Le due salvezze
PRENDERE PARTITO PER LA TERRA
Una scuola e una Costituzione della Terra: è questa la proposta per rispondere alla crisi globale che è stata preannunziata in un discorso tenuto nel Palazzo della Cultura di Messina il 9 dicembre. Se Dio non è geloso e non è causa di divisione tra gli uomini, un popolo della Terra si può costituire, come dicono oggi papa Francesco e le altre religioni. Ogni casa una scuola
Raniero La Valle
Vogliamo oggi parlare del futuro a
partire dalla svolta di papa Francesco.
Come si sa papa Francesco è un papa
molto contestato, come non avveniva da molti decenni. Ancora ieri, 8 dicembre,
a Piazza di Spagna a Roma, per la festa dell’Immacolata, si è visto quanto è
amato dalle folle, sono quelle folle di cui sempre parlano i Vangeli, che si
raccoglievano dove parlava Gesù. Sicché oggi le Chiese sono vuote, ma le piazze
sono piene; e tuttavia i giornali sono pieni di questa contestazione al papa.
Forse altrettanto contestato fu papa Giovanni XXIII, che si era permesso di
convocare un Concilio, quando secondo i tradizionalisti, dopo la proclamazione
dell’infallibilità pontificia, avvenuta al Concilio Vaticano I, di Concili non
ce ne dovevano essere più. Però nessuno era arrivato ad accusare papa Giovanni
di eresia come invece è accusato papa Francesco, perfino da alcuni cardinali.
Perciò non si può parlare degli attacchi a papa Francesco senza dolore, e non
si può non pregare per lui; e a mio parere la Chiesa, a cominciare dalla Chiesa
italiana, dalla Chiesa di Messina, non lo fa, come se la controversia sul papa
riguardasse solo il papa e la Curia, e non invece il destino dell’uomo sulla
terra.
Perché una cosa dobbiamo dire. Quando Pietro,
come si racconta negli Atti degli apostoli, fu incarcerato e tutta la Chiesa si
mise a pregare per lui, ciò che era in gioco era l’esistenza e il futuro della
Chiesa nascente. Ma oggi, con il pontificato di papa Francesco, non è in gioco
il futuro della Chiesa, perché essa, bene o male, continuerà, potrà perfino
sopportare un futuro papa reazionario come tanti ne ha avuti nella storia. Ma
con il pontificato di papa Francesco, si gioca un’altra cosa, si gioca il
futuro del mondo e della storia; non a caso l’unica Enciclica di papa
Francesco, la “Laudato Sì”, è indirizzata “ad ogni persona che abita questo
pianeta”: non solo ai buoni, ma anche ai cattivi, perché il destino è di tutti.
E allora bisogna cercare di capire che
cosa c’è di veramente nuovo con papa Francesco, al di là delle cose più
vistose, che tutti percepiscono, al di là dei luoghi comuni con cui viene
rappresentato: che vive in albergo e non nel Palazzo, che porta le scarpe nere
e non rosse, firmate Prada, che viaggia portandosi la borsa da sé, che alla
Casa Bianca tra i macchinoni americani lui ci va con la Panda, che sotto il
colonnato di San Pietro fa fare la barba e i capelli ai barboni, e poi li
invita alle bellezze della Cappella Sistina, perché anche loro hanno diritto
alla bellezza, e quando dà la luce non dà solo la luce della fede – “lumen
Christi, lumen Ecclesiae, lumen Gentium” – ma anche la luce elettrica al
palazzo occupato. Tutto questo si sa.
