L’evento globale della
pandemia ha reso visibile a tutti ciò che già era noto: siamo a una soglia
oltre la quale può darsi catastrofe o salvezza. Quella che va costruita è
l’unità umana, come soggetto della storia anche politica del mondo; vi fanno
ostacolo le ideologie dell’identità, mentre non c’è più ad impedirlo un Dio che
divide
Raniero La Valle
Mentre la pandemia
continua a mietere vittime, soprattutto nei Paesi peggio governati, più
sprovveduti e più poveri, in Italia stiamo vivendo un momento molto delicato di
passaggio dalla prima fase irruente e paralizzante del contagio, a una fase di
ripresa della mobilità e dei rapporti produttivi e sociali. Per tutti, nel
mondo, comincia una nuova fase nella
quale dovremo convivere con il morbo non ancora debellato ma anche con altri
pericoli di portata globale che di qui in avanti potranno sprigionarsi dato il
crescente degrado cui sono giunte le condizioni di vita sulla Terra.
È pertanto oggi
decisiva la scelta, per noi e per un lungo futuro, della strada da imboccare: o
un ritorno alle pratiche e ai sistemi del passato, e magari di un lontano e
funesto passato, come sembra proporre la virulenza restauratrice e identitaria
della destra, oppure il passaggio a una fase nuova di cambiamento delle
strutture rivelatesi impotenti a salvarci e di risanamento del nostro ambiente vitale,
secondo l’avvertimento di papa Francesco nel giorno di Pentecoste: “peggio di
questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”.
Segnali di morte
Vi sono purtroppo dei
segnali vistosi che sembrano avviarci alla prima alternativa: si pensi al
ritorno del conflitto razziale in America, con tanto di rivendicazione della
supremazia bianca, al ritorno delle frontiere in Europa, all’offerta
provocatoria della cittadinanza britannica ai cinesi di Hong Kong, in nome dei
diritti dell’antica colonia inglese, all’incrudirsi del conflitto economico e
di potenza tra gli Stati Uniti e la Cina, all’imperturbabile corsa agli
armamenti, agli attacchi all’Organizzazione Mondiale della Sanità e ad altre
istituzioni internazionali, alla minaccia israeliana di liquidare, con
l'annessione dei Territori occupati, la questione palestinese, all’apertura
della corsa dei privati nello spazio, quasi una beffa al monito illuminista a
non “sperperare tesori nel cielo”. E su tutti vi è il simbolo riassuntivo della
foto-opportunity di Trump che davanti a una chiesa episcopaliana di Washington
innalza la Bibbia come un idolo, rivendicando quella saldatura tra religione e
potere che per secoli ha dilaniato la società umana e la fede stessa; con la
variante, però, di riproporre come farsa quella visione costantiniana che
storicamente si è data come tragedia. Gesto tuttavia che sarebbe errato
archiviare come folklore, perché mette in chiaro il disegno largamente
perseguito in Occidente di una riappropriazione del cristianesimo come marcatore
identitario e baluardo dei poteri esistenti, ad opera di populismi e integrismi
di vario tipo, da Bannon a Orban, dai lefebvriani lepenisti a Bolsonaro, dalla
“Opzione Benedetto” di Rod Dreher alla certosa di Trisulti, dall’odio al
musulmano alla caccia allo straniero, fino ai rosari di Salvini, come è ben
mostrato nel libro appena uscito di Iacopo Scaramuzzi : “Dio? In fondo a
destra”[1].
È evidente che se
questi segnali si inverassero in processi reali, e le politiche si
sviluppassero secondo queste premesse, l’unità umana sarebbe compromessa, e la
catastrofe si farebbe imminente.
Opportunità del tutto
nuove
Però ci sono anche
segnali che indicano una possibilità del tutto opposta. Si presentano infatti
straordinarie opportunità che la società umana non ha mai avuto e che aprono a
una situazione nuova.
