L’avvenimento che ha sconvolto l’ordine costituito sulla fine dell’anno 2010 è stato la pubblicazione sui siti web e sui giornali di tutti i Paesi dei documenti riservati e segreti della diplomazia americana; sono documenti che raccontano la cultura, le paure, i giudizi, i pregiudizi, le fonti che sono all’origine delle decisioni politiche che attraverso il frullatore del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca sono diventati il governo americano del mondo.
Lasciamo stare il dibattito sulla legittimità della provvista e della pubblicazione di questi testi, sulla qualità e novità delle informazioni che vi sono veicolate, sulla libertà di stampa, sui reati piccoli e grandi di cui il responsabile di WikiLeaks, Assange, avrebbe compiuto e sulla eccentricità del suo arresto e della sua provvisoria detenzione in un carcere di Londra sotto l’imputazione di tutt’altre colpe.
Tutto questo è cronaca.
Ma, al di là della cronaca, quello che è avvenuto investe la grande storia, e potrebbe avere un impatto durevole su di essa.
Quello che è avvenuto è che le nuove tecnologie, giunte alla portata di tutti e bucando ogni possibile difesa di segreti e di archivi, hanno operato la più grande spoliazione del potere vigente che mai si ricordi. Il re è nudo, il potere è stato svelato nei suoi pensieri e nelle sue pulsioni, al netto della menzogna e dell’ipocrisia di cui solitamente si riveste e con cui si presenta in società. Il potere senza la cipria del “politicamente corretto”, ma invece altamente scorretto, inconfessabile.
Altre volte pubblicazione di documenti segreti e fuga di notizie avevano mostrato il volto ripugnante del potere, quale effettivamente era stato esercitato.
La pubblicazione dei “Pentagon Papers” sulla guerra del Vietnam, mostrò come uno dei più grandi delitti della seconda metà del Novecento, corredato peraltro dalle motivazioni più nobili ed altruiste, quale fu appunto la guerra del Vietnam, era stato premeditato e architettato a partire da una bugia, cioè dal falso dell’attacco delle motovedette vietnamite alle navi americane nel golfo del Tonchino.
Un’altra guerra idealizzata come santa crociata per i diritti umani, quella contro l’Iraq di Saddam, è finita nell’orrore delle torture svelate dai filmati di Abu Ghraib. Ma mai il potere era stato smascherato nella sua ordinaria meschinità e doppiezza, come nei 250 mila “files” pubblicati da WikiLeaks.
Quello che scrivono gli ambasciatori nei loro rapporti a Washington saranno pure segreti di Pulcinella e notizie attinte dai giornali di opposizione, ma è un fatto che questi sono gli occhi con cui l’America, questo sovrano del mondo, guarda ai suoi interlocutori e giudica quello che accade nel processo di formazione delle sue decisioni politiche.
La pubblicazione dei “Pentagon Papers” sulla guerra del Vietnam, mostrò come uno dei più grandi delitti della seconda metà del Novecento, corredato peraltro dalle motivazioni più nobili ed altruiste, quale fu appunto la guerra del Vietnam, era stato premeditato e architettato a partire da una bugia, cioè dal falso dell’attacco delle motovedette vietnamite alle navi americane nel golfo del Tonchino.
Un’altra guerra idealizzata come santa crociata per i diritti umani, quella contro l’Iraq di Saddam, è finita nell’orrore delle torture svelate dai filmati di Abu Ghraib. Ma mai il potere era stato smascherato nella sua ordinaria meschinità e doppiezza, come nei 250 mila “files” pubblicati da WikiLeaks.
Quello che scrivono gli ambasciatori nei loro rapporti a Washington saranno pure segreti di Pulcinella e notizie attinte dai giornali di opposizione, ma è un fatto che questi sono gli occhi con cui l’America, questo sovrano del mondo, guarda ai suoi interlocutori e giudica quello che accade nel processo di formazione delle sue decisioni politiche.
Per questo la diplomazia è sempre stata segreta, a partire dalle lettere che un famoso ambasciatore della Serenissima Repubblica di Venezia scriveva da Roma descrivendo il papato come un concentrato di “volere assoluto e dominio dispotico e monarchia spirituale di tutto il Christianesimo”; come segreti erano i rapporti dei Nunzi, nati nello stesso periodo, ad imitazione degli Stati, per quella simbiosi tra istituzioni statali ed ecclesiastiche da cui è nata la modernità, come racconta Paolo Prodi nel suo recente e prezioso “Il paradigma tridentino”. Ed è per questo che la diplomazia doveva restare segreta, sicché la sua attuale traduzione in spettacolo è stata considerata dal ministro Frattini il suo “8 settembre”.
Oggi sappiamo che questo segreto non è più possibile. Qualcuno ritiene ciò una catastrofe, noi la riteniamo una benedizione. Sempre che si reagisca nel modo giusto.
Vi sono infatti due modi per rispondere a questa débacle del segreto diplomatico e politico. Uno è quello di rendere il segreto ancora più segreto, di armarlo di mezzi di contrasto, di complicare codici e cifrati, di punire i divulgatori, di fare del web il campo di battaglia di una nuova guerra come contro il terrorismo. Questa risposta è inutile e vecchia.
L’altro modo di rispondere è di cambiare la diplomazia e la politica, di bonificare il potere. Rendere il potere compatibile con la verità, sicché la verità non diventi una diffamazione per lui. Dio sa quanto ne avremmo bisogno in Italia (e qui gli americani hanno visto giusto). Occorre rompere il legame tra potere e menzogna, tra il politicamente corretto e i paludamenti dell’ipocrisia.
Bisogna pensare solo ciò di cui si possa rispondere agendo, scrivere solo ciò che un giorno possa essere pubblicato, dire solo ciò che non debba rimanere occulto, ma possa essere gridato sui tetti.
Complici la tecnologia, Internet, i siti, gli hackers, l’intelligenza laica, può perfino darsi che l’esercizio del potere debba essere piegato alla norma evangelica: “Il vostro parlare sia sì sì, no no; il di più viene dal maligno”.
Raniero La Valle
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