E nemmeno vogliamo qui ricordare tutte le eresie di cui
è accusato: per esempio di voler dare la comunione ai divorziati risposati, contro
il dogma dell’indissolubilità: ma questa non è un’eresia, semmai è un’eresia
dimenticare che Gesù ha perdonato l’adultera e non ha istituito l’eucarestia
previa esclusione delle coppie irregolari. Né vogliamo riferirci all’accusa di
aver definito il proselitismo “una peste”, facendo cadere l’assioma dogmatico
che aveva retto per secoli, cioè che “extra Ecclesiam nulla salus”, fuori della Chiesa non c’è salvezza: ossia
fuori della Chiesa visibile, senza essere passati attraverso la porta della
Chiesa costituita e organizzata come società in questo mondo, senza l’acqua del
battesimo non ci sarebbe salvezza, come spiegava anche san Tommaso rispondendo
alle “quaestiones” che gli venivano poste alla Sorbona; e si trattava in quel
caso di un bambino nato e morto in un deserto, dove l’acqua non c’era. E questo licenziare il proselitismo, davvero
per un’istituzione che rivendicava di avere il monopolio su Dio, può sembrare
un’eresia.
Ma queste non sono novità e non sono
eresie perché già si sapeva che Dio è per tutti. La vera novità che viene con
papa Francesco è una novità che non si era mai prodotta prima nella storia del
mondo ed è una novità da cui d’ora in poi dipende la storia del mondo. Io non
dico che questa novità l’ha portata papa Francesco, perché al contrario è un
segno dei tempi, che non è posto da noi. Però questa novità di certo papa Francesco
la interpreta, la svela e la mette al mondo per noi.
La
vera novità
La novità è che il mondo, il mondo
fisico, il mondo profano, il mondo costruito da noi si trova dinanzi a un
drammatico problema di salvezza; per la prima volta gli scienziati, i climatologi,
e anche milioni di giovani e meno giovani in tutto il mondo parlano di
salvezza, dicono che la terra può distruggersi, che può non esserci un futuro.
All’orizzonte della politica, della cultura, della vita quotidiano, c’è un
nuovo tema all’ordine del giorno: la salvezza della terra.
Prima a parlare della salvezza erano
state solo le religioni, che infatti sono chiamate religioni della salvezza; il
cristianesimo stesso, da quando è nato, è lì per annunciare un Dio salvatore.
Ma
la percezione comune durata per secoli, era che si trattasse di un’altra
salvezza. Per molti non credenti di questa salvezza non c’era nemmeno bisogno.
Ebbene, la novità è che ora, quando papa
Francesco e il vertice sul clima riunito a Madrid, parlano della salvezza,
parlano della stessa salvezza. Le due salvezze si congiungono in una sola e
papa Francesco, con la sua Chiesa, si pone appunto come il papa delle due
salvezze.
Per millenni gli esseri umani hanno in
effetti vissuto divisi tra due salvezze. La salvezza della terra, il salvarsi
cioè sulla terra con le opere della terra, e la salvezza del cielo, il salvarsi
per la vita del cielo e con la fede nel cielo. A queste due salvezze, insieme
negate e promesse, hanno corrisposto due storie, da un lato la storia profana
del mondo, dall’altro la storia religiosa del sacro, quella che i Padri della
Chiesa chiamavano la “historia salutis”. Ma c’è un problema: che tutta la
nostra cultura, da Eraclito fino a Hegel e a Marx, è stata una cultura dominata
dal demone della dialettica, dove le differenze sono vissute come opposti, uomo
e donna, servo e signore, giudeo e greco, amico e nemico, noi e loro; e così anche il rapporto tra le due storie è
stato vissuto come dialettico, come conflittuale, come antagonistico, santi e
dannati, devoti e atei, pelagiani e antipelagiani, scelta religiosa o progetto
culturale; addirittura per Lutero la sola giustizia era dovuta alla fede,
l’uomo, ormai schiavo, dominato dal servo arbitrio, era nulla. Per non parlare
di Agostino, le due città, mischiate ma opposte, un copione da tragedia.
Ora la novità interpretata da papa
Francesco è che le due salvezze sono una sola, le due storie sono distinte ma
congiunte, non confuse ma non separate, come dice il concilio di Calcedonia.
Ed è proprio la “Laudato Sì” a
rivelarlo. Se non si salva la terra, come si può sperare la salvezza nei cieli?
