Alla Casa del Cinema a Roma è
stato presentato un film straordinario, finora inedito, di una giovane regista
romana, Maria Luisa Forenza, dal titolo “Mother Fortress”.
“Fortress” è la
fortezza romana di Qara, trasformata dalle prime comunità cristiane in Siria in un monastero; esso fu poi
distrutto nel 1720 dagli Ottomani, che vi uccisero i cento monaci che lo
abitavano; ricostruito nel 1993 è ora al centro della guerra alimentata
dall’Occidente e dall’ISIS; ma “fortress” è anche la forza della madre Agnes,
igumena dell’attuale monastero intitolato a san Giacomo il Mutilato, che con
soavità e determinazione, insieme a monache e a monaci cattolici venuti da molti
Paesi d’Occidente, presta soccorso, alimenti e conforto alle popolazioni
martoriate. Il film evoca la guerra che - aliena da ogni ragione anche politica
- da otto anni tormenta la Siria, “l’amata Siria”
che dall’inizio del pontificato è l’assillo costante di papa Francesco.
Purtroppo però nel dibattito che ha accompagnato la
proiezione non è stata detta, né c’è stato modo di dire, la cosa più importante
in cui si compendia il messaggio del film: che non è banalmente il perdono, ma
la parabola di un annuncio del regno di Dio che va perfino oltre il Vangelo. La
parabola che è sullo sfondo è quella dei vignaioli omicidi che si trova in
tutti e tre i Vangeli sinottici e anche nel Vangelo apocrifo di Tommaso. Vi si
narra dei vignaioli che dopo aver ucciso i servi che venivano a prendere i
frutti della vigna, fecero a pezzi anche il figlio prediletto del padrone, per
carpirne l’eredità; e il padre si vendica, stermina i vignaioli e dà ad altri
l’eredità del regno, perché proprio quel figlio ucciso è la pietra su cui edificarlo.
Ma in Siria il padre a cui i terroristi
hanno fatto a pezzi il figlio prediletto vince l’istinto di rispondere a un
assassinio con un assassinio e invece di vendicarsi, perdona: altrimenti, dice,
la pace non può tornare in Siria e in nessun altro luogo. Dunque qui c’è un
superamento della parabola, c’è una nuova parabola, degna di Gesù. Questo vuol
dire che a partire da lui la Parola di Dio è cresciuta; si può riformulare il
famoso aforisma di Gregorio Magno: “La Scrittura cresce con chi la legge”, si
può dire che la Scrittura, la Parola, cresce con il tempo che scorre, cresce
con lo Spirito che attraverso la storia ci ammaestra, cresce con chi la vive
senza nemmeno saperlo.
Il film non è una fiction, è un documento. Quel padre che
perdona a Homs è un musulmano sunnita, e non a caso il viaggio di madre Agnes si conclude a Roma, dove viene
a raccontare questa storia: è come se tornassero indietro i vascelli dei
crociati, così come, realizzando la profezia di padre Balducci, dopo più di
cinquecento anni sono tornate indietro le caravelle di Cristoforo Colombo
portando però, questa volta, a evangelizzarci, papa Bergoglio. L’annuncio cruciale del film, che avrebbe
potuto essere o sembrare un film apologetico su Chiesa e monache e monaci
cristiani che portano il Vangelo in Siria, è che siamo andati per evangelizzare
ma ne torniamo evangelizzati; è dai siriani, è da questo mondo, quasi tutto
arabo, di straordinarie religioni precristiane, cristiane e non cristiane, che
viene oggi la parola di vita. Noi, quanto a noi, li bombardiamo, li invadiamo,
li mettiamo l’uno contro l’altro. “Hanno distrutto in Medio Oriente un mondo
meraviglioso” ha detto di noi, dolente, una donna libanese intervenuta nel
dibattito. E adesso ci si mette anche la Turchia, che attacca il Kurdistan siriano in Rojava, e proprio ora che gli
americani dovrebbero difenderlo, Trump li toglie.
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