Quando la famigerata “casta” dei politici governava il Paese, l’Italia
uscita a pezzi dalla guerra era completamente in mano alla NATO e agli
Stati Uniti e vigilata dagli alleati europei più di quanto non lo sia
oggi nell’Unione Europea. Eppure l’Italia grazie a uomini come De
Gasperi, Mattei, Moro, Fanfani e perfino Andreotti, riuscì a fare una
politica estera con alti margini di indipendenza e a modificare gli
equilibri politici nel Mediterraneo; Mattei ruppe il monopolio delle
“Sette Sorelle” petrolifere che si mangiavano tutti i profitti del
petrolio arabo, restituì l’indipendenza all’Iran dello Scià e aprì la
stagione del risveglio dei popoli arabi; Fanfani e La Pira (e Lercaro a
Bologna) misero in crisi l’omertà nei confronti della guerra americana
nel Vietnam e concorsero a liberare la coscienza dei giovani che
approdarono al ’68 “antimperialista” e al pacifismo; Moro negoziò con i
palestinesi l’immunità dell’Italia dalle operazioni violente
irredentiste e terroriste della resistenza palestinese mentre l’Italia,
restando in perfetta lealtà con Israele, riconosceva di fatto lo Stato
di Palestina e gli faceva aprire un’ambasciata a Roma; Craxi affrontò
gli americani a Sigonella in nome della sovranità italiana e del diritto
internazionale; Andreotti fece una politica mediterranea di pace
giungendo a proporre al collega francese, su sollecitazione di un
Convegno internazionale svoltosi a Montecitorio, un ingresso simultaneo
di Israele e della Palestina nell’Unione Europea, cosa che avrebbe posto
termine a quel disperato e mai più risolto conflitto; e con Berlinguer
l’intera cultura politica italiana concepì una conciliazione degli
opposti che, con l’eurocomunismo e “il caso italiano”, avrebbe potuto
aprire una stagione del tutto nuova nei rapporti mondiali alla caduta
del muro di Berlino. Naturalmente l’Italia pagò dei costi, e se ne
pagano ancora: le basi militari americane da nord a sud del Paese, i
missili nucleari in Sicilia, Gladio, la scellerata partecipazione alla
guerra del Golfo e poi a quella jugoslava, e ci fu chi pagò con la vita,
Mattei, Moro, vittime sacrificali, e anche Berlinguer percosso
(“ictus”) dalla sua passione morale e politica.
Adesso, proprio quando si pretende che sia “prima l’Italia”, l’Italia
non c’è. Non c’è tra i firmatari del Trattato dell’ONU per la
interdizione delle armi nucleari, non c’è più con l’operazione “Mare
nostrum” e ormai neppure con le ONG per salvare i naufraghi nel
Mediterraneo, non si è ricordata il 10 dicembre del settantesimo
anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non
c’era a Marrakech quel giorno per la firma del patto mondiale contro la
rottamazione e il bruciore della Terra,né si è ricordata dei genocidi in
corso, quello dei Rohingya laggiù e dei migranti qui sulle vie di fuga
dalla Libia e dagli altri inferni provocati da noi.
Né si dica che ciò è a causa del populismo che governa l’Italia. Non è
il populismo, che è il modo spregiativo per dire “popolo”, ma l’irrealtà
che oggi governa l’Italia e la rappresenta sui media, il
popolo non vuole affatto la guerra nucleare né la distruzione della
Terra, né lo straripamento delle acque, né i naufraghi ributtati in mare
o nelle loro prigioni, né i genocidi comunque camuffati. Ma se il verbo
rimesso in auge e veicolato nella cultura comune è di nuovo quello dei
ghetti e del razzismo, è facile che dal popolo sgusci qualche mentecatto
che svelle le “pietre d’inciampo” incastonate contro l’antisemitismo
nelle strade di Roma.
Intanto Amnesty International pubblica il suo rapporto 2017-2018
in cui si documentano tutte le violazioni dei diritti umani di cui la
Repubblica italiana già nel 2017, governando Gentiloni, si era resa
colpevole.
La speranza è pertanto che l’Italia ritorni.
martedì 11 dicembre 2018
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