Che fine fanno le promesse di Dio? Per papa Francesco, che pur viene dalla
lettura dialettica degli Esercizi di Sant’Ignazio, le due salvezze si
incontrano ma non dialetticamente, cioè non una contro l’altra; la salvezza
celeste non sopraggiunge come distruzione e antitesi di quella terrena: questa
sarebbe l’Apocalisse, non il Vangelo, e anzi non sarebbe nemmeno l’Apocalisse
di Giovanni, che è anch’essa evangelica, ma l’Apocalisse di Esdra; il IV libro
di Esdra, ai tempi di Gesù, diceva che il mondo era venuto male, perciò sarebbe
stato distrutto e ne sarebbe venuto un altro, ma non umano.
Purtroppo questa vena apocalittica, che
a pensarci bene è il culmine e il suggello religioso della dialettica, ha
continuato a serpeggiare nella nostra cultura. Il marchio della bestia, di cui
parla l’Apocalisse di Giovanni, è rimasto impresso “sulla mano destra o sulla fronte
di tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi”; l’uomo è
perduto, ed anche la natura che soffre le doglie del parto, ma questo parto può
essere un aborto.
Ed ecco che arriva Francesco, non il
Francesco papa, ma Francesco di Assisi, che intona il Cantico delle creature. Nessuno pensa che gli uccelli, il sole, la
luna, l’acqua, la terra abbiano la vita eterna. Dunque è chiaro che qui si
tratta della salvezza della terra. E quindi anche della salvezza dell’uomo
sulla terra. La “historia salutis” è allora anche la storia di questa salvezza.
Poi arriva Bergoglio, un uomo mandato da
Dio, dal Salvatore del mondo e prende anche lui il nome di Francesco. E anche
lui ripetendo “Laudato Sì” intona un cantico delle creature per la salvezza
della terra. Due ecologie si incontrano: l’uomo, la donna e il cielo stellato
sopra di loro; o l’ecologia è integrale, dice il papa Francesco, o l’ecologia
non c’è, la casa comune non c’è.
Queste due ecologie però non si
congiungono solo ora, quando con la crisi climatica e tutto il resto la terra
va in pezzi, ma sono state unite, sono state una cosa sola sin dal principio.
Sia il Primo Testamento che il Secondo
Testamento, in quel suo apice che è il Vangelo di Giovanni, cominciano con le
parole “in principio”: “In principio Dio creò il cielo e la terra”; “In
principio era il Verbo”. Dunque ambedue i Testamenti sono creazionisti. Oggi ci
sono gli anti creazionisti, ma i due Testamenti sono creazionisti. Ci sarà
stato pure il Big Ben, l’evoluzione, l’età della pietra, è tutto vero, Darwin
ha ragione e anche Einstein. Ma in principio, dicono i sacri libri c’era il
Verbo di Dio, cioè la parola di Dio; ma la parola è cosa dell’uomo. Se c’è una
cosa che è umana è la parola. Dunque l’intreccio tra il divino e l’umano c’è
fin dal principio. La prima epifania dell’umano sulla terra non è Adamo, è la Parola;
e infatti l’uomo e la donna saranno a immagine di questa Parola.
Le due salvezze e le due storie nascono
di lì. Ma purtroppo si sono infilate nella cultura della dialettica, sono state
vissute come opposte, ciascuna protesa al “toglimento” al superamento, alla
soppressione dell’altra. Dal Dio geloso che ispira a Giosuè lo sterminio di
Gerico, alla rivoluzione culturale cinese e magari fino a Salvini, siamo tutti
hegheliani. Il messianismo non era così, almeno il messianismo cristiano che ha
preso il nome da Gesù, il Cristo, che vuol dire messia.
Il messianismo non era dialettico.
