Prima ancora
di chiedersi “che fare” bisogna cercare di capire che cosa è successo il 26 maggio
e anche le ragioni di un così repentino cambiamento della geografia elettorale.
La
democrazia non perdona, gli errori, gli sgarri li fa pagare ad usura. Essa ha
un effetto moltiplicatore, e come moltiplica straordinariamente i fattori
positivi immessi nel corpo sociale (le fortune del Welfare State ne sono state
nel secolo scorso un esempio) così moltiplica il negativo della cattiva
politica e del maldestro pensiero.
Questa è
anche la ragione dei cambiamenti improvvisi del quadro politico, che lasciano
di stucco i commentatori abituali, avvezzi all’eterna ripetizione
dell’identico. I regimi sono molto più piatti e prevedibili delle società
aperte, le gestioni autoritarie longeve, gli Imperi possono durare dei secoli;
ma la democrazia no, le democrazie sono il regno della sorpresa, della novità,
dell’inedito che irrompe inatteso e poi magari presto scompare. Perciò la democrazia
ha bisogno di gente molto più sveglia, che capisca più in fretta, ha bisogno di
cittadini, non di sudditi. La democrazia oggi c’è, domani può non esserci più;
non è un dato di natura, è un’opera e una decisione nostra.
Nelle elezioni europee, l’effetto moltiplicatore più devastante la democrazia l’ha esercitato sul Movimento 5 stelle. Esso ha pagato l’aver fornito la manovalanza per l’erezione del trono di Salvini e l’aver offerto lo sgabello ai suoi piedi, e averlo fatto quasi senza calcolo, il che è ancora più grave che farlo per un calcolo sbagliato. Sventatezza politicamente imperdonabile; ma essa aveva una causa che la rendeva inevitabile: il disprezzo per la politica, il discredito della politica come arte, come cultura, come professione, con la conseguenza di un’incapacità dei giovani capi del Movimento di capire la politica, di riconoscerla, proprio nel momento in cui dovevano farla.
Non è politica stabilire di fare politica a termine per non contaminarsi; i “due mandati” il Movimento stesso li ha fatti, ed ora è lui che rischia il licenziamento. Non è politica colpevolizzare stipendi e pensioni dei politici, come se non ci fosse altro, e quello non fosse un lavoro, né è politica liquidare quell’evento maggiore dei partiti italiani che è stato il trapasso dal PD di Renzi a quello postrenziano con la falsa notizia che per prima cosa il nuovo PD volesse aumentare le indennità parlamentari. Non è politica chiudere occhi orecchi e cuore a tutto il resto, purché passi il reddito di cittadinanza. Non è politica non cambiare politica dopo la scudisciata del voto.
Nelle elezioni europee, l’effetto moltiplicatore più devastante la democrazia l’ha esercitato sul Movimento 5 stelle. Esso ha pagato l’aver fornito la manovalanza per l’erezione del trono di Salvini e l’aver offerto lo sgabello ai suoi piedi, e averlo fatto quasi senza calcolo, il che è ancora più grave che farlo per un calcolo sbagliato. Sventatezza politicamente imperdonabile; ma essa aveva una causa che la rendeva inevitabile: il disprezzo per la politica, il discredito della politica come arte, come cultura, come professione, con la conseguenza di un’incapacità dei giovani capi del Movimento di capire la politica, di riconoscerla, proprio nel momento in cui dovevano farla.
Non è politica stabilire di fare politica a termine per non contaminarsi; i “due mandati” il Movimento stesso li ha fatti, ed ora è lui che rischia il licenziamento. Non è politica colpevolizzare stipendi e pensioni dei politici, come se non ci fosse altro, e quello non fosse un lavoro, né è politica liquidare quell’evento maggiore dei partiti italiani che è stato il trapasso dal PD di Renzi a quello postrenziano con la falsa notizia che per prima cosa il nuovo PD volesse aumentare le indennità parlamentari. Non è politica chiudere occhi orecchi e cuore a tutto il resto, purché passi il reddito di cittadinanza. Non è politica non cambiare politica dopo la scudisciata del voto.
