituzione, che consiste nel riconoscere tutti gli
esseri umani come persone.
E a nessuno è venuto in mente che
la civiltà dell’Occidente, la sua salutare dialettica tra diritto e giustizia,
è cominciata quando Antigone ha violato la legge della città, e quella
illegalità di Antigone è stata definita da Sofocle, e così ha attraversato i
secoli fino a noi, come un “santo crimine”. Illegale, ma santo.
Veniamo così alla santa
illegalità del papa e del suo Elemosiniere.
Che cosa gli hanno rimproverato,
qual è il comportamento che invece Salvini, quello del rosario e del Vangelo in
mano nei comizi, voleva dalla Chiesa? Che cosa doveva fare invece il papa
secondo la politica, il governo, i benpensanti, le TV edite dalla pubblicità?
Quello che doveva fare era di pagare i 300.000 euro della bolletta della luce,
fare un’elargizione, mandare un assegno magari con una guardia svizzera. La
Chiesa doveva fare quello che il sistema si aspetta e vuole da lei: che non
metta in discussione e accetti l’ordine esistente, l’ordine iniquo, però lo
ingentilisca, lo nobiliti, facendo l’elemosina, mettendo il classico fiore
sulla catena della creatura oppressa, di marxiana memoria.
La Chiesa doveva mandare
l’assegno al palazzo di via Santa Croce in Gerusalemme e dire ai 400
disgraziati e famiglie che vi abitano: vedete come suona buona? Voi siete
musulmani, animisti, non credenti, magari anche atei, non avreste neanche il
diritto di stare in questa diocesi, però non importa, vedete come sono
longanime, come faccio la carità, non importa se non siete cattolici o
cristiani, io penso anche a voi, sono aperta, “moderna”, non discrimino, perciò
state buoni.
Invece la Chiesa non ha fatto
questo. È andata lì, ed è scesa nel tombino. Non ha fatto prediche, non ha
fatto elemosine. Si è messa al posto loro, si è scambiata con loro, ha detto
loro che se per difendere la loro vita scendono nel tombino, lei scende con
loro. Ha detto: lottiamo insieme perché la luce non sia tolta. Non ha regalato
un pesce agli affamati, ha detto gettate le reti dalla parte giusta, imparate a
pescare, i pesci ci sono.
E non si tratta di “un gesto”.
C’è dentro tutta una teologia, Dio che si scambia con l’uomo, che prende su di
sé il dolore e il bisogno dell’uomo, la teologia del IV Vangelo, di Paolo ai
Corinti, dei quattro grandi Concili.
E dopo aver fatto questo la
Chiesa di papa Francesco fa una cosa assolutamente straordinaria: non resta lì
a invadere quello spazio, non fa intrusioni nella vita di nessuno, non fa
proselitismo: lascia il suo biglietto da visita, come per dire: Io ci sono.
Il biglietto da visita è
importante; quando il governo Salandra tramava per portare l’Italia nella prima
guerra mondiale, trecento deputati che non la volevano lasciarono il loro
biglietto da visita nella cassetta postale di Giolitti, l’unico che potesse
impedirla.
E così nasce una nuova potente
immagine della Chiesa. Il Concilio aveva ricordato molte umili immagini in cui
la Chiesa era raffigurata, prese dalla vita agricola o pastorale: la Chiesa
come ovile di Dio, come campo o vigna di Dio, come casa di Dio; poi ci furono
anche immagini più ambiziose, come “Gerusalemme celeste”, “Sposa dell’Agnello”,
fino al simbolo del Triregno come potere su tutto. Papa Francesco aveva
aggiunto la soccorrevole figura della Chiesa come ospedale da campo. E ora
arriva l’immagine della Chiesa come biglietto da visita. E non è solo
un’immagine, dentro c’è una teologia, c’è un Vangelo annunziato in modo nuovo,
e c’è la corrispondente ecclesiologia. La visita è il modo in cui avviene la
rivelazione e la presenza di Dio nella storia. Dio visita il suo popolo, Dio
visita la storia degli uomini. Egli entra nella storia ma non si fa chiudere
dentro di essa, la visita è la teologia in quanto teologia della storia. Gesù è
la visita di Dio nel mondo, ne è l’epifania, ne è l’esegesi, “chi vede me vede
il Padre”; umanità e divinità, non confuse, non divise, non separate, non
mutate l’una nell’altra. Lo scambio. La Chiesa è il segno e il sacramento di
questa visita divina. È presente e discreta, non vuole dominare spazi, ma non
vuole più escludere e abbandonare nessuno: non conquista, lascia il suo
biglietto da visita.
Da qui “cambia l’idea di
religione”, come ha scritto un giorno, affermando la nonviolenza di Dio, perfino
la Congregazione per la dottrina della fede del cardinale Muller. Dio visita la
sua unica famiglia umana, non in un solo modo, non in una sola cultura, non in
una sola Chiesa. La visita in molteplici modi, perché “il pluralismo e le
diversità di religione sono una sapiente volontà divina”, come dice il
documento congiunto tra Chiesa ed Islam firmato dal papa il 4 febbraio scorso ad
Abu Dhabi. Questo non è il Dio
dell’identità, è il Dio dell’“arca della fraternità”, il Dio dello scambio.
Questa è l’“ottava eresia” che a papa Bergoglio imputano i suoi accusatori
della lettera del 6 aprile; questa è la Chiesa che le religioni mondane, e il
mondo stesso, non vogliono, questo è il peccato che a Francesco non possono
perdonare.
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