Quando dice non c’è più né uomo né donna, né servo o signore, né ebreo o
gentile, non vuol dire che gli uni hanno soppresso gli altri, ma tutti sono
pari e liberi e salvi davanti a Dio. Il messianismo diceva non che l’arcangelo
Michele vinceva il dragone nei cieli ma che ciascuno avrebbe vissuto in pace
sotto la sua vite e sotto il suo fico, che l’asino e il bue, in barba alle leggi
di purità, avrebbero arato insieme, che le lance sarebbero state trasformate il
falci e che nessun popolo avrebbe più imparato l’arte della guerra. Perché la
guerra non sta in natura si deve imparare, si deve inventarla per poterla fare.
È a questo punto che arriva san
Francesco con le sue creature, a Greccio mette un bambinello contadino nella
culla. Agata, mia moglie, quando era maestra, in prima elementare, con i
bambini fece un presepio vivente e nella culla ci mise il bambino più
handicappato e sfuggito di tutta la classe (avevano fatto le lotte per
l’integrazione scolastica) e da quel momento i bambini sani lo accolsero e lo
misero al centro della classe e al centro di tutto. Questo è il messianismo. E Francesco fa l’omelia agli uccelli, non credo in
latino, come forse avrebbe voluto il suo papa Innocenzo III, ma in volgare, che
doveva essere la lingua degli uccelli, un cinguettio, un tweet, e gli uccelli
capirono.
E ora papa Francesco riparte da lì, e
predica l’ecologia integrale, cioè l’unità delle due ecologie. Della prima
ecologia, quella riguardante la terra, aveva cominciato a parlare Fanfani,
perché il problema si poneva già allora. La seconda ecologia, quella
riguardante gli abitanti della terra, era partita, anche se non si chiamava
così, con la grande rivoluzione della libertà e dei diritti dopo la notte
assoluta che era stata la seconda guerra mondiale, la guerra che ha prodotto i
primi due crimini globali, la Shoà e la bomba su Hiroshima, i due nuovi peccati
originali del mondo. Ora il problema qual è? Che le due salvezze non si possono
più separare è la storia che ce le presenta indissolubilmente unite e noi le
dobbiamo assumere insieme.
Che
cosa ci sta succedendo?
E infatti che cosa ci sta succedendo?
Che si sta rompendo la Terra, La Groenlandia si scioglie, fondono i ghiacciai
alpini, a Venezia l’acqua sale di 187 centimetri, i viadotti crollano, i
deserti avanzano, Giakarta dovrà essere evacuata e in ogni caso, sotto il
livello del mare, non potrà essere più la capitale dell’Indonesia. Ma non è
solo crisi climatica. L’Amazzonia brucia per fuoco amico, e anche l’Africa;
Hong Kong è in rivolta perché vuole separarsi dalla Cina, e questa la reprime;
la Gran Bretagna esce dall’Unione Europea senza accordi, l’Europa rischia di
implodere, gli Stati Uniti fanno la guerra dei dazi e vendono i Curdi alla
Turchia, le atomiche proliferano, ce n’è abbastanza da calcinare la Terra, Israele vuole tutta la terra per sé senza
autodeterminazione per la nazione palestinese, nel Mediterraneo profughi e
naufraghi non sono persone, muri si alzano dall’Occidente all’Oriente, in
Italia si fomenta la sindrome del
nemico. Tutto è divisione, e se il punto critico della temperatura
terrestre sarà raggiunto nel 2050 come dicono gli scienziati australiani, siamo a poco dalla fine. Un aumento di 3
gradi della temperatura planetaria farebbe collassare buona parte degli
ecosistemi terrestri, desertificherebbe e inonderebbe vaste aree abitate anche
nelle zone più temperate e farebbe sì che il 35% della superficie terrestre,
dove vive più della metà della popolazione mondiale, venga investita per almeno
20 giorni l’anno da ondate di calore letali.
Così si pongono oggi a livello mondiale
questioni e rischi derivanti dal fatto che l’operazione umana, per mano
pubblica o privata, ha attivato processi tecnologici finanziari e politici
sempre più alienati dalla realtà, processi che stanno uscendo o sono usciti dal
controllo dell’essere umano, ossia dall’attuale capacità della cultura, della
scienza e della politica di determinarne i fini e padroneggiarne gli esiti,
mentre si manifesta dovunque una crisi profonda della democrazia e del diritto
a cui è urgente porre rimedio.