L’effetto
moltiplicatore ha funzionato anche nel creare il successo di Salvini. L’intero
sistema politico italiano non aveva capito il segnale delle elezioni del 4
marzo dell’anno scorso: massimo era lo scoramento e l’insofferenza per una
situazione economica e sociale divenuta insostenibile: non solo i poveri
restavano poveri, non solo i disoccupati languivano, ma i ricchi si
impoverivano e gli occupati, pur lavorando, scendevano nella miseria.
L’elettorato ha espresso la maggiore protesta allora possibile votando per i 5
stelle. contro i partiti tradizionali dei Minniti e dei Gentiloni; questi hanno
reagito aspettando di vederne, compiaciuti, il fracasso; ed ora l’elettorato ha
votato in modo ancora più radicale e disperato, ha votato per la Lega Nord, perfino
nel Sud, che è tutto dire. Ma anche Salvini pagherà l’effetto moltiplicatore
della democrazia; ha promesso il miracolo di cambiare l’Italia e l’Europa,
invocando santi e Madonne e baciando rosari prima e dopo il voto, ma il
miracolo non lo potrà fare, e avendo molto promesso poco gli sarà perdonato.
Così ha mostrato solo quanto è ancora infantile la cultura religiosa in Italia,
tra i devoti che si fanno la croce per propiziarsi voti, goal e prodigi e
il cardinale Muller che ciò giudica “cristiano”.
Il partito democratico, raso al suolo da Renzi, ha riguadagnato la linea di galleggiamento; ma metà del suo successo è dovuto al candidato tenuto più nascosto, a quel Pietro Bartòlo, il medico di Lampedusa, che vuole andare a Strasburgo per raccontare all’Europa la vera storia dei 350.000 naufraghi che negli anni ha curato nell’isola, e di quelli di cui ha dovuto fare “l’ispezione cadaverica”; in molti casi si trattava di bambini; “anche questi sono bambini”, ha gridato durante la campagna elettorale, non lo sono solamente i “bimbi” con cui si gloria in TV di passare la domenica il ministro degli Interni. E se si proietta sul piano nazionale il risultato di Bartòlo, presente in due soli collegi (in Sicilia ha preso la metà di tutti i voti del PD), e si tiene conto di mezza Italia che non è andata a votare né per gli uni né per gli altri, si vede che il vero vincitore è lui, è l’Italia della compassione, non quella dello scarto.
Il partito democratico, raso al suolo da Renzi, ha riguadagnato la linea di galleggiamento; ma metà del suo successo è dovuto al candidato tenuto più nascosto, a quel Pietro Bartòlo, il medico di Lampedusa, che vuole andare a Strasburgo per raccontare all’Europa la vera storia dei 350.000 naufraghi che negli anni ha curato nell’isola, e di quelli di cui ha dovuto fare “l’ispezione cadaverica”; in molti casi si trattava di bambini; “anche questi sono bambini”, ha gridato durante la campagna elettorale, non lo sono solamente i “bimbi” con cui si gloria in TV di passare la domenica il ministro degli Interni. E se si proietta sul piano nazionale il risultato di Bartòlo, presente in due soli collegi (in Sicilia ha preso la metà di tutti i voti del PD), e si tiene conto di mezza Italia che non è andata a votare né per gli uni né per gli altri, si vede che il vero vincitore è lui, è l’Italia della compassione, non quella dello scarto.
E ora, se si
può, si torni alla politica, cioè ai problemi veri su cui non si è votato,
perché taciuti in una campagna elettorale dedita a tutt’altro; sono i veri nodi
della situazione presente: il clima, gli eventi estremi della natura
oltraggiata, il commercio selvaggio, il denaro sul trono, le armi messe
sopra a tutto, l’epidemia della povertà, l’esclusione, il diritto di migrare, i
profughi in fuga da guerre, da fame e dal degrado ambientale, le donne negate,
il diritto perduto, le Costituzioni stracciate, il furto di futuro, l’uomo
artificiale, “potenziato” e programmato dalla tecnica per togliergli di dosso
l’immagine di Dio: i temi che sono stati oggetto della recente assemblea di “Chiesa
di tutti Chiesa dei poveri”.
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