C’è di nuovo un furioso attacco
al Papa accusato ora da “cento studiosi” di idolatria a causa della liturgia che
ha ospitato i segni della devozione india durante il Sinodo per l’Amazzonia.
Questo nuovo attacco al Papa non è che la continuazione dell’offensiva
cominciata nell’estate del 2016 con una lettera accusatoria indirizzata ai
cardinali e patriarchi della Chiesa cattolica orientale, ripresa il 16 luglio
2017 con la cosiddetta “Correctio filialis” e proseguita con la lettera ai
vescovi e alla Chiesa del 30 aprile 2019, cose di cui si può trovare notizia
nel sito chiesadituttichiesadeipoveri.it sotto il titolo: “La santa eresia di cui
è accusato Francesco” e nella newsletter dell’11 maggio 2019: “Mirabile
eresia”.
Si tratta di una campagna che non
sembra godere di molta vitalità e accusa ormai la sua usura dato che a condurla
sono sempre gli stessi e dicono le stesse cose, anche se in un’escalation che
passa dalla “correzione filiale” alla denuncia di eresia, alla richiesta di
dimissioni, all’anatema per idolatria. Dunque non vale tanto la pena fermarsi
su quest’ultima aggressione, quanto chiedersi qual è la vera contrapposizione
che spinge una minoranza ecclesiale a rifiutare il magistero e la pastorale di
papa Francesco. Ci sembra che essa consista nel fatto che si vuole ripristinare
una “Chiesa contro”, rovesciando il modello della “Chiesa per”, che è poi il
modello dell’“essere per gli altri” del Vangelo, irreversibilmente adottato da
papa Francesco. E diciamo “irreversibilmente” perché volere una “Chiesa
contro”, quale la rivendicano i cattolici e gli atei devoti della destra
americana e non solo, significa non volere nessuna Chiesa, perché una Chiesa
contro gli Indios, contro gli immigrati, contro i poveri, contro le donne,
contro i divorziati, contro i “comunisti”, contro i protestanti, contro i
musulmani, contro i maledetti dagli uomini e benedetti da Dio non sarebbe più
possibile, finirebbe in una setta irrisoria. Che magari avrebbe ancora con sé
“i cento studiosi” schierati oggi contro papa Francesco, ma non più il popolo
di Dio.
Allora forse vale la pena capire
meglio la novità di Bergoglio e perché essa è così crocefissa e difficile, tanto
che egli non smette di chiedere di
pregare per lui. Bergoglio, gesuita, come risulta dalla preziosa sua “biografia
intellettuale” scritta da Massimo Borghesi (perché ci sono studiosi e
studiosi!), viene dalla dialettica, cioè da una lettura “dialettica degli
Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola”, e in genere di tutta la spiritualità ignaziana,
appresa alla scuola del gesuita francese Gaston Fessard. Una dialettica certo non hegeliana, bensì
risolta nella Trascendenza e nella Chiesa. Ma tutta la storia umana, da
Eraclito fino a Hitler, è dominata dalla dialettica. Per il filosofo greco il
gene della guerra, “pόlemos”, era “il padre e principio di tutte le cose, di
tutte re”, gli uni svelando come dei, gli altri come uomini, gli uni facendo
schiavi, gli altri liberi; e questa dialettica conflittuale, dominando tutto il
corso storico, è giunta ultimamente, ai nostri giorni, a preconizzare la fine,
perfino fisica, del mondo. Ed ecco che il gesuita divenuto papa Francesco porta
la Chiesa fuori della dialettica, la fa non signora ma serva (lava i piedi a
tutti, all’Europa, alle donne, ai musulmani), la fa sorella delle altre Chiese
e altre fedi, la fa madre della fraternità umana, nunzia dell’ “armonia delle
diversità”, non solo di colore, di razza, di sesso, di lingua, ma anche di
religione, tutte frutto “di una sapiente volontà divina con la quale Dio ha
creato gli esseri umani”, come dice il documento cristiano-islamico di Abu
Dhabi, e la fa testimone dello scambio, e non della contraddizione, tra grazia
e libertà. Ma ancora di più con la sua incessante tessitura dell’unità umana,
papa Francesco spinge il mondo ad uscire dalla legge ferina della dialettica
(amico-nemico, sommersi e salvati, uomini e donne, cittadini e stranieri, identità
collettive e minoranze, “prima noi” e “fuori loro”) per assumere la veste
nuziale dell’accoglienza, dell’inclusione, dell’eguaglianza e dell’amore. Che
sia questo ripudio della dialettica, strumento del potere, altare dei contrari,
assieme al ripudio della guerra che già abbiamo costituzionalizzato, il cambiamento
d’epoca che abbiamo intravisto e stiamo aspettando?
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