Pubblico questo post per darvi il link al video di
Raiplay con l’intervento di Roberto Benigni al festival di Sanremo e la sua
esegesi e lettura della Cantica biblica:
La performance dell’attore ha
suscitato reazioni diverse, ma di sicuro è un evento che non può essere ignorato.
Non era mai accaduto che un libro della Bibbia facesse un’irruzione così
potente in un mondanissimo e frequentatissimo festival della canzone, in base
all’esile appiglio del suo titolo, il Cantico dei Cantici, che tradotto in
inglese, ha spiegato Benigni, “Song of Songs”, suona come “la canzone delle
canzoni”.
Ma quale canzone! Aveva detto il rabbi
Aquiba nel Sinodo di Iamnia, nel I secolo, che il mondo intero non vale il
giorno in cui il Cantico dei Cantici fu dato ad Israele, perché “tutte le
Scritture sono sante ma il Cantico dei Cantici è il santo dei santi”. Nella
Cantica l’amore anche fisico non è spiritualizzato ed estenuato ma potenziato
dall’essere preso a parabola dell’amore di Dio, e ciò che è rilevante è che l’iniziativa
e il desiderio d’amore sono perfettamente reciproci, della sposa e dello sposo:
ambedue sono figure di Dio. lo sposo e anche la sposa, perciò la Cantica sembra
scritta dalla parte delle donne.
L’idea di Benigni di portare un
compendio di queste pagine millenarie
tra le luci e i lustrini di Sanremo è stata geniale, e per quaranta minuti l’evento
televisivo è diventato un’altra cosa. Benigni ha giocato tutta la sua lettura
sul registro del canto di amore, nel senso anche più fisico e disinibito del
termine, proponendo una versione del testo più antica di quella accolta nel
canone delle Scritture, precedente perciò a ogni adattamento e censura, una
versione in cui abbondano riferimenti puntuali ed espliciti al sesso, ai suoi
organi ed alle sue espressioni anche più intensamente erotiche. Per questa
operazione esegetica l’artista ha detto di essersi affidato ad alte competenze
letterarie e bibliche, compreso il cardinale Ravasi, e di certo gli esperti
avranno di che discuterne. In ogni caso ciò ha permesso a Benigni di insistere
sull’apparente paradosso della presenza nella Bibbia di questo libro d’amore,
in cui Dio è nominato una sola volta, contro la tradizione sessuofobica della
letteratura religiosa (non senza rilevanti eccezioni, basta pensare a san
Bernardo e ai suoi nove sermoni sul bacio) e contro secoli di morale cattolica
in cui l’amore sessuale, sub specie del
“De sexto” (il sesto comandamento) è stato girato e rigirato in tutti i modi
come peccato. L’effetto è stato dirompente, e drastica è stata da parte di
Benigni la liquidazione dell’attribuzione assolutoria del testo a Salomone,
come delle interpretazioni allegoriche e spiritualistiche, ricorrenti nei Padri
della Chiesa e nell’apologetica anche moderna, che hanno cercato di
disinnescare il verismo del dialogo amoroso leggendovi l’amore incorporeo e trascendente
di Dio, prima verso Israele e poi, con la buona notizia portata da Gesù, verso
l’umanità tutta senza distinzioni tra Giudeo e Greco. In tal modo Benigni ha
fatto un duplice svelamento; ha svelato agli spiritualisti la carica erotica
del Cantico, e ha svelato ai cantanti e agli spettatori di Sanremo di che cosa
parlano davvero, al di là delle cautele perbeniste, le loro canzoni d’amore.
Non si può negare che la presentazione
di Benigni abbia avuto una forte, anche se nascosta, intenzionalità religiosa,
per nulla dissacrante, ed anzi questo amore – forse addirittura scritto da una
donna, ha ipotizzato Benigni – è stato definito “santissimo”. Perché tutto
portava, pur nella crudezza del linguaggio, a far emergere la natura di
infinitezza, di mistero svelato, di assoluto, di necessario dell’amore umano in
tutte le sue forme.
Benigni ha chiamato in causa tutti,
dicendo che tutti, nell’amore, hanno vissuto i loro momenti di immortalità.
Sarebbe stato bello se avesse reso più esplicito il perché un libro così
profano, così umano, così terreno, ha preso posto incontestato nella Bibbia,
ossia in quella che la Chiesa proclama ogni giorno come “parola di Dio”. Certo,
perché quell’amore là, per la sua profondità, intensità ed estasi, è un simbolo
potente dell’amore di Dio per le sue creature. Ma anche, e ancora di più, oltre
il simbolo, perché un Dio che, come diceva l’epistola agli Ebrei delle letture
di domenica scorsa, ha condiviso in Cristo “il sangue e la carne” che i figli
hanno in comune, condivide anche il loro amore nella carne e nel sangue, ed è “tipo”
di ogni autentico amore umano; nella tradizione biblica egli è infatti padre (“padre
nostro”) ma altresì madre (“come una madre consola suo figlio così Io…”), e
anche negli amori più tormentati è figura di chi ama (“amerò non-Amata dice il
Signore…”), e anzi il rapporto stesso
prende il nome di Dio, come scriveva Dietrich Bonhoeffer dal carcere di Tegel: “Anche
il rivedersi è un Dio”.
Nessun commento:
Posta un commento