Siamo oggi in presenza di una novità
sconvolgente e decisiva. Si è fatto incerto e imprevedibile ciò che fino a ieri
era fuori discussione, cioè che la Terra fosse ancora a lungo il luogo adatto
per viverci, e che la storia degli uomini e delle donne potesse continuare a
svolgervisi per un indeterminato futuro. La fine del mondo, che era pensata
dalle religioni e dalle Chiese come evento ultimo della storia e già posto
oltre di essa, è invece ora all’ordine del giorno come una news che può irrompere nella cronaca ed essere raccontata dai telegiornali,
quando ancora ci fossero. Essa è oggi nel calcolo degli scienziati, nella
percezione delle culture, nell’evasione delle fictions, ma il possibile crollo di tutta la costruzione umana
sulla terra non è assunto dalla politica come suo problema e come causa delle
azioni da compiere. In verità nel Novecento la politica percepì e fronteggiò
febbrilmente un’altra lotta con la fine, che si era profilata sotto la forma
della minaccia dell’olocausto nucleare,
e la sventò, ma oggi quando ben altre minacce si aggiungono e quella sta
di nuovo irrompendo, la decisione politica sembra passare la mano al fato o al
destino. Non mancano severe analisi ed enunciati programmatici di sostenibilità
ambientale, ma ben lontano da quanto sarebbe necessario. Quella che manca è la
comune determinazione degli uomini e donne di questo pianeta di salvare la
terra e far continuare la storia. Questa determinazione non può che essere una
determinazione politica; ma la politica e anche tutta l’informazione e
l’intrattenimento vivono in una sorta di astrazione, vivono nella condizione
del come se, del come se non: come se tutto ciò non dovesse accadere, e quando poi
le cose accadono non sanno che pesci pigliare.
L’atteggiamento della politica moderna è
quello dell’indifferenza; essa ignora la realtà che non vuole o non è in grado
di affrontare. In effetti la politica interna ed estera degli Stati, concepita
e organizzata per prospettive di breve periodo, non ha alcuna idea e alcuna
cura riguardo al futuro.
Noi invece dobbiamo assegnarci un
compito, dobbiamo darci un fine. Non possiamo andare avanti senza un progetto,
metterci alla finestra a guardare come va a finire.
Il
fine non può essere che quello di scongiurare la fine
Il fine non può che essere quello di far
sì che la terra sia salva e la storia continui. Ora questa necessità di
assumerci un fine si scontra con una difficoltà preliminare; e cioè che tutta
la storia della cultura è giunta a un punto in cui l’idea stessa che possa
esserci un fine è stata esorcizzata e scartata come non moderna. Basta vedere
come sono trattate le ideologie. Le ideologie, e i partiti che vi si
ispiravano, erano tali perché si prefiggevano un fine, che si trattasse della
universalità dei diritti, o di una società senza classi, o di una società
democratica non priva di valori cristiani, o di una prosperità magica
assicurata dalla Mano Invisibile del Mercato. Ma oggi le ideologie sono
accusate di pulsioni totalitarie, il politicamente corretto le esclude, e i
partiti, che ne sono diventati orfani, boccheggiano e muoiono. La politica, che
si tratti di Renzi o delle Sardine, è quella dell’attimo fuggente. Intanto la
vera ideologia che, nascosta, sopravvive e prende il potere è quella del denaro
sovrano, e dell’economia che uccide.
Ma non sono solo le ideologie. La
filosofia della storia nega oggi che la storia abbia un fine. Essa è ben
rappresentata dall’ Angelus Novus di
Walter Benjamin, non a caso citato dall’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice,
nell’omelia per santa Rosalia. È un angelo che ha il viso rivolto al passato,
dove vede solo un cumulo di rovine che vorrebbe sanare; ma una tempesta che
spira dal paradiso si è impigliata nelle sue ali e lo sospinge
irresistibilmente verso il futuro a cui egli
volta le spalle, mentre il cumulo delle macerie cresce davanti a lui. È
l’angelo della storia che la tempesta del progresso spinge ciecamente verso un
futuro che ignora.
