Queste lettere tuttavia, anche se giungono ai nostri giorni partono da lontano, cominciano dal sacrificio di Aldo Moro, dato dai potenti e dai terroristi di allora in olocausto alla ragion di Stato, alla ragion di Partito e alla politica intesa come omertà con gli amici e disfatta per i nemici; quel crimine politico, dettato dalla sentenza che fosse meglio che un uomo solo morisse piuttosto che tutta l’Italia cadesse in mano ai comunisti, fu il delitto fondatore di questa seconda fase della Repubblica, che va dal 1978 fino ad oggi, una fase politica vissuta come guerra perpetua e giunta ora a una complicità di governo tra contraenti che si abbracciano e si scontrano addossando agli altri, ai poveri, ai disoccupati, ai migranti, agli stranieri, ai fuggitivi da guerre e carestie, tutti i mali che non si riescono a dominare e le ingiustizie che non si riescono a sanare.
Tra queste due soglie temporali si muovono queste lettere, il cui scopo però non è di far memoria delle cose passate (siamo pieni di memoriali di tragedie passate che non servono a salvarci e nemmeno a renderci migliori) ma è quello di affacciarsi sul futuro, come da un parapetto, dal quale si può cadere nel precipizio o prendere la strada di una storia nuova, di una terra nuova e, perché no, anche di cieli nuovi dal momento che c’è un papa che ci sta mostrando una stella e vorrebbe dell’umanità intera fare la costellazione che la segue.
Perché si realizzi questa seconda alternativa la domanda, che già fu piantata nella cultura del Novecento, è se c’è un Dio, e quale Dio, che ci possa salvare. Questa domanda non fu posta dalle Chiese, che credevano di avere già la risposta, ma dalla filosofia e dalla politica, in Germania da Martin Heidegger, in Italia da Claudio Napoleoni. Perché le vecchie filosofie erano fallite, come annunziava il grande storico della cultura Italo Mancini: la filosofia dell’Essere, cioè la filosofia degli assoluti, del non negoziabile, della trascendenza inaccessibile che fonda il trono dei potenti, e la filosofia dell’Io, dell’identità, della dialettica, i due corsi del pensiero occidentale che avevano dato luogo ai totalitarismi, agli universi concentrazionari, alle guerre e giungono ora fino ai sovranismi.
La risposta, quando non sapevamo dove andare, fu che a salvarci non poteva essere la filosofia dell’Essere o quella dell’Io, non il culto dell’identità esclusiva ed escludente, ma sarebbe stato l’Altro e il suo volto, un volto da riconoscere, da accogliere, da accarezzare, da amare. Un volto che non si può oltrepassare senza che i nostri occhi lo vedano.
E a un certo punto, a dire quale Dio ci può salvare, è arrivato papa Francesco non “dalla fine del mondo”, ma prima della fine del mondo, e ci ha rivelato che il Dio del giudizio senza misericordia neanche esiste, noi siamo atei per questo Dio. Il solo Dio che esiste ha “il volto della misericordia”, si è “scambiato” con l’uomo, ha preso il suo posto sulla croce, sui barconi dei profughi e nei lager libici, nelle fabbriche occupate e nei tombini dove si scende per riattaccare la luce ai poveri che ne sono privi; e questo Dio è un Dio che si è dato per tutti, che non fa esclusione di persone, anche se le religioni lo hanno fatto a pezzi ciascuna rivendicando il proprio Dio come l’unico vero e ciascuna affermando se stessa come l’unica arca voluta da lui, fuori della quale non ci sarebbe salvezza.
Ma già era venuto il Concilio a dire che la vera arca di Dio sulla terra oltrepassa le religioni stabilite, sussiste nella Chiesa cattolica ma non si esaurisce in essa; e ciò significa riaprire il discorso con Dio, riaprirsi all’ascolto delle cose non ancora annunziate, delle cose non ancora capite.
Viene allora il tempo, secondo le parole della recente assemblea di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, di riaprire la questione messianica, proprio ora quando la storia stessa può finire per mano dell’uomo. Ciò suppone che ci sia ancora un messia, un “messia che rimane”, come dice alla fine del suo vangelo Giovanni a proposito del “discepolo che rimane”. Questo discepolo, questo messia nascosto non alza insegne né sacerdotali né regali; infatti siamo noi, è l’umanità tutta intera, ricomposta nella sua unità di origine e di destino, a cui tocca raccogliere, e assumere come compito, la profezia che la terra sia salva e la Storia continui. Perché questo accada non bastano Carte dei diritti e dichiarazioni di principio; occorre che l’intera famiglia umana sia istituita come nuovo soggetto politico, fonte di diritto, potere costituente di un nuovo ordine globale fondato sull’eguaglianza e la dignità di tutti gli esseri umani. Che, nelle diverse lingue e culture, prenda partito, ma partito per la Terra.
Questo dicono le “Lettere in bottiglia”. Esse saranno presentate a Roma dal camaldolese don Innocenzo Gargano e da me nella Biblioteca della Chiesa di san Gregorio al Celio, piazza san Gregorio 1, giovedì 4 luglio alle ore 18; saranno anche presentate lunedì 1 luglio nella trasmissione “Il diario di papa Francesco” di TV 2000 alle ore 17.30.
Il libro, oltre che in libreria, si può ordinare sul sito:
https://www.gabriellieditori.
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