La prima è la
globalizzazione stessa che se ha esordito e si è affermata in una versione
selvaggia, stremando gli uomini e rendendo sovrani il denaro, il Mercato e le
armi, può tuttavia essere ripresa in mano e convertita in un vero
universalismo, il cui concreto esercizio è oggi reso possibile dalle scienze,
dalla tecnologia e dalla comunicazione. Se si volesse costruire politicamente e
culturalmente un mondo unito, non ci sarebbero impedimenti materiali a
precluderlo. Il diritto, gloria dell’Occidente, è pronto a partorirlo. C’è già
un vagito dell’Europa che sembra prometterlo.
L’altro segnale è la
progressiva coscienza che si sta facendo luce in ogni parte del pianeta della
precarietà e del pericolo di un multilateralismo incontrollato, non riducibile
a una ragione e a una finalità comuni. Il conflitto la violenza e la guerra non
possono più essere né la regola né l’ultimo grado di giudizio del rapporto
sociale. A dirlo è un brivido che corre nel mondo. I poliziotti americani che
si inginocchiano di fronte alle loro stesse vittime, neri o bianchi che siano,
e innumerevoli manifestanti che ne ripetono il gesto sotto ogni cielo, non sono
un segno di codardia, come pretende il folle americano al comando, ma sono un
segnale apocalittico di un’età che è finita e un’altra che viene.
Conversione delle
religioni
Infine c’è il segnale
di una conversione delle stesse religioni, di cui il pontificato di papa
Francesco rappresenta oggi il più autorevole annuncio. Non si tratta di questa
o quella riforma o ammodernamento nelle confessioni religiose e nelle Chiese.
Si tratta di una nuova narrazione di Dio, rimasta confusa e offuscata per
secoli, pur dopo i Vangeli, che ora sembra perdere le sue scorie e i suoi
travisamenti, e riacquistare somiglianza con l’originale, che Gesù ci ha fatto
vedere: quel Dio tenerissimo, “primo nell’amore”, primo anche a prendere su di
sé il dolore di tutti, come lo ha mostrato Francesco in questa pandemia, È un
Dio in cui non c’è violenza: nessun patibolo può fregiarsi del suo nome, se non
come vittima.
Fu all’inizio del
pontificato di papa Bergoglio, nel 2014, ma a conclusione di un lavoro condotto
per anni, su impulso del Concilio, che la Commissione Teologica Internazionale
presentò come “una svolta epocale nell’odierno universo globalizzato”, la novità “dell’irreversibile congedo del cristianesimo
dalle ambiguità della violenza religiosa”[2]. Quasi raccogliendo la
sapienza e l’esperienza dei secoli, rileggendo la Bibbia, la teologia e i
Concili, il documento vaticano era tutto proteso a identificare “nell’eccitazione alla
violenza in nome di Dio, la massima corruzione della religione”. Le conseguenze di questa nuova chiarezza erano destinate a
investire non solo una modalità della fede, o suoi possibili errori, ma la fede
stessa. Secondo la Commissione Teologica Internazionale ciò voleva dire entrare
in un’epoca nuova, varcare una “frontiera profetica di un nuovo ciclo religioso e umano
dei popoli”. E se è lo Spirito che a ciò conduce la professione di fede,
“l’icona ecclesiale dal canto suo deve suscitare l’immagine di una religio che
si è definitivamente congedata – in anticipo sulla storia che deve seguire – da
ogni strumentale sovrapposizione della sovranità politica e della Signoria di
Dio. Questo “congedo può e deve essere vissuto da tutte le comunità cristiane
dell’epoca presente, come avvento del tempo stabilito dal Signore per la
maturazione del seme evangelico”: un tempo nuovo. La
pastorale della misericordia, la Chiesa ospedale da campo, il Dio che “se si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio” di papa Francesco non
erano lontani.
Un Dio senza violenza
C’era un ritardo in questa ammissione di
un’infedeltà delle Chiese, che era costata molti dolori; ma alfine questa
soglia era varcata, e il corso storico poteva riprendere non più funestato dal
falso conflitto tra Dio e il mondo, tra grazia e libertà; divino e umano non erano
più confusi ma anche, secondo la fede di molti, non erano divisi. “Svolta
radicale”, la chiamavano i teologi del papa, ma essa non riguardava solo la
confessione cristiana, e nemmeno solo la tradizione giudeo-cristiana, ma la
“religione” come tale, “la concezione della religione e dell’umanesimo,
indissolubilmente”, una fede che “è oggi chiamata ad anticipare
l’epoca del riscatto definitivo del ‘nome di Dio’ dalla sua profanazione
attraverso la giustificazione religiosa della violenza”. Non c’era più un Dio a fondare il trono dei potenti e ad
impedire l’unità umana. Ed è da qui che è venuto, come prima cosa, il patto di
fratellanza universale firmato ad Abu Dhabi con l’Islam, ma viene anche il
contagio etico che fa dire a tutto il mondo: “non respiriamo più; senza
giustizia non c’è nemmeno pace”.
Per una Costituzione
della Terra
Queste sono le
condizioni nuove che inducono ad agire, che postulano una “Costituente Terra”,
e che fanno ritenere possibile una Costituzione della Terra. E da ciò a noi
deriva un dovere, che non è solo quello di non disperdere una memoria e
trasmettere un’eredità, ma è quello di trasmettere un compito.
È un dovere che ricade
sulle generazioni del Novecento che, uscite dalla notte delle grandi guerre
mondiali e della Shoà, sono riuscite a concepire e predisporre le forme del
mondo nuovo, ma poi hanno fatto a pezzi la loro creatura, si sono inchiodate
sull’89, l’hanno preso come un loro bottino, come fosse la fine della storia a
favore degli uni contro gli altri. Ed è quel compito, che allora fu interrotto,
che le generazioni uscenti devono ora trasmettere alle generazioni nuove; il
compito è quello di radunare i dispersi, rialzare i caduti, e costruire l’unica
comunità umana, soggetto come tale di liberazione e di diritti. È una figura
nuova, mai esistita prima se non nei sogni e nelle profezie. Vi fanno ostacolo
le diversità, se sono rivendicate in modo che ciascuna prevalga e sia sovrana
sulle altre. Ma esse ne sono la sostanza se tutte sono convocate per comporre
non un nuovo Leviatano, ma la grande assemblea dei popoli della Terra al fine
che l’umanità sopravviva, il mondo sia salvo e la storia continui.
Questo compito non è
il punto di caduta di un sogno, di un’utopia, di un mito: è imposto dalla
ragione, anzi è l’unica risposta secondo ragione alle drastiche alternative
oggi presenti; si tratta di costituire una sfera pubblica globale e varare una
Costituzione della Terra che metta in atto garanzie e istituzioni di tutela e
promozione dei diritti fondamentali di tutti gli abitanti del pianeta. È chiaro
che questo progetto e questo processo dovranno fare i conti col Mercato, perché
Mercato e sfera pubblica sono stati finora in contraddizione e in contrasto. Ma
non deve l’uno soccombere all’altra. Basta che sia deposto dal trono e accetti
le regole. Ciò è necessario per fronteggiare non solo le crisi sanitarie che di
questa urgenza forniscono oggi la prova del nove, ma tutte le emergenze
planetarie - alimentari, nucleari, ambientali – per non tornare a una sorta di
“stato di natura” e per promuovere, ben oltre le emergenze, una convivenza di
ragione e misericordia sulla Terra.
Raniero La Valle
[1] Iacopo
Scaramuzzi, Dio? In fondo a destra,
EMI, Verona, 2020.
[2]
Commissione Teologica Internazionale, Il
monoteismo cristiano contro la violenza, 2014,
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140117_monoteismo-cristiano_it.html
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