Noi dobbiamo impedire che queste macerie
siano il nostro futuro.
I giovani di “Fridays for future”, ma
anche le Sardine, ci chiedono questo.
L’inversione
delle cose è possibile
Questa è allora la notizia che oggi
vogliamo dare: l’inversione del corso delle cose è possibile. Essa ha un nome:
Costituzione della terra. Il costituzionalismo statuale che ha dato una regola
al potere, ha garantito i diritti, affermato l’eguaglianza e assicurato la vita
degli Stati non basta più, occorre passare a un costituzionalismo mondiale
della stessa autorità ed estensione dei poteri e del denaro che dominano la
Terra.
La Costituzione del mondo non è il
governo del mondo, ma la regola d’ingaggio e la bussola di ogni governo per il
buongoverno del mondo. Nasce dalla storia, ma deve essere prodotta dalla
politica, ad opera di un soggetto politico che si faccia potere costituente. Il
soggetto costituente di una Costituzione della Terra è il popolo della Terra,
non un nuovo Leviatano, ma l’unità umana che giunga ad esistenza politica,
stabilisca le forme e i limiti della sua sovranità e la eserciti ai fini di far
continuare la storia e salvare la Terra.
Salvare la Terra non vuol dire solo
mantenere in vita “questa bella d’erbe famiglia e d’animali”, cantata dai
nostri poeti, ma anche rimuovere gli ostacoli che “di fatto” impediscono il
pieno sviluppo di tutte le persone umane.
Il diritto
internazionale, come argomenta il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli, è già dotato di una Costituzione embrionale
del mondo, prodotta in quella straordinaria stagione costituente che fece
seguito alla notte della seconda guerra mondiale e alla liberazione dal
fascismo e dal nazismo: la Carta dell’Onu del 1945, la Dichiarazione
universale dei diritti umani del 1948, i due Patti internazionali del 1966 e le
tante Carte regionali dei diritti, che promettono pace, sicurezza,
garanzia delle libertà fondamentali e dei diritti sociali per tutti gli
esseri umani. Ma non sono mai state introdotte le norme di attuazione di
queste Carte, cioè le garanzie internazionali dei diritti proclamati. Non è
stato affatto costituito il nuovo ordine mondiale da esse disegnato. È come se
un ordinamento statale fosse dotato della sola Costituzione e non anche di
leggi attuative, cioè di codici penali, di tribunali, di scuole e di ospedali
che “di fatto” la realizzino. È chiaro che in queste condizioni i diritti
proclamati sono rimasti sulla carta, come promesse non mantenute. Riprendere
oggi il processo politico per una Costituzione della Terra vuol dire tornare a
prendere sul serio il progetto costituzionale formulato settant’anni fa e i
diritti in esso stabiliti. E poiché quei diritti appartengono al diritto
internazionale vigente, la loro tutela e attuazione non è soltanto un’urgente
opzione politica, ma anche un obbligo giuridico in capo alla comunità
internazionale e a tutti noi che ne facciamo parte.
Qui c’è
un’obiezione formulata a partire dalla tesi di vecchi giuristi secondo la quale
una Costituzione è l’espressione dell’«unità politica di un popolo»; niente
popolo, niente Costituzione. E giustamente si dice che un popolo della Terra
non c’è; infatti non c’era ieri e fino ad ora non c’è. La novità è che adesso
può esserci, può essere istituito; lo reclama la scena del mondo, dove lo stato
di natura delle sovranità in lotta tra loro non solo toglie la «buona vita», ma
non permette più neanche la nuda vita; lo reclama l’oceano di sofferenza in cui
tutti siamo immersi; lo rende possibile oggi la vetta ermeneutica raggiunta da
papa Francesco e da altre religioni con lui, grazie alla quale non può esserci
più un dio a pretesto della divisione tra i popoli: “Dio non ha bisogno di essere difeso da
nessuno” - hanno detto ad Abu Dhabi - non vuole essere causa di terrore per
nessuno, mentre lo stesso “pluralismo e le diversità di religione sono una
sapiente volontà divina con cui Dio ha creato gli esseri umani”; la Terra
stessa non è una sfera, ma un poliedro di differenze armoniose.
