di Raniero La Valle
Sull’aggressione degli incursori israeliani alla flottiglia pacifista dinnanzi alle coste di Gaza è stato detto tutto quello che si poteva dire sul piano politico.
È stato un atto di pirateria, però compiuto da uno Stato sovrano: la distinzione di Sant’Agostino tra l’Imperatore e il pirata, l’uno, imperatore perché corre il mare con una grande flotta, l’altro pirata perché lo fa con un piccolo vascello, è venuta a cadere.
È stato un atto violento, tecnicamente fallimentare, perché conclusosi con un gran numero di morti tra gli aggrediti inermi, che secondo Israele nemmeno si sarebbero dovuti difendere a mani nude. È stato un abuso di sovranità, perché esercitato per impedire l’accesso alle coste di Gaza, che non sono le coste d’Israele. È stata la prova del fatto che Israele considera ormai acquisiti come propri tutti i territori della Palestina e di Canaan, dal mare al Giordano, occupati e no, e quindi che per quanto lo riguarda la partita è chiusa, il processo di pace è finito e mai si potranno avere due Stati per due popoli.
Ma c’è qualcosa che ancora non è stato detto: sarebbe possibile che pur all’interno della fede ebraica lo Stato d’Israele presentasse un volto diverso, praticasse una politica tollerante e pacifica e non configurasse la propria identità sul modello dell’antico condottiero Giosuè, che secondo l’autore