Mentre il cardinale
tedesco Brandmüller, uno dei quattro estensori dei "dubia"
sull'ortodossia della "Amoris laetitia", accusa di eresia perfino il
Sinodo dell'Amazzonia, che non si è ancora tenuto, e mentre papa Francesco racconta
- e la Civiltà Cattolica pubblica - di aver chiesto scherzando a una donna che
gli aveva detto di pregare ogni giorno per lui: "mi dica la verità, prega
per me o contro di me?", segno del clima di assedio in cui vive oggi il
Vangelo nella Chiesa, è assolutamente necessario leggere il discorso di papa Francesco a Posillipo sulla teologia e il
Mediterraneo "tenda di pace". E' stato un blitz che ha fatto il papa
il 21 giugno, partendo alle 7,50 in elicottero dal Vaticano, parlando alla
Facoltà teologica, e ripartendo da Napoli alle 13,12. I giornali quasi non se
ne sono accorti, ma è stato un evento capitale per la storia di questo pontificato
e della Chiesa stessa nell'attuale nodo storico. Formalmente era un discorso
sulla teologia, non in astratto ma nel contesto del Mediterraneo e a partire
dalle novità introdotte dalla Costituzione apostolica "Veritatis
Gaudium" sugli studi ecclesiastici del 2017, ma di fatto è stata una
risposta all'assillante domanda formulata da papa Paolo VI durante il Concilio:
"Chiesa di Cristo, che cosa dici di te stessa?". Bisogna leggere
questa risposta, che è anche una risposta a quanti vorrebbero imbalsamare la
fede nei manuali, il kerigma nella scolastica decadente e l'evangelizzazione
nel proselitismo; ed è anche una risposta ai prelati e ai portavoce che
accusano il papa di eresia, e altresì a chi, musulmano o cristiano, è ancora in
odore di crociata. Bisogna leggere questo discorso, fluente familiare e
fondativo, segno del tempo, capace di presagire il futuro; ne indichiamo qui
solo alcuni punti cruciali.
1.
Francesco chiude l'incidente di
Ratisbona, quanto Benedetto XVI citò Manuele Paleologo che attribuiva a
Maometto "cose solo malvagie e inumane", e lo fa rovesciando il
discorso col ricordare le persecuzioni compiute in nome di una religione
"che anche noi abbiamo fatto". E ha citato la Chanson de Roland, dove
si dice che "dopo aver vinto la battaglia i musulmani erano messi in fila,
tutti davanti alla vasca del battesimo; c'era uno con la spada, e li facevano
scegliere: o ti battezzi o ciao!". E contro questa scelta, "o
battesimo o morte", papa Francesco ha fatto appello alla nonviolenza
"come orizzonte e sapere sul mondo", elemento costitutivo di ogni
teologia, di ogni religione.
2.
Francesco non rivendica il Mediterraneo
come un "mare nostrum" ebreo-cristiano, ma lo celebra come il mare
del meticciato, multiculturale e pluri-religioso, e proprio perciò mare per il
dialogo e "grande tenda di pace".
3.
Francesco nega che il patrimonio di fede
possa giacere immobile nei manuali, come accadeva "nel tempo della
teologia decadente, della scolastica decadente", quando lui aveva studiato
e si diceva scherzando, ma non tanto, che tutte le tesi teologiche si provavano
con un sillogismo il cui termine medio era che "il cattolicesimo ha sempre
ragione". La fede al contrario, cresce con il dialogo. Un dialogo con
le persone, con la Tradizione, e anche con i testi sacri, leggendo nella
realtà, nel creato e nella storia i segni e i rimandi teologali al mistero del
cammino di Gesù che lo porta alla croce, alla resurrezione e al dono dello
Spirito. Non dunque un'apologetica controversista, ma un'ermeneutica dell'amore
di Dio per tutti gli uomini, per tutta la fraternità umana.
4.
Francesco include nel dialogo
l'evangelizzazione, che è testimonianza non solo di parole, (e cita san
Francesco che diceva ai frati: "predicate il Vangelo, se fosse necessario
anche con le parole") ed è accoglienza; non è, invece, proselitismo:
quello "è la peste", come, "peste" è la sindrome di Babele
che consiste non nella differenza delle lingue, ma nel non ascoltarsi l'un
l'altro.
5.
Francesco dice che la teologia deve
essere interdisciplinare, compassionevole, capace di discernere nel patrimonio
ricevuto quanto è stato veicolo dell'intenzione misericordiosa di Dio e quanto
invece è stato infedele; la teologia deve essere in solidarietà con tutti i
naufraghi della storia, a cominciare da Giona fino a quelli di oggi con cui si
deve riprendere la strada senza paura. Una tale teologia propizierà una nuova
Pentecoste teologica nella libertà del pensiero - per sperimentare strade
nuove - nell'assunzione della storia, nella convivialità delle
differenze, nel lavoro comune di uomini e donne e nell'accoglienza
kerigmatica di persone e popoli, nel Mediterraneo e non solo.
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