Per molti
motivi perciò è realistico oggi porsi l’obiettivo di mettere in campo una
Costituente della Terra, prima ideale e poi anche reale, di cui tutte le
persone del pianeta siano i Padri e le Madri costituenti.
Prendere partito per una Costituzione della Terra
Di per sé l’istanza di una Costituzione
della Terra emanata da un soggetto
costituente che sia la comunità umana stessa, dovrebbe essere perseguita da
quello strumento privilegiato dell’azione politica che, almeno nelle democrazie, è il partito - nazionale o transnazionale che sia - ossia un artefice collettivo che, pur sotto
nomi diversi, agisca nella forma partito. Oggi questo nome è in agonia perché
evoca non sempre felici ricordi, ma soprattutto perché i grandi poteri che si
arrogano il dominio del mondo non vogliono essere intralciati dal controllo e
dalla critica dei popoli, e quindi cercano di disarmarli spingendoli a
estirpare le radici della politica e dei partiti fin nel loro cuore. È infatti per la disaffezione nei confronti
della politica a cui l’intera società è stata persuasa che si scende in piazza
senza colori; ma la politica non si sospende,
e ciò a cui comunque oggi siamo chiamati è a prendere partito, a
prendere partito non per una Nazione, non per una classe, non “prima per noi”, ma a prendere partito per la
Terra, dalla parte della Terra.
Ma ancor più che la riluttanza all’uso
di strumenti già noti, ciò che impedisce
l’avvio di questo processo costituente, è la mancanza di un pensiero politico
comune che ne faccia emergere l’esigenza e ne ispiri modalità e contenuti.
Non manca certamente l’elaborazione
teorica di un costituzionalismo globale che vada oltre il modello dello Stato
nazionale, il solo nel quale finora è stata concepita e attuata la democrazia,
né mancano grandi maestri che lo propugnino; ma non è diventato patrimonio
comune, non è entrato nelle vene del popolo un pensiero che pensi e promuova
una Costituzione della Terra, una unità politica dell’intera comunità umana, il
passaggio a una nuova e rassicurante fase della storia degli esseri umani sulla
Terra.
Una
Scuola per un nuovo pensiero
Eppure
le cose vanno così: il pensiero dà forma alla realtà, ma è la sfida
della realtà che causa il pensiero. Una “politica interna del mondo” non può
nascere senza una scuola di pensiero che la elabori, e un pensiero non può
attivare una politica per il mondo senza che dei soggetti politici ne facciano
oggetto della loro lotta. Però la cosa è tale che non può darsi prima la
politica e poi la scuola, né prima la scuola e poi la politica. Devono nascere
insieme, perciò quello che proponiamo è di dar vita a una Scuola che
produca un nuovo pensiero della Terra che
fermenti causando nuove soggettività politiche per un costituzionalismo della
Terra.
Certamente questa Scuola non può essere
pensata al modo delle vecchie Accademie o dei consueti Istituti scolastici, ma
come una Scuola disseminata e diffusa, telematica e stanziale, una rete di
scuole con aule reali e virtuali. Se il suo scopo è di indurre a una mentalità
nuova e a un nuovo senso comune, ogni casa dovrebbe diventare una scuola e ognuno
in essa sarebbe docente e discente. Il
suo fine potrebbe perfino spingersi oltre il traguardo indicato dai profeti
Michea ed Isaia che volevano cambiare le lance in falci; Isaia aggiungeva che i
popoli non avrebbero più imparato l’arte della guerra. Voleva dire che la
guerra non era in natura: per farla, bisognava prima impararla. Noi l’abbiamo
imparata e imparandola sempre più la
facciamo e l’armiamo; la scuola dovrebbe farci disimparare l’arte della guerra,
e farci imparare invece l’arte di custodire il mondo e fare la pace. .
