Le
cattive notizie sul virus a partire dal martirio di Bergamo e Brescia come di
tutta la Lombardia, ci dicono che durerà a lungo questo Venerdì Santo nel quale
la liturgia, soffrendo col Signore disceso agli inferi, prega ma senza
eucaristia. In questa privazione vale la consegna lasciataci da Silvano del
Monte Athos: “stare agli inferi ma non disperare”.
Nella
Messa celebrata a Santa Marta nel giorno di San Giuseppe, al momento della
comunione papa Francesco si è rivolto a tutti quelli che seguivano la
celebrazione in televisione - o in streaming - invitandoli a fare la comunione
spirituale (antica pratica cristiana) e ne ha dettato la preghiera. Poi è sceso
un lunghissimo silenzio. Per la prima volta la TV trasmetteva il silenzio. A
noi è venuto in mente un altro silenzio, quando nella piazza San Pietro gremita
il papa Francesco chiese al popolo di benedirlo prima ancora che fosse lui a
benedire; o quell'altro silenzio nella stessa piazza quando non in una Messa ma
in una veglia per implorare la pace sulla Siria, tutto il popolo si immerse nel
silenzio e gli aviogetti americani e francesi già ruggenti sulle piste si
fermarono e non andarono a bombardare la Siria. Una guerra allora evitata. Poi
un altro ricordo, quando in uno sperduto paese del Bihar, in India, ci recammo
con la RAI per incontrare Vinoba Bhave, il discepolo di Gandhi che andava a
piedi di villaggio in villaggio per chiedere ai possidenti “il dono della terra”
per i contadini poveri; e quando gli chiedemmo di intervistarlo perché in Televisione
ci vuole la parola, lui disse: “la mia parola è il silenzio. Si può
intervistare il silenzio?” Quel silenzio c'è ancora negli archivi della RAI. E
ora ci risulta anche più chiaro il vero significato di un altro silenzio e
un'altra rinunzia in cui, in una domenica di diversi anni fa, si chiusero
diverse comunità ecclesiali italiane, mentre la storia correva. Esse
manifestarono così lo sgomento al vedere il presidente americano Nixon che dopo
una visita al papa passava direttamente in elicottero dal Vaticano al ponte di
una portaerei schierata nel golfo di Napoli, di quella Forza Armata che in
quello stesso momento stava bombardando e dilaniando il Vietnam. Quelle piccole
Chiese vollero farne espiazione scegliendo quel giorno il digiuno eucaristico:
non si poteva nutrirsi dell'eucarestia come se nulla accadesse di ingiustizia e
di dolore per tanti fratelli, anche a causa degli stessi cristiani. Dunque anche
il silenzio, il fermo-immagine, il digiuno eucaristico parla se è un com-patire,
cioè anch'esso eucaristia.
Viene allora una domanda, se si torna col pensiero
all'atto fondatore, quando, come ci è stato trasmesso, Gesù “istituì” l'eucaristia.
In quella cena, dopo aver lavato i piedi, egli disse a Pietro che se ne era
scandalizzato: “tu non lo capisci, lo capirai dopo”. La domanda è: che cosa
dobbiamo capire dopo? Dopo cioè il
flagello del virus che percuote case ospedali chiese conventi senza fare
distinzione di persone, e molti perdono, ma anche donano, la vita? Dobbiamo
forse capire ciò che dell'eucarestia non avevamo ancora capito o tradotto nella
vita: che eucarestia è anche il lavarsi i piedi a vicenda, riconciliarsi,
curare gli infermi, e anche fare ogni sacrificio e rinunzia perché altri non
cadano. Il pane spezzato è “segno e strumento” del corpo spezzato di Dio, e in
lui del corpo spezzato degli uomini, a cominciare dai piccoli dai poveri dai
malati dalle vittime, essendo la carne la dimora di Dio. Ora può venir meno il
segno, lo strumento svanire ma la realtà resta (e altrimenti come farebbe l'Amazzonia
se il segno non le è concesso e lo strumento negato con l’argomento che esso
può essere posto solo da un prete e che il prete non debba avere né sposa né
figli? E non è bastato un Sinodo!). Ma la realtà annunciata e promessa è altra,
è che tutto non finisce nei corpi spezzati e divisi, ma nei corpi nati di nuovo
e ricondotti all'unità, vissuti come un corpo solo: non per paura ma per amore.
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