La premessa è che noi non facciamo teologia, però osserviamo i movimenti
della storia. Questa volta vi scriviamo dall’ospedale dove chi scrive si trova
non per il virus ma per una banale diverticolite, il che gli permette però di
condividere più intensamente una condizione divenuta oggi molto comune, quella
degli “spogliati”. Tanto comune che ci si mette anche il papa.
Abbiamo letto l’intervista di papa Francesco “al mondo di lingua inglese”
duramente colpito dalla pandemia, raccontata in italiano da padre Spadaro sulla
Civiltà Cattolica. È
reperibile ovunque. Il pensiero o ipotesi che ne abbiamo tratto è che
uscendo, come ne siamo usciti a fatica, dalla “cristianità”, si stia profilando
e abbozzando (e sempre che l’abbozzo riesca) una nuova cristianità, che forse
il secolo non chiamerà così ma rappresenterà un altro modo, soave e
ricchissimo, di deposito dell’annuncio cristiano nel mondo.
La cristianità è quella che ha avuto corso legale nel mondo dalla riforma
gregoriana dell’XI secolo al Concilio ecumenico Vaticano II, dopo il precedente
fondativo di Teodosio, il primo Imperatore cristiano. Per fortuna la
cristianità non ha esaurito in se stessa tutto il cristianesimo e la Chiesa,
che sono stati in questo millennio fecondissimi, però ha preteso racchiudere in
se stessa tutto il mondo via via conosciuto. Da essa ha preso congedo
dottrinalmente l’ultimo Concilio, ed esplicitamente papa Francesco in uno dei
punti più alti del suo magistero, parlando ai Capi d’Europa, compreso il Re di
Spagna, venuti da lui a conferirgli il premio Carlo Magno (!). Ora la nuova
“cristianità” che si intravvede non è in lizza per annettersi la totalità, non
quella planetaria, sapendo ormai che “il tempo è superiore allo spazio”. Non è
proselitistica. Gesù ce l’aveva con chi batteva mare e terra per fare un proselite
e lo rendeva poi peggiore di prima. E, anche al meglio che si possa pensare,
intendere gli altri come proseliti significa viverli come una mancanza,
un’estraneità, un’assenza che ci priva di una ricchezza, di un compimento, e
così, prima di farli propri, significa farne degli scarti. Invece per Dio
non è scartato nessuno, quella totalità che la cristianità presumeva di
realizzare in realtà già c’era, l’aveva rivelata Gesù, l’ebreo, stendendo le
braccia sulla croce. È vero che poi ha detto di andare fino agli estremi
confini della terra, ma per dare la notizia, perché tutti sapessero una cosa
che comunque già c’era, l’abbraccio di Dio per l’umanità intera; perché a
saperlo certo si è più felici e anche si può e forse si sa essere più giusti e
la storia va meglio. E dunque così potrebbe essere la cristianità che domani
riappaia, avendo molti nomi, e non c’è paura che ne manchino,
tanti essendo i nomi di Dio. Sarà un farsi abbracciare da lui, facendosi
un po’ lui, anche senza saperlo, quando molta più gente sarà stata raggiunta
dalla notizia che Dio è amore senza gelosia, e se Dio fosse giustizia ma non
misericordia, “non sarebbe neanche un Dio”, come attesta papa Francesco.
Ma non si deve pensare che il prezzo di questa nuova cristianità immedesimata
nel pleroma dell’umanità amata da Dio sia la deistituzionalizzazione
della Chiesa. Non c’è vita senza istituzione; ma come ha spiegato Francesco
nell’intervista dal suo confinamemto per il virus, la Chiesa è
istituzionalizzata dallo Spirito Santo il quale con i carismi crea il
disordine, ma poi da lì crea l’armonia. C’è il momento di scuotere le
istituzioni (ce l’ha insegnato Ivan Illich) e c’è quello di inverare le
istituzioni, come dal manicomio alla riforma psichiatrica, da Creonte ad
Antigone. Lo Spirito Santo fa questo. E sono operazioni di “cristianità”.
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