DALLA BARBA DI ARONNE
Non era mai successo
che la Repubblica Italiana - insieme al papato della Chiesa cattolica, al
patriarcato di Costantinopoli, al Rabbino capo di Francia, al rappresentante
del Grande Imam del Cairo, a un buddista giapponese, a una indù e a molti
altri leaders religiosi del mondo intero - firmasse un appello a tutte le
altre Repubbliche e Regni per chiedere ai governi e a tutti gli uomini e le
donne di passare a condotte di fraternità e di pace e costruire una sola
umanità, nella persuasione, che è anche una confessione di fede, che
“nessuno si salva da solo”.
È accaduto martedì sera, 20 ottobre, e non in un’enclave religiosa come
Assisi, ma a Roma, nella piazza del Campidoglio, che un tempo fu l’ombelico
del mondo e dove dopo l’ultima guerra mondiale nacque l’unità dell’Europa,
così come ora si vorrebbe che da lì nascesse l’unità del mondo.
Si dirà che questo evento, promosso dalla comunità di s. Egidio ma con
l’evidente regia e governo di papa Francesco, è stato un evento di vertice,
senza partecipazione di popolo, che infatti non c’era a causa della pandemia;
e tuttavia il vero ospite dell’incontro è stato il popolo di Roma con
il suo Comune, il suo retaggio e la sua Sindaca. Ed è verissimo che si è
trattato di una iniziativa dei leaders, come se il mondo improvvisamente
avesse trovato un bandolo, una guida; ma il movente non è stato il potere,
è stato che “i fratelli vivano insieme”, ciò che, come dice il
salmo delle Ascensioni, è ragione di soavità e di gioia e “come olio
profumato” dal capo scende sulla barba, la barba di Aronne, e da lassù
si spande in tutto il mondo, in modo che si faccia l’unità, perché non solo uno,
non gli uni invece degli altri, non gli uni contro gli altri, ma tutti
insieme siano salvi.
E non a caso negli straordinari discorsi dei leaders, davvero ciascuno eco di
culture diverse , sono stati convocati, per compiere l’impresa, il passato e
il futuro. Papa Francesco ha evocato una sola parola di Gesù: “Basta!”, la
parola detta ai discepoli che volevano approvvigionarsi di spade. Il
patriarca Bartolomeo ha chiamato in causa Anassimeo, il filosofo di Mileto
del Vi secolo a. C. che aveva individuato i quattro elementi su cui tutto si
tiene, l’aria, l’acqua, il fuoco, la terra, per dire che se a tenerli
insieme non è la casa comune, di cui dobbiamo aver cura, tutto si
disintegra ed esce dalla vita creata da Dio; e questa casa è come una
casa di specchi, dove il volto di ciascuno riflette l’immagine di Dio e si
riflette nel volto degli altri. Il Rabbino di Parigi ha ricordato un midrash
in cui si racconta la nascita del tempio, e insieme lo si demitizza: c’erano
due fratelli che avevano un campo di cui condividevano il raccolto, e ognuno
voleva dare di più all’altro, sicché spesso si alzava di notte per andare ad
aggiungere del proprio grano altro grano al raccolto dell’altro, sicché
i due cumuli risultavano sempre uguali; finché una notte essi si
incontrarono, scoprirono il reciproco dono e si abbracciarono piangendo; e
sulla terra bagnata da quelle lagrime Dio volle che fosse costruito il suo
tempio; perciò il tempio che ora si deve ricostruire è questa
fraternità. Il presidente Mattarella ha messo in campo la Repubblica Italiana
che “riconosce e onora” gli sforzi delle religioni per contribuire a un
avvenire di sviluppo e di eguaglianza per le persone e i popoli, offrendo in
tal modo una “testimonianza che è profezia”. E su tutti vegliava, con la mano
stesa, Marco Aurelio, l’imperatore filosofo che aveva dato del povero la
definizione più rigorosa: “colui che ha bisogno dell’aiuto altrui e non
ricava da se stesso tutto ciò che è utile alla vita”, il che equivale a dire
che tutti siamo poveri, “nessuno si salva da solo”.
E poi è successa una cosa straordinaria: il rappresentate del Grande Imam di
Al Azhar Ahmad Al Tayyeb ha raccontato la scena a cui ha assistito di papa
Francesco e l’Imam Al Tayyeb che si spartivano un pezzo di pane alla tavola
del papa a Santa Marta. Certamente quello spezzar del pane non era stato
preceduto in quel caso da alcuna formula di consacrazione; però se si pensa
che il divieto della “communicatio in sacris” è il macigno che ancora rimane
ad impedire l’incontro ecumenico tra le diverse Chiese cristiane, si può
misurare la portata profetica di questo comunicare nel pane tra il papa
cristiano e l’imam islamico; qui, come nel pensiero comune che, per
dichiarazione esplicita del papa ha contribuito ad ispirargli l’enciclica
“Fratelli tutti”, siamo oltre il dialogo tra Islam e cristianesimo, siamo a
una comunione in cammino.
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