venerdì 31 maggio 2019

LA DEMOCRAZIA SI PUÒ PERDERE


Prima ancora di chiedersi “che fare” bisogna cercare di capire che cosa è successo il 26 maggio e anche le ragioni di un così repentino cambiamento della geografia elettorale.
La democrazia non perdona, gli errori, gli sgarri li fa pagare ad usura. Essa ha un effetto moltiplicatore, e come moltiplica straordinariamente i fattori positivi immessi nel corpo sociale (le fortune del Welfare State ne sono state nel secolo scorso un esempio) così moltiplica il negativo della cattiva politica e del maldestro pensiero.
Questa è anche la ragione dei cambiamenti improvvisi del quadro politico, che lasciano di stucco i commentatori abituali, avvezzi all’eterna ripetizione dell’identico. I regimi sono molto più piatti e prevedibili delle società aperte, le gestioni autoritarie longeve, gli Imperi possono durare dei secoli; ma la democrazia no, le democrazie sono il regno della sorpresa, della novità, dell’inedito che irrompe inatteso e poi magari presto scompare. Perciò la democrazia ha bisogno di gente molto più sveglia, che capisca più in fretta, ha bisogno di cittadini, non di sudditi. La democrazia oggi c’è, domani può non esserci più; non è un dato di natura, è un’opera e una decisione nostra.
Nelle elezioni europee, l’effetto moltiplicatore più devastante la democrazia l’ha esercitato sul Movimento 5 stelle. Esso ha pagato l’aver fornito la manovalanza per l’erezione del trono di Salvini e l’aver offerto  lo sgabello ai suoi piedi, e averlo fatto quasi senza calcolo, il che è ancora più grave che farlo per un calcolo sbagliato. