Guerre preventive
Oggi non solo è riproposta la vecchia guerra che la geopolitica racconta
come connaturata all’uomo e come strumento per rimodellare l’intero assetto
mondiale, ma viene apertamente rivendicata e legittimata una nuova guerra che è
la guerra preventiva; ciò fa venir meno perfino i vecchi travestimenti della
“guerra giusta”, difensiva o “umanitaria” che fosse, mentre ne
viene millantata la legittimità sulla base di asserzioni politiche
del tutto opinabili.
Sulla Piazza Rossa il 9 maggio Putin per giustificare la sua guerra
all’Ucraina ha detto che “la Russia ha reagito preventivamente contro
l’aggressione”: si riferiva a un attacco della NATO “per un'invasione delle
nostre terre storiche, compresa la Crimea; una minaccia per noi
assolutamente inaccettabile, direttamente ai nostri confini... Il pericolo
è cresciuto ogni giorno; il nostro – ha aggiunto - è stato un atto
preventivo, una decisione necessaria e assolutamente giusta, la decisione di un
Paese sovrano, forte, indipendente”, mentre gli Stati Uniti minacciavano
esclusione e umiliazione.
Questa “prevenzione” è stata un crimine di diritto internazionale (non solo
la guerra ma anche la minaccia dell’uso della forza è proibita dallo Statuto
dell’ONU) ed è stata anche un gravissimo errore di Putin perché in tal modo ha
adottato e legittimato la dottrina della guerra preventiva enunciata dal suo
principale avversario, gli Stati Uniti d’America. Sono stati infatti gli Stati
Uniti di Bush a teorizzarla nella “Strategia della sicurezza nazionale” del
settembre 2002, un anno dopo la tragedia delle Torri Gemelle dell’11 settembre.
In quel documento si affermava che “la migliore difesa è un buon attacco”. Una
volta concepito il mondo come un composto formato da Stati per bene e “Stati
canaglia” e minacciato dal terrorismo, la conseguenza era questa: “non possiamo
lasciare che i nostri nemici sparino per primi”. Ciò poteva andare bene durante
la guerra fredda quando “la deterrenza era una difesa effettiva”, mentre oggi,
si affermava, una “deterrenza basata solo sull’attesa di una risposta non
funzionerebbe”. D’altra parte, ricordava il Pentagono, “gli Stati Uniti hanno
mantenuto sempre l’opzione dell’azione preventiva per fronteggiare una minaccia
effettiva alla sicurezza nazionale. Maggiore è la minaccia… e più impellente la
necessità di intraprendere un’azione anticipatoria in difesa di noi stessi,
persino nell’incertezza del luogo e dell’ora dell’attacco da parte del nemico”.
Né si trattava solo di difesa nazionale: la sicurezza nazionale degli Stati
Uniti consisteva essenzialmente nel dominio del mondo per il quale si
preconizzava un unico modello di società valido per tutti: “ libertà,
democrazia, e libera impresa”. “Manterremo le forze sufficienti per
difendere la libertà” prometteva il documento, e per dissuadere qualunque
avversario dalla speranza non solo di superare, ma anche di “eguagliare il
potere degli Stati Uniti”. Questa era anche la ragione per disseminare
“basi e stazioni all'interno e aldilà dell'Europa dell'Ovest e dell'Asia del
Nord”, cioè in tutto il mondo.
Questa proiezione militare mondiale non riguardava peraltro solo gli Stati
Uniti, ma era estesa agli “alleati ed amici in Canada e in Europa”; la NATO a
sua volta doveva “essere in grado di agire ovunque gli interessi americani (“i
nostri interessi”) fossero minacciati, “creando coalizioni sotto il
mandato della stessa NATO, così come contribuendo a coalizioni sulla base di
singole missioni”. Infatti la NATO, agendo come un potere sovrano, aveva pochi
anni prima fatto una guerra preventiva contro la Jugoslavia per la separazione
del Kosovo. E se tutto ciò era stabilito quando, venuta meno l’Unione Sovietica
gli Stati Uniti erano passati “da una situazione di contrapposizione a un
regime di cooperazione con la Russia” tanto più deve valere oggi quando la
Russia è tornata ad essere percepita come nemico e insieme alla Cina viene
annoverata tra le “potenze revisioniste” volte a mutare a loro favore gli
equilibri internazionali; la strategia della sicurezza nazionale pubblicata nel
2018, sotto l’amministrazione Trump, contemplava pertanto “forze armate più
letali” e dichiarava che gli Stati Uniti avrebbero fronteggiato le sfide alla
propria sicurezza “al fianco, con e per mezzo dei propri alleati e dell’Unione
Europea”.
È in questo quadro che si pone l’estensione della NATO ad est, e
l’annunciata acquisizione ad essa dell’Ucraina prima, della Finlandia e della
Svezia ora. Secondo la previsione di “Limes”, “se l’America
vincerà questa semifinale sbarazzandosi di Putin - fors’anche della Russia –
potrà concentrarsi sulla partita del secolo contro la Cina privata dello scudo
russo , circondata per terra e per mare”. Si è creata quindi una reciprocità di
guerre preventive a cui tuttavia non partecipa ancora la Cina che,
secondo Hu Chunchun, professore dell’università di Shangai che ne scrive
su “Limes”, afferma “il primato della pace e dell’armonia”.
Questo è il futuro che ci viene prospettato, Ma noi
possiamo accettare questo? Possiamo accettare che la guerra accada non per un
artificio della nostra cultura ancora così primitiva, ma per una necessità di
natura? Possiamo rinunciare al ripudio della guerra? Possiamo adattarci a
un mondo dove, come dicono i cinesi, l’Europa (e potrebbero dire
l’America) obbedisce alla pulsione che la spinge a volere un solo vincitore
definitivo e despota del mondo intero, mentre proprio l’Europa “in questo esatto
momento” dovrebbe assumersi la responsabilità storica della pace nel mondo”?
Possiamo desiderare un mondo senza la Russia e in lotta contro la Cina? Se non
lo vogliamo dobbiamo immaginare e lottare per un progetto alternativo.
Nessun commento:
Posta un commento