Mentre
il papa è in viaggio in Thailandia e Giappone non va trascurato un discorso da
lui pronunciato il 15 novembre scorso in occasione del Congresso mondiale sul
diritto penale, perché esprime un giudizio critico e fortemente innovativo sullo
stato attuale della giustizia penale.
Intanto
egli nota che l’attuale situazione economica, caratterizzata dalla
globalizzazione del capitale speculativo, e dal “principio di massimizzazione
del profitto”, è esso stesso punitivo e porta ad eccessi di irrazionalità
punitiva come reclusioni di massa, affollamento e torture nelle prigioni,
arbitrio e abusi delle forze di sicurezza, criminalizzazione della protesta
sociale, abuso della reclusione preventiva, ripudio del sistema delle garanzie.
Nello
stesso tempo non vengono sanzionati i delitti dei più potenti, in particolare
la macro-delinquenza delle corporazioni (o imprese) che offende le persone e l’ambiente
e colpisce l’economia di intere Nazioni. Spesso si tratta di crimini contro l’umanità
che provocano fame, miseria, migrazioni forzate, mancanza di cure, disastri
ambientali e etnocidio di popoli indigeni.
Il
papa critica poi recenti aggravamenti della legislazione sulla legittima difesa
e la giustificazione, in nome del dovere, di crimini commessi dalle forze di
sicurezza (l’America Latina ne sa qualcosa!). Francesco denuncia poi come la
cultura dello scarto stia degenerando nella cultura dell’odio (a volte, dice,
sembra di sentir parlare Hitler!) ed evoca non a caso le persecuzioni contro
gli ebrei, gli zingari e le persone (uomini e donne) omosessuali. Il papa
critica anche l’abuso dei mezzi giudiziari col pretesto della lotta contro la corruzione
per rovesciare governi, combattere politici (si pensi a Lula!) e promuovere l’antipolitica.
Papa
Francesco annuncia poi che nel catechismo della Chiesa cattolica sarà
introdotto il peccato ecologico, ed esorta a non fare della funzione
giudiziaria penale un meccanismo cinico e impersonale e ad instaurare invece una
“giustizia penale restaurativa” nella quale il fare giustizia alla vittima è
tutt’altra cosa che giustiziare l’aggressore.
Sul
piano delle novità nella vita della Chiesa sono da segnalare gli sviluppi della
Dichiarazione di Abu Dhabi, con la costituzione di un Comitato interreligioso
per attuarla, in cui sono entrati anche gli Ebrei dando luogo così a una
simbolica “casa abramitica”, e una dichiarazione della Santa Sede che conferma la
linea dei “due popoli in due Stati” in Palestina, contro la decisione di Trump che
legittima l’annessione israeliana delle colonie nei Territori Occupati.
È
uscito anche un manifesto delle “sardine” il movimento che riempie le piazze
contro Salvini. Non è ancora politica ma
è la riapparizione, rovesciata, di quella che una volta era chiamata la “maggioranza
silenziosa”; questa volta essa ha soprattutto la funzione di togliere
credibilità alla pretesa dei populisti di parlare a nome “degli italiani”, “dei cittadini”: italiani e
cittadini sono di là, ma anche, e in maggioranza, dall’altra parte. La seconda
cosa significativa è che quest’altra parte si raccoglie e manifesta non su una
opzione di partito, ma su una posizione identitaria e morale: essa è contro la
cultura, la politica e il linguaggio dell’odio, del disprezzo, dei
respingimenti, della rissa; l’Italia non è questa, ed è su questo che Salvini
già da tempo, già durante il suo esercizio del governo, è stato e viene sconfitto,
come allora scrivemmo. E quando le “sardine” dicono: “avete il diritto di
parola, ma non il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare”,
espressione che è stata criticata come “fascio-comunista”, non negano in realtà
alcun “diritto all’ascolto”, che non esiste, perché se esistesse
significherebbe che altri avrebbero “il dovere” dell’ascolto, cosa che non c’è
in nessuna Costituzione, c’è solo negli Stati totalitari e di polizia che
mettono gli altoparlanti in tutte le piazze. Invece quella frase vuol dire un’altra
cosa: che c’è parola e parola, e c’è una parola dell’odio che non passa, di cui
la maggioranza rigetta l’ascolto.
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