sabato 23 novembre 2019

DOVE VA LA GIUSTIZIA


Mentre il papa è in viaggio in Thailandia e Giappone non va trascurato un discorso da lui pronunciato il 15 novembre scorso in occasione del Congresso mondiale sul diritto penale, perché esprime un giudizio critico e fortemente innovativo sullo stato attuale della giustizia penale.
Intanto egli nota che l’attuale situazione economica, caratterizzata dalla globalizzazione del capitale speculativo, e dal “principio di massimizzazione del profitto”, è esso stesso punitivo e porta ad eccessi di irrazionalità punitiva come reclusioni di massa, affollamento e torture nelle prigioni, arbitrio e abusi delle forze di sicurezza, criminalizzazione della protesta sociale, abuso della reclusione preventiva, ripudio del sistema delle garanzie.
Nello stesso tempo non vengono sanzionati i delitti dei più potenti, in particolare la macro-delinquenza delle corporazioni (o imprese) che offende le persone e l’ambiente e colpisce l’economia di intere Nazioni. Spesso si tratta di crimini contro l’umanità che provocano fame, miseria, migrazioni forzate, mancanza di cure, disastri ambientali e etnocidio di popoli indigeni.
Il papa critica poi recenti aggravamenti della legislazione sulla legittima difesa e la giustificazione, in nome del dovere, di crimini commessi dalle forze di sicurezza (l’America Latina ne sa qualcosa!). Francesco denuncia poi come la cultura dello scarto stia degenerando nella cultura dell’odio (a volte, dice, sembra di sentir parlare Hitler!) ed evoca non a caso le persecuzioni contro gli ebrei, gli zingari e le persone (uomini e donne) omosessuali. Il papa critica anche l’abuso dei mezzi giudiziari col pretesto della lotta contro la corruzione per rovesciare governi, combattere politici (si pensi a Lula!) e promuovere l’antipolitica.
Papa Francesco annuncia poi che nel catechismo della Chiesa cattolica sarà introdotto il peccato ecologico, ed esorta a non fare della funzione giudiziaria penale un meccanismo cinico e impersonale e ad instaurare invece una “giustizia penale restaurativa” nella quale il fare giustizia alla vittima è tutt’altra cosa che giustiziare l’aggressore.
Sul piano delle novità nella vita della Chiesa sono da segnalare gli sviluppi della Dichiarazione di Abu Dhabi, con la costituzione di un Comitato interreligioso per attuarla, in cui sono entrati anche gli Ebrei dando luogo così a una simbolica “casa abramitica”, e una dichiarazione della Santa Sede che conferma la linea dei “due popoli in due Stati” in Palestina, contro la decisione di Trump che legittima l’annessione israeliana delle colonie nei Territori Occupati.
È uscito anche un manifesto delle “sardine” il movimento che riempie le piazze contro Salvini.  Non è ancora politica ma è la riapparizione, rovesciata, di quella che una volta era chiamata la “maggioranza silenziosa”; questa volta essa ha soprattutto la funzione di togliere credibilità alla pretesa dei populisti di parlare a nome  “degli italiani”, “dei cittadini”: italiani e cittadini sono di là, ma anche, e in maggioranza, dall’altra parte. La seconda cosa significativa è che quest’altra parte si raccoglie e manifesta non su una opzione di partito, ma su una posizione identitaria e morale: essa è contro la cultura, la politica e il linguaggio dell’odio, del disprezzo, dei respingimenti, della rissa; l’Italia non è questa, ed è su questo che Salvini già da tempo, già durante il suo esercizio del governo, è stato e viene sconfitto, come allora scrivemmo. E quando le “sardine” dicono: “avete il diritto di parola, ma non il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare”, espressione che è stata criticata come “fascio-comunista”, non negano in realtà alcun “diritto all’ascolto”, che non esiste, perché se esistesse significherebbe che altri avrebbero “il dovere” dell’ascolto, cosa che non c’è in nessuna Costituzione, c’è solo negli Stati totalitari e di polizia che mettono gli altoparlanti in tutte le piazze. Invece quella frase vuol dire un’altra cosa: che c’è parola e parola, e c’è una parola dell’odio che non passa, di cui la maggioranza rigetta l’ascolto.

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