Dice il Qoelet che c’è un tempo per parlare e un tempo per tacere. E quando il credente rovescia i tempi, significa solamente che il suo silenzio e la sua parola sono al servizio del suo peccato e del suo rapporto con il potere.
Secondo il detto del vecchio parroco di don Milani “perdono ma non dimentico”, è bene ricordare chi ha parlato quando doveva stare zitto e oggi fa silenzio, mentre dovrebbe parlare.
Nel 2007 il cardinal Ruini aprì il conflitto con il governo Prodi sui cosiddetti principi non negoziabili, innalzando un muro sulla questione dei Dico, disegno di legge elaborato dai ministri Bindi e Pollastrini sulle coppie di fatto... Non solo non si voleva discutere una legge, ma si rifiutava ogni accordo con il governo Prodi, nella convinzione che il centro destra sarebbe stato assolutamente generoso, ben oltre i desideri di ciascuno.
I temi della vita, della scuola, della famiglia avrebbero trovato una soluzione conforme agli interessi anche economici della chiesa... La Cei e la segreteria di Stato individuavano nel centro destra l’interlocutore privilegiato per la politica ecclesiastica sul paese.
Il family day, promosso dalle associazioni laicali e diretto dai vescovi, riempì piazza San Giovanni di folle cristiane felici e obbedienti.
Finalmente i principi non negoziabili avrebbero trovato piena e perfetta applicazione.
Così promettevano i vescovi e la Cei.
Finalmente i principi non negoziabili avrebbero trovato piena e perfetta applicazione.
Così promettevano i vescovi e la Cei.
Finalmente un governo amico, a cui consegnare la cristianizzazione del paese.
Associazioni e movimenti si sono adeguati a questa operazione, senza porsi il problema del futuro della fede, senza riflettere sul fatto che questo legami con il potere avrebbero velato la fede e il vangelo.
L’affermazione dei principi irrinunciabili nascondeva comportamenti personali, che contraddicevano questi principi, soprattutto sulla famiglia.
Erano difensori della unità della famiglia leader politici, che esibivano più famiglie.
In questo modo si negava la coerenza evangelica dei credenti, in cambio della retorica dei principi.
Abbiamo ascoltato vescovi, che, per non dispiacere il principe, contestualizzavano anche le bestemmie o davano pubblicamente i sacramenti, in modo da distruggere l’appello alla conversione evangelica. E si ha l’impressione che tutto questo non sia avvenuto gratis.
Ultimamente si è usata la stabilità di governo come principio evangelico, in questa corsa dissennata a difendere il Cesare amico della chiesa.
Posizione maturata in cene e banchetti, che non avremmo mai voluto vedere.
Dopo tre anni, il bilancio è catastrofico: nessuna politica familiare, nessun principio non negoziabile, e al tempo stesso un continuo assorbimento nelle sabbie mobili di una politica violenta, che distrugge l’etica e ancor più il vangelo.
Dice il vangelo: è necessario che gli scandali avvengano. E oggi tutto si è disvelato in un modo, che sgomenta e che mostra un paese sfiancato e devastato da un terremoto morale, che ha il suo epicentro nel capo del governo, ma che trova le sue complicità pesanti e paludose in chi dovrebbe ogni giorno annunciare la parola della conversione per sè e per tutti.
Questo terremoto può travolgere vescovi e credenti, se con coraggio non si riconosce il nostro peccato. Un peccato di connivenza con chi vive la politica come ricatto, e la vita come delirio di onnipotenza del tutto è permesso e del tutto è lecito.
C’è ancora un giudice, che ci ricorda che non tutto è permesso e non tutto è lecito, e che esiste ancora una Costituzione, a cui tutti sono sottomessi.
Quella Costituzione, che è l’unico progetto culturale che i cattolici hanno espresso in questo paese, senza seguire ordini ambigui, affidandosi alla fecondità storica del vangelo.
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