venerdì 20 marzo 2020

NON PER PAURA


Le cattive notizie sul virus a partire dal martirio di Bergamo e Brescia come di tutta la Lombardia, ci dicono che durerà a lungo questo Venerdì Santo nel quale la liturgia, soffrendo col Signore disceso agli inferi, prega ma senza eucaristia. In questa privazione vale la consegna lasciataci da Silvano del Monte Athos: “stare agli inferi ma non disperare”.

Nella Messa celebrata a Santa Marta nel giorno di San Giuseppe, al momento della comunione papa Francesco si è rivolto a tutti quelli che seguivano la celebrazione in televisione - o in streaming - invitandoli a fare la comunione spirituale (antica pratica cristiana) e ne ha dettato la preghiera. Poi è sceso un lunghissimo silenzio. Per la prima volta la TV trasmetteva il silenzio. A noi è venuto in mente un altro silenzio, quando nella piazza San Pietro gremita il papa Francesco chiese al popolo di benedirlo prima ancora che fosse lui a benedire; o quell'altro silenzio nella stessa piazza quando non in una Messa ma in una veglia per implorare la pace sulla Siria, tutto il popolo si immerse nel silenzio e gli aviogetti americani e francesi già ruggenti sulle piste si fermarono e non andarono a bombardare la Siria. Una guerra allora evitata. Poi un altro ricordo, quando in uno sperduto paese del Bihar, in India, ci recammo con la RAI per incontrare Vinoba Bhave, il discepolo di Gandhi che andava a piedi di villaggio in villaggio per chiedere ai possidenti “il dono della terra” per i contadini poveri; e quando gli chiedemmo di intervistarlo perché in Televisione ci vuole la parola, lui disse: “la mia parola è il silenzio. Si può intervistare il silenzio?” Quel silenzio c'è ancora negli archivi della RAI. E ora ci risulta anche più chiaro il vero significato di un altro silenzio e un'altra rinunzia in cui, in una domenica di diversi anni fa, si chiusero diverse comunità ecclesiali italiane, mentre la storia correva. Esse manifestarono così lo sgomento al vedere il presidente americano Nixon che dopo una visita al papa passava direttamente in elicottero dal Vaticano al ponte di una portaerei schierata nel golfo di Napoli, di quella Forza Armata che in quello stesso momento stava bombardando e dilaniando il Vietnam. Quelle piccole Chiese vollero farne espiazione scegliendo quel giorno il digiuno eucaristico: non si poteva nutrirsi dell'eucarestia come se nulla accadesse di ingiustizia e di dolore per tanti fratelli, anche a causa degli stessi cristiani. Dunque anche il silenzio, il fermo-immagine, il digiuno eucaristico parla se è un com-patire, cioè anch'esso eucaristia.
Viene allora una domanda, se si torna col pensiero all'atto fondatore, quando, come ci è stato trasmesso, Gesù “istituì” l'eucaristia. In quella cena, dopo aver lavato i piedi, egli disse a Pietro che se ne era scandalizzato: “tu non lo capisci, lo capirai dopo”. La domanda è: che cosa dobbiamo capire dopo? Dopo cioè il flagello del virus che percuote case ospedali chiese conventi senza fare distinzione di persone, e molti perdono, ma anche donano, la vita? Dobbiamo forse capire ciò che dell'eucarestia non avevamo ancora capito o tradotto nella vita: che eucarestia è anche il lavarsi i piedi a vicenda, riconciliarsi, curare gli infermi, e anche fare ogni sacrificio e rinunzia perché altri non cadano. Il pane spezzato è “segno e strumento” del corpo spezzato di Dio, e in lui del corpo spezzato degli uomini, a cominciare dai piccoli dai poveri dai malati dalle vittime, essendo la carne la dimora di Dio. Ora può venir meno il segno, lo strumento svanire ma la realtà resta (e altrimenti come farebbe l'Amazzonia se il segno non le è concesso e lo strumento negato con l’argomento che esso può essere posto solo da un prete e che il prete non debba avere né sposa né figli? E non è bastato un Sinodo!). Ma la realtà annunciata e promessa è altra, è che tutto non finisce nei corpi spezzati e divisi, ma nei corpi nati di nuovo e ricondotti all'unità, vissuti come un corpo solo: non per paura ma per amore.

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