Se c’è una
cosa che papa Francesco sta facendo da quando ha messo piede sul balcone di san
Pietro per prendere in mano la Chiesa, è di dire ai fedeli e ai non fedeli, ai
cristiani e ai seguaci di ogni altra religione, ai poveri e ai ricchi: state
attenti, non vi sbagliate su Dio. Perché se vi sbagliate su Dio vi sbagliate
sul mondo, sulla società, su voi stessi. Né è un rimedio non credere in Dio,
perché c’è sempre un idolo pronto a fare le stesse funzioni di Lui.
Quante tragedie, andando indietro nella storia – e anche oggi – si scopre che sono state provocate da una falsa cognizione di Dio? Gelosie, diseguaglianze, machismi, vendette, guerre sante, crociate, schiavitù, inquisizioni, genocidi, respingimenti, terrorismi, scomuniche, annegamenti, e sempre un Dio a giustificarli, un Dio geloso, maschilista, vendicatore, giudice, padrone, re della terra, signore degli eserciti, despota delle anime e dei corpi; e ci sono santi anche famosi che si potrebbero citare a supporto di molte errate rappresentazioni di Dio.
Gesù è venuto a correggere questi sbagli, alcuni vecchi di secoli, a spiegare e svelare la vera figura di Dio, a “farne l’esegesi”, come dice l’evangelista Giovanni. E non a caso lui era esattamente l’opposto di queste cattive rappresentazioni del Padre, offrendosi lui, Figlio, come criterio di riconoscimento, facendosi umano, facendosi servo, per amore, soltanto per amore, fino alla morte e alla morte di croce.
E se lui ha fatto questo, che cosa dovrebbe fare un papa che parla a nome di lui, e che cosa anche ogni semplice cristiano?
Ma guai a chi toglie di mano al prepotente, al bugiardo, all’omicida, il Dio che gli serve. Senza l’accecamento del popolo, il tiranno è perduto. Per questo il papa è odiato da molti. È uscito un libro di due solerti informatori religiosi – una volta si chiamavano “vaticanisti” – Andrea Tornielli e Gianni Valente, che reca una documentazione impressionante del volume di fuoco che ogni giorno si scatena contro papa Francesco, a partire dalle facili sponde di quella galassia di siti, blog e network mediatici che quotidianamente lo attacca, lo denigra e l’offende, per finirla con lui e avere al più presto un nuovo conclave.
Non è parso vero a tale congiura salire sul cavallo di battaglia della denuncia della pedofilia nella Chiesa e degli scandali finanziari e sessuali di preti e vescovi per investire la Chiesa stessa e la fede e per pregustarne la fine. Cosa, questa, che sarebbe anche possibile se la Chiesa fosse, come lamentava il teologo e sociologo Ivan Illich ai tempi del Concilio, simile alla General Motors, ma non è possibile se è la Chiesa di Dio e del suo popolo. La misericordia e la fedeltà che il Signore le ha promesso erano per sempre, non salvo l’eccezione pedofilia. Sicché il libro che meritoriamente vuol difendere il papa da questi attacchi è troppo tragico, pecca per eccesso di difesa, non c’è alcun “Giorno del giudizio” in agguato, come recita il suo titolo che promette di dire “cosa sta davvero succedendo nella Chiesa” tra “conflitti, guerre di potere, abusi e scandali”.
La Chiesa non è questo. Il caso del cardinale Mc Carrick, cattivo arcivescovo di New York, non è il caso del secolo e non c’entra niente con papa Francesco che è arrivato dopo e gli ha tolto anche la porpora, e il Viganò che immeritatamente ha fatto il Nunzio a Washington e ora se ne è uscito chiedendo le dimissioni del papa, non è il principe dei demoni, ma semplicemente un prelato avvelenato e infedele. E non è vero che la Chiesa è polarizzata tra una falange che attacca il papa e una minoranza che mal lo difende, ma c’è un immenso popolo di fedeli, più numeroso ormai nel resto del mondo che in Europa e negli Stati Uniti, che con papa Francesco vive in perfetta pace le meraviglie di Dio, oggi annunciate in modo nuovo: come dicono gli Atti degli Apostoli, mentre “quelli di lingua greca” tentavano di uccidere Paolo, “la Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria, si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”.
Non c’è dunque da prendere il lutto per la Chiesa né pensare che per difenderla non ci sia altro che pregare, smettendo di pensare alle riforme necessarie, all’aggiornamento, all’inclusione delle donne nei ministeri, all’unità vera delle Chiese, al presbiterato uxorato, al rinnovamento antropologico nel primato dell’amore, alla comunione delle fedi, alla salvezza dei migranti, dei poveri, degli stranieri, cose già tanto discusse, e molte in cantiere. La preghiera non è un alibi per mettersi sulla riva del fiume e stare a vedere che cosa passa. È vero che il papa ha chiesto, di fronte a chi minaccia di dividere e spiantare la Chiesa, di recitare il Rosario; ma ciò, con tutto il rispetto per il Rosario, vuol anche dire che non siamo al giorno del giudizio, se basta un rosario ad allontanarlo; nella strategia della comunicazione mettere un rosario contro Viganò e contro tutto il fondamentalismo americano o contro il sordo brontolio della Curia è un messaggio fortissimo di normalità e di speranza; non c’è bisogno di chiedere miracoli.
