LIBERARE GLI ALTRI PER
SALVARE SE STESSI
Prima vittima e
interprete del warshow che, mentre eravamo sonnambuli (Limes) ha invaso le nostre vite, Zelensky ha
fatto una proposta sensazionale: finiamo la guerra. La proposta (se non sarà
revocata) è quella di tornare alla situazione del 23 febbraio 2022. Ciò vuol
dire: se vogliamo vivere il presente e magari avere un futuro, facciamo come se
il passato, ovvero questa terribile guerra, non ci fosse stata. Però il passato
non si può togliere, ciò che invece è possibile fare, come disse una volta il
saggio e sfortunato Gorbaciov, è che i morti non tengano per mano i vivi, cioè
che non ci facciamo determinare dalla tragica guerra vissuta. Ma allora perché
l’abbiamo fatta? Se si può pensare che basterebbe riconoscere la Crimea che col
referendum è tornata alla Russia, un’Ucraina inoffensiva e non inclusa nella
NATO, l’armata con la Z ferma al confine e magari l’autonomia degli accordi di
Minsk, garantiti dalla Merkel e da Macron, perché la scelta micidiale di
gettare l’Ucraina nel dolore di tutti e nella disperazione dei poveri, e il
mondo sul ciglio della guerra nucleare?
La domanda è
lancinante; tuttavia, come sta scritto nella lettera con ormai migliaia di
firme in cui abbiamo chiesto al papa di mandare a Biden ed a Putin la Merkel per mediare un’intesa politica, ciò
che serve oggi non è distribuire i torti e le ragioni, ma riprogrammare una
storia che contempli la coesistenza di tutti e non escluda nessuno, né Stati né popoli.
Il combinato disposto (“l’operazione”)
che ha portato alla guerra ha infatti “deviato il corso della storia”, inaugurando
“un percorso di tregue interrotte, certo non di vera pace”, in cui “saranno
riscritti i rapporti di forza su scala globale”, come spiega Limes nel numero
intitolato “Fine della pace” che non si può archiviare anche se altri poi ne
sono usciti. Se questo infatti è il crinale che divide due epoche, noi siamo
lì, sulla soglia della prima tregua, e
dobbiamo decidere tutto su come vogliamo continuare; ossia tutti dobbiamo
decidere tutto.
Naturalmente questo lo
possiamo fare solo nella sfera del decidibile, che può comprendere
l’instaurazione della pace solo se rifiutiamo l’idea, che invece ci viene data
per scontata, che “la guerra sia connaturata all’uomo”. Se non lo è (e sarebbe strano che
l’orgoglioso Occidente si ritenesse inabilitato a decidere su ciò che più conta)
è da tutti professato che dobbiamo liberarci dalla guerra, soprattutto dalle
warshow, come a partire da questa saranno tutte le future guerre paramondiali, ad eccezione di quella nucleare che invece
non potrà essere filmata da nessuno. Ma
intanto oggi sembra caduto il tabù della guerra nucleare.
La liberazione dalla
guerra, invece della lotta per “stabilire un vincitore unico e definitivo” per il
dominio del mondo, come ci imputano i cinesi, sarebbe certo una rivoluzione, maggiore di
tutte le altre, da quella americana a quella francese a quella d’Ottobre, che
pure sono state possibili. Ma, per un’ultima citazione di Limes, che sembra
rovesciare l’inquietante previsione di tutto il dossier, diremo che la
rivoluzione è possibile solo se è pensata e voluta, come suggerisce la
“profetica prosa” di Anna Maria Ortese, come “la liberazione degli altri”. Gli
altri sono prima di tutto gli altri popoli, “i popoli muti di questa terra”,
quelli interessati a vivere, non a contendersi, combattendo, il potere.
La decisione da
prendere è dunque, d’ora in poi, di liberare gli altri dalla guerra, dai lager,
dalla fame, dalla povertà, dalla privazione della dignità e del lavoro, dalla
perdita della politica, dal dovere di fuga e dalle migrazioni forzate, dalla
malattia e mancanza di cure, dall’incrudelirsi del clima, dal dissesto
ecologico e dalla devastazione della Terra.
Ma perché la liberazione “degli altri”, perché questo scambio con gli
altri, perché questa cura, impossibile senza amore, per gli altri? Perché solo
così possiamo salvare noi stessi.
Per far questo occorre
costruire una cultura che promuova la coscienza e il gusto dell’unità umana, che metta i popoli al disopra degli
Stati, che generi una riforma dell’ONU e un costituzionalismo mondiale – a cui pur
si era cominciato a mettere mano – onde siano ridotte armi ed armate, i beni
fondamentali siano resi pubblici, i diritti siano affermati per tutti e resi
effettivi da adeguate istituzioni sovrastatali di supplenza e di garanzia.
Se questa è l’agenda, essa
chiama in causa tutti. E dunque, se si può scrivere questo in un articolo di
giornale, chi ha rinunziato ad ogni impegno lo assuma, chi ha smesso di
studiare lo faccia di nuovo, chi ha
lasciato la politica vi torni, chi ha sfasciato partiti li costruisca, chi ha
servito iniqui padroni si liberi, chi ha chiuso, riapra.
(Dal “Fatto quotidiano”
dell’8 maggio)
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