Passare dalla resistenza al viatico al leader leghista, significa togliere il tappo, privare di questa ragione il governo, farlo cadere. È ciò che dal primo giorno della sua concezione e della sua nascita stanno facendo molti poteri interni ed esterni al governo, che operano perfino tra le forze che lo hanno concepito e lo abitano. Tra questi poteri che giorno dopo giorno scalzano le fragili fondamenta su cui il governo si regge, c’è quasi l’intero sistema culturale e mediatico che agisce sotto dettatura del denaro. Tale è la TV commerciale, interamente determinata dal denaro, il quale si svela platealmente decidendo palinsesti, maratone e tempi concessi ai programmi nelle interruzioni tra una pubblicità e un’altra. I soggetti che fanno i programmi, diventano in tal modo essi stessi oggetti. Non è la televisione che fa la pubblicità, è la pubblicità che fa la televisione. Cioè è il mercato, e meno male che c’è il mercato perché, venuto meno il controllo umano, almeno il mercato per sue non tanto misteriose ragioni ha interesse che qualcosa di umano continui, che la convivenza regga, e che i cori razzisti, che minacciano di far interrompere lo spettacolo negli stadi, non ci siano.
Ora la TV gestita dal denaro sa benissimo che, assunto come fine il profitto, la sola produzione redditizia è lo spettacolo. E gli spettacoli costano: basta guardare ai Teatri dell’Opera, le cui recite a causa dei cori, delle orchestre, delle prime donne e delle messe in scena costano troppo, e che perciò chiudono. Ma la TV commerciale ha trovato le uova d’oro, ha trovato lo spettacolo che non costa nulla e anzi paga addirittura per essere rappresentato. Questo spettacolo è la politica, che da sola può coprire l’intero arco della programmazione, quando è mattina, quando è sera, quando è notte e poi di nuovo mattina. Ma lo spettacolo che fa audience (lo si sa fin dal Teatro greco) è la tragedia e la farsa. E la politica va benissimo come spettacolo, a patto che si presenti come tragedia e come farsa; e se in se stessa non è né tragedia né farsa, la TV ce la fa diventare, la deve restituire così, altrimenti dovrebbe trasmettere altre cose, molto più care. Ciò vuol dire che in quanto “medium”, strumento mediatico, la TV deve farsi mediatrice e autrice del falso, della fake news per eccellenza: perché la politica è tutt’altra cosa di ciò che viene mostrato, è l’impresa del vivere insieme, e vera politica non è solo la contesa per questo o quel problema determinato, ma quella per cui ne va delle condizioni di vita e del destino degli uomini e delle donne sulla terra.
È in questa più larga visione che il tappo non va tolto.
Ma perché c’è questa scelta, questa deriva a favore di Salvini? Salvini non ha solo un futuro, ha anche un passato. Il passato di Salvini sono la cultura e la politica dell’Occidente dopo l’89, da quando cioè si è fatta la globalizzazione, ma senza un’idea (un’ideologia!) che la fondasse, senza il pensiero di un’unità umana di cui essa fosse l’effetto; e questo passato, in Italia, è anche il passato della Chiesa di Ruini, dagli anni 80 fino a papa Francesco, nel lungo tempo dell’eclissi del Concilio. Caratteristica di quella Chiesa fu l’idea che nella società, man mano che scemava la fede, la Chiesa dovesse farsi portatrice di un “progetto culturale”, di una cultura in vesti secolari: non di una politica, perché quella, mandato al macero il “cattolicesimo democratico”, la si lasciava fare ai politici, alla destra che c’era, tallonata però perché si rendesse “permeabile” alle istanze cattoliche e così, come rivendica Ruini, portasse dei “frutti” per la Chiesa.
In tal modo la Chiesa si è incorporata alla cultura della modernità, i fedeli sono stati lasciati a quei pascoli. Ed è questo meticciato culturale (ateismo e rosari) che è giunto fino a noi. È la cultura di una Chiesa quale è stata, e che come tale è destinata a finire se papa Francesco non sarà continuato e si vorranno chiudere le porte alla Chiesa che sarà.
Ora la vecchia cultura, oggi endemica se non egemone, non è atta a salvare la Terra e a far sì che la storia continui. Giustamente Salvini rifiuta di essere chiamato “fascista” e denuncia chi lo fa, anche se il Pubblico Ministero di Milano dice che non è reato. Il fascismo è un fenomeno storico nato dallo scempio della prima guerra mondiale e dall’estro di Mussolini, e non è ripetibile in qualsiasi altra forma. Però è proprio dell’uomo dare il nome alle cose, e anche “rinominarle”, quando occorre, come ora ci fa fare il computer. Si può rinominare il fascismo, riconoscere il fascismo eterno dandogli il nome di “egofascismo”, un nome che riassume tutta una cultura e tutta una storia. L’egofascismo è mettersi al centro, prima e al posto di ogni altro e far questo con qualunque mezzo, al costo di qualsiasi violenza, al principio di ogni sacrificio. È la morale del Principe, la ragion di Stato, il nucleo duro della sovranità; è dire “prima gli Italiani” o “solo gli Italiani” e perciò chiudere i porti, destinare i migranti all’inferno, far passare la cultura “meglio morti che sbarcati”, singolare rovesciamento del grido “meglio morti che rossi”, e ripresa del più antico “me ne frego”: della morte e della perdizione dell’altro. È la cultura della dialettica, della contraddizione, che è poi la cultura del nemico, da Eraclito ad Hitler, fino alla cultura del maggioritario, fino alla minaccia: “con un voto in più si governa su tutti”.
Se davvero siamo ad un cambiamento d’epoca, è questa cultura che deve cambiare. C’è un’altra cultura, non dell’alternativa ma dello scambio (il cristianesimo, di cui si baciano i simboli, è il rovesciamento assoluto della dialettica, con la sua unione tra umano e divino, che addirittura ha definito “consustanziali”); è la cultura dell’ “I care” (mi preme), del “prima gli altri”, “prima i poveri, i deboli, gli scacciati”, è la cultura della casa di tutti e dell’unità umana, la cultura per la quale o ci si salva tutti insieme o non si salva nessuno.
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