Molte sarebbero in tale scuola le aree
tematiche da perlustrare: 1) le nuove frontiere del diritto, il nuovo
costituzionalismo e la rifondazione del potere; 2) il neo-liberismo e la
crescente minaccia dell’anomia; 3) la critica delle culture ricevute e i nuovi
nomi da dare a eventi e fasi della storia passata; 4) il lavoro e il Sabato, un
lavoro non ridotto a merce, non oggetto di dominio e alienato dal tempo della
vita; 5) la “Laudato sì” e l’ecologia integrale; 6) il principio femminile; 7)
l’Intelligenza artificiale (il Führer artificiale?) e l’ultimo uomo; 8) come
passare dalle culture di dominio e di guerra alle culture della liberazione e
della pace; 9) come uscire dalla dialettica degli opposti, dalla contraddizione
servo-signore e amico-nemico per assumere invece la logica dell’ et-et, della
condivisione, dell’armonia delle differenze, dell’“essere per l’altro”, dell’
“essere l’altro”; 10) il congedo del cristianesimo dal regime costantiniano,
nel suo arco “da Costantino ad Hitler”, e la riapertura nella modernità della
questione di Dio; 11) il “caso Bergoglio”, preannuncio di una nuova fase della
storia religiosa e secolare del mondo.
Naturalmente molti altri temi potranno
essere affrontati, nell’ottica di una cultura per la Terra alla quale nulla è
estraneo d’umano. Tutto ciò però come ricerca non impassibile e fuori del
tempo, ma situata tra due “kairòs”, tra New Delhi ed Abu Dhabi, due
opportunità, una non trattenuta e non colta, la proposta di Gorbaciov e Rajiv
Gandhi del novembre 1986 per un mondo libero dalle armi nucleari e non
violento, e l’altra che ora si presenta di una nuova fraternità umana per la
convivenza comune e la salvezza della Terra, preconizzata nel documento
islamo-cristiano del 4 febbraio 2019 e nel successivo Comitato di attuazione
integrato anche dagli Ebrei, entrato ora in rapporto con l’ONU per organizzare
un Summit mondiale della Fratellanza umana e fare del 4 febbraio la “Giornata
mondiale” che la celebri.
Partecipare
al processo costituente iscriversi al Comitato promotore
La proposta è pertanto di istituire una
Scuola che prenda partito per la Terra. A questo scopo è stata costituita
un’associazione denominata “Comitato promotore partito della Terra”. Si chiama
così perché in via di principio non era stata esclusa all’inizio l’idea di un
partito, e in futuro chissà. Il compito
è oggi di dare inizio a una Scuola, “dalla parte della Terra”, alle sue
attività e ai suoi siti web, e insieme con la Scuola ad ogni azione utile al
fine che “la storia continui”; e ciò senza dimenticare gli obiettivi più
urgenti, il risanamento del territorio, la rifondazione del lavoro,
l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, la firma anche da parte
dell’Italia del Trattato dell’ONU per l’interdizione delle armi nucleari e così
via.
A questa iniziativa possono aderire e
iscriversi persone di buona volontà e di non perdute speranze, esponenti di
associazioni, aggregazioni o istituzioni già impegnate per l’ecologia e i
diritti; unendosi al Comitato promotore che
allo scopo è stato istituito, secondo le modalità che saranno ben presto indicate
nel documento che a giorni sarà pubblicato per dare notizia di quanto qui vi ho
già detto.
Intanto
possiamo registrare con soddisfazione che la prima sede della Scuola si è
aperta presso la Piccola Comunità Nuovi Orizzonti, proprio qui a Messina, al
centro del Mediterraneo, la culla da cui tutto è cominciato, e da dove partì
qualche anno fa anche il nostro impegno per la salvaguardia della Costituzione
italiana che un improvvido referendum voleva
snaturare.
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