Sicché la vera difesa è ascoltare e seguire il papa in questo suo quotidiano annunzio di Dio, in questo suo togliergli di dosso maschere e travestimenti, in questo liberarlo – come diceva Turoldo - dal “carico di errate preghiere”.
È quello che è successo col “Pater Noster”, la preghiera forse più nota e più e più ripetuta, ma spesso in automatico, senza che se ne avvertano davvero le parole. Per gli scherzi che sono propri della lingua, per il mutare dei significati, per i tradimenti delle traduzioni da una lingua all’altra, era finito che il Padre venisse invocato, perfino nella Messa, come il Tentatore, come il Cerbero che “ci porta dentro”, “ci induce” nella tentazione; e data la sproporzione di forze tra Dio e il peccatore, con l’alta probabilità che a vincere in questo affacciarsi della tentazione fosse non il tentato, ma il Tentatore.
Forse la gente non si accorgeva di quello che diceva e gli esegeti, gli esperti, i teologi, gli uomini del clero sapevano che non era così, e perciò tranquillamente reiteravano quel latino, e magari dicevano che nella parola di Dio c’è un mistero, c’è un enigma, che bisogna lasciare così, magico, incompreso o incomprensibile per il semplice fedele; ma nella immediatezza della comunicazione di oggi, che va al sodo in 40 battute, il significato è inequivocabile, se uno passa in una chiesa e sente di un Dio tentatore, pensa a un padre che invece di darti un pane ti dà una pietra (Mat. 7, 10), e a un Dio che invece di salvarti, ti perde.
Perciò papa Francesco ha chiesto ai vescovi italiani di tradurre meglio, come già avviene in altri Paesi, quel “ne nos inducas in tentationem”, perché non si perpetui e propaghi questo sbaglio su Dio. E che cos’altro di più importante dovrebbe fare un papa, e se non lo fa lui che ne ha il carisma, chi lo deve fare?
Ma ecco che la falange parte all’attacco e il blog di Sandro Magister, che appartiene a quella galassia mediatica di cui si è parlato, subito titola: “Francesco monarca assoluto. Il retroscena del nuovo ‘Padre nostro’ italiano”, e naturalmente difende la vecchia versione, vuole il Dio tentatore, e il popolo preda della tentazione ordita da lui.
Ma, nonostante questo accanimento digitale, sembra davvero che la Chiesa non abbia a temere. Non c’è, in queste critiche, nemmeno l’ombra di quei grandi saperi teologici che in passato divisero la cristianità. È politica, solo politica (non quella buona): si dice Dio, o si dice “preti pedofili” e si pensa a tutt’altro.
Quante tragedie, andando indietro nella storia – e anche oggi – si scopre che sono state provocate da una falsa cognizione di Dio? Gelosie, diseguaglianze, machismi, vendette, guerre sante, crociate, schiavitù, inquisizioni, genocidi, respingimenti, terrorismi, scomuniche, annegamenti, e sempre un Dio a giustificarli, un Dio geloso, maschilista, vendicatore, giudice, padrone, re della terra, signore degli eserciti, despota delle anime e dei corpi; e ci sono santi anche famosi che si potrebbero citare a supporto di molte errate rappresentazioni di Dio.
Gesù è venuto a correggere questi sbagli, alcuni vecchi di secoli, a spiegare e svelare la vera figura di Dio, a “farne l’esegesi”, come dice l’evangelista Giovanni. E non a caso lui era esattamente l’opposto di queste cattive rappresentazioni del Padre, offrendosi lui, Figlio, come criterio di riconoscimento, facendosi umano, facendosi servo, per amore, soltanto per amore, fino alla morte e alla morte di croce.
E se lui ha fatto questo, che cosa dovrebbe fare un papa che parla a nome di lui, e che cosa anche ogni semplice cristiano?
Ma guai a chi toglie di mano al prepotente, al bugiardo, all’omicida, il Dio che gli serve. Senza l’accecamento del popolo, il tiranno è perduto. Per questo il papa è odiato da molti. È uscito un libro di due solerti informatori religiosi – una volta si chiamavano “vaticanisti” – Andrea Tornielli e Gianni Valente, che reca una documentazione impressionante del volume di fuoco che ogni giorno si scatena contro papa Francesco, a partire dalle facili sponde di quella galassia di siti, blog e network mediatici che quotidianamente lo attacca, lo denigra e l’offende, per finirla con lui e avere al più presto un nuovo conclave.
