Prendiamo il lutto perché il Senato ha
approvato la legge sulla legittima difesa, difesa che dalle nuove norme viene
presunta in una indeterminata serie di casi sempre come
proporzionata e legittima. In tal modo viene meno il giudizio, caso per caso,
della liceità e della proporzione di una violenza inflitta a terzi, fino ad
ucciderli, che saggiamente l’attuale Codice penale affida al giudice, come
interprete dell’interesse supremo dello Stato a impedire che ciascuno si faccia
giustizia da sé, in una lotta di tutti contro tutti.
Ora manca solo l’approvazione della Camera,
peraltro scontata dato che a favore non c’è solo la maggioranza ma anche Forza
Italia e Fratelli d’Italia. Può darsi che la nuova legge non provochi subito un
correre dei cittadini ad armarsi ed un’impennata della violenza privata, che è
l’alibi, non si sa quanto in buona fede, del Movimento 5 stelle, anche in
questo caso docile alle pulsioni di Salvini. Certamente però questa è una legge
manifesto, una legge che è un annuncio, che tende e sicuramente è atta a
diffondere una cultura, un nuovo senso comune, un nuovo riflesso condizionato
rispetto a ciò che è giusto ed ingiusto. E per effetto di questa cultura,
oggettivamente e senza che se ne possa dare colpa ad alcuno, più persone
saranno uccise. Come in America, Questa è la sua gravità.
E questa, su una scala ancora più larga, è la gravità del “decreto immigrazione e sicurezza” già in vigore e in via di conferma in Parlamento. Qui il messaggio, veicolato da proibizioni, reclusioni extragiudiziali fino a sei mesi, revoca della protezione umanitaria, negazione di permessi di soggiorno, abolizione della rete di sicurezza dei Comuni, e forse perfino discriminazioni razziste tra negozi “etnici” e “non etnici” (come una volta tra attività di ebrei e di ariani), è che i migranti non ci devono essere, e se ci sono devono viversi come scarti e come espulsi, devono essere tolti alla vista e deferiti allo sgradimento sociale.
E questa, su una scala ancora più larga, è la gravità del “decreto immigrazione e sicurezza” già in vigore e in via di conferma in Parlamento. Qui il messaggio, veicolato da proibizioni, reclusioni extragiudiziali fino a sei mesi, revoca della protezione umanitaria, negazione di permessi di soggiorno, abolizione della rete di sicurezza dei Comuni, e forse perfino discriminazioni razziste tra negozi “etnici” e “non etnici” (come una volta tra attività di ebrei e di ariani), è che i migranti non ci devono essere, e se ci sono devono viversi come scarti e come espulsi, devono essere tolti alla vista e deferiti allo sgradimento sociale.
Gli autori di questa legge-manifesto pretendono
di interpretare una cultura comune del sospetto e della paura per lo straniero,
che invece non esiste, e in realtà la promuovono e l'accrescono, ben sapendo
che è la cultura che fonda il potere e dà forma alla società e che il cerchio
si chiude quando la cultura vuole le stesse cose che vuole il potere.
È questa la ragione per cui il messaggio,
l’annuncio, la comunicazione veicolati dal potere sono determinanti. Nel
poverissimo Vietnam del Nord, ai tempi dell’aggressione americana, non c’erano
radio e televisione, ma altoparlanti piazzati in tutte le vie e in tutte le
piazze che incessantemente educavano e incitavano il popolo a resistere agli
invasori; era un’ossessione, ma alla fine il piccolo Vietnam sconfisse gli
Stati Uniti. In quel caso tecniche pur rudimentali di persuasione di massa
furono usate per un fine giusto. Ma quando si trattò di rimettere sul trono
mondiale la guerra che era stata esorcizzata e ripudiata durante il lungo
periodo delle deterrenza atomica, tutto l’apparato della comunicazione,
giornali, radio, televisioni, intellettuali, opinionisti, Parlamenti furono
mobilitati per cambiare la cultura comune al fine di rilegittimare e rendere
gradevole la guerra, rinominata come umanitaria, democratica, giusta, doverosa
e salvifica. Fu per quello che si fece la prima guerra del Golfo, a
inaugurazione del bel ciclo storico che ci ha portato fin qui. Da allora quella
cultura non ha cessato di uccidere.
La capacità di manipolazione delle idee a
livello di massa è grandemente cresciuta nell’era digitale. Notizie recenti
indicano che in Italia chi ha saputo meglio organizzare la persuasione politica
attraverso il web, le reti social, le mailing list, tutti integrati in un
sofisticato sistema informatico gestito da un team di esperti, è stato Salvini,
che butta tutto in propaganda, dalla rosa per Desirée, la ragazza romana che la
sua polizia non ha saputo difendere, ai tweet. I software non mancano. Ci sono
servizi on line che offrono account verificati, con tanto di cellulare, a 10
centesimi l’uno, si possono aggregare migliaia di indirizzi in poche ore con
poche centinaia di euro. Molte notizie, notizie semivere, non-notizie, slogan
diventano virali grazie alle strategie di questa comunicazione politica.
Tutto questo dovrebbe suscitare un’attenzione nuova, anzi prioritaria, al ruolo della scuola, della comunicazione, della cultura rispetto alla società che stiamo costruendo. Non solo l’economia uccide, come dice papa Francesco, anche la cultura uccide. Come dimenticare del resto che la cultura della diseguaglianza per natura degli esseri umani, che è giunta fino ai razzismi del Novecento, che ancora abitano tra noi, è partita da Aristotile, dalla società dei signori e dei servi, e attraverso la conquista dell’America e la negazione dell’umanità degli indios, e poi dei “negri” e perfino dei proletari, attraverso Hegel e Spencer e Croce è arrivata fino a noi? Questa è la forza dell’annuncio, ma questa sarebbe anche la forza del “buon annuncio” (che in greco si chiama Vangelo) se lo sapessimo dare.
Tutto questo dovrebbe suscitare un’attenzione nuova, anzi prioritaria, al ruolo della scuola, della comunicazione, della cultura rispetto alla società che stiamo costruendo. Non solo l’economia uccide, come dice papa Francesco, anche la cultura uccide. Come dimenticare del resto che la cultura della diseguaglianza per natura degli esseri umani, che è giunta fino ai razzismi del Novecento, che ancora abitano tra noi, è partita da Aristotile, dalla società dei signori e dei servi, e attraverso la conquista dell’America e la negazione dell’umanità degli indios, e poi dei “negri” e perfino dei proletari, attraverso Hegel e Spencer e Croce è arrivata fino a noi? Questa è la forza dell’annuncio, ma questa sarebbe anche la forza del “buon annuncio” (che in greco si chiama Vangelo) se lo sapessimo dare.
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