Non è parso vero a tale congiura salire sul cavallo di battaglia della denuncia della pedofilia nella Chiesa e degli scandali finanziari e sessuali di preti e vescovi per investire la Chiesa stessa e la fede e per pregustarne la fine. Cosa, questa, che sarebbe anche possibile se la Chiesa fosse, come lamentava il teologo e sociologo Ivan Illich ai tempi del Concilio, simile alla General Motors, ma non è possibile se è la Chiesa di Dio e del suo popolo. La misericordia e la fedeltà che il Signore le ha promesso erano per sempre, non salvo l’eccezione pedofilia. Sicché il libro che meritoriamente vuol difendere il papa da questi attacchi è troppo tragico, pecca per eccesso di difesa, non c’è alcun “Giorno del giudizio” in agguato, come recita il suo titolo che promette di dire “cosa sta davvero succedendo nella Chiesa” tra “conflitti, guerre di potere, abusi e scandali”.
La Chiesa non è questo. Il caso del cardinale Mc Carrick, cattivo arcivescovo di New York, non è il caso del secolo e non c’entra niente con papa Francesco che è arrivato dopo e gli ha tolto anche la porpora, e il Viganò che immeritatamente ha fatto il Nunzio a Washington e ora se ne è uscito chiedendo le dimissioni del papa, non è il principe dei demoni, ma semplicemente un prelato avvelenato e infedele. E non è vero che la Chiesa è polarizzata tra una falange che attacca il papa e una minoranza che mal lo difende, ma c’è un immenso popolo di fedeli, più numeroso ormai nel resto del mondo che in Europa e negli Stati Uniti, che con papa Francesco vive in perfetta pace le meraviglie di Dio, oggi annunciate in modo nuovo: come dicono gli Atti degli Apostoli, mentre “quelli di lingua greca” tentavano di uccidere Paolo, “la Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria, si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”.
Non c’è dunque da prendere il lutto per la Chiesa né pensare che per difenderla non ci sia altro che pregare, smettendo di pensare alle riforme necessarie, all’aggiornamento, all’inclusione delle donne nei ministeri, all’unità vera delle Chiese, al presbiterato uxorato, al rinnovamento antropologico nel primato dell’amore, alla comunione delle fedi, alla salvezza dei migranti, dei poveri, degli stranieri, cose già tanto discusse, e molte in cantiere. La preghiera non è un alibi per mettersi sulla riva del fiume e stare a vedere che cosa passa. È vero che il papa ha chiesto, di fronte a chi minaccia di dividere e spiantare la Chiesa, di recitare il Rosario; ma ciò, con tutto il rispetto per il Rosario, vuol anche dire che non siamo al giorno del giudizio, se basta un rosario ad allontanarlo; nella strategia della comunicazione mettere un rosario contro Viganò e contro tutto il fondamentalismo americano o contro il sordo brontolio della Curia è un messaggio fortissimo di normalità e di speranza; non c’è bisogno di chiedere miracoli.
Sicché la vera difesa è ascoltare e seguire il papa in questo suo quotidiano annunzio di Dio, in questo suo togliergli di dosso maschere e travestimenti, in questo liberarlo – come diceva Turoldo - dal “carico di errate preghiere”.
È quello che è successo col “Pater Noster”, la preghiera forse più nota e più e più ripetuta, ma spesso in automatico, senza che se ne avvertano davvero le parole. Per gli scherzi che sono propri della lingua, per il mutare dei significati, per i tradimenti delle traduzioni da una lingua all’altra, era finito che il Padre venisse invocato, perfino nella Messa, come il Tentatore, come il Cerbero che “ci porta dentro”, “ci induce” nella tentazione; e data la sproporzione di forze tra Dio e il peccatore, con l’alta probabilità che a vincere in questo affacciarsi della tentazione fosse non il tentato, ma il Tentatore.
Forse la gente non si accorgeva di quello che diceva e gli esegeti, gli esperti, i teologi, gli uomini del clero sapevano che non era così, e perciò tranquillamente reiteravano quel latino, e magari dicevano che nella parola di Dio c’è un mistero, c’è un enigma, che bisogna lasciare così, magico, incompreso o incomprensibile per il semplice fedele; ma nella immediatezza della comunicazione di oggi, che va al sodo in 40 battute, il significato è inequivocabile, se uno passa in una chiesa e sente di un Dio tentatore, pensa a un padre che invece di darti un pane ti dà una pietra (Mat. 7, 10), e a un Dio che invece di salvarti, ti perde.
Perciò papa Francesco ha chiesto ai vescovi italiani di tradurre meglio, come già avviene in altri Paesi, quel “ne nos inducas in tentationem”, perché non si perpetui e propaghi questo sbaglio su Dio. E che cos’altro di più importante dovrebbe fare un papa, e se non lo fa lui che ne ha il carisma, chi lo deve fare?
Ma ecco che la falange parte all’attacco e il blog di Sandro Magister, che appartiene a quella galassia mediatica di cui si è parlato, subito titola: “Francesco monarca assoluto. Il retroscena del nuovo ‘Padre nostro’ italiano”, e naturalmente difende la vecchia versione, vuole il Dio tentatore, e il popolo preda della tentazione ordita da lui.
Ma, nonostante questo accanimento digitale, sembra davvero che la Chiesa non abbia a temere. Non c’è, in queste critiche, nemmeno l’ombra di quei grandi saperi teologici che in passato divisero la cristianità. È politica, solo politica (non quella buona): si dice Dio, o si dice “preti pedofili” e si pensa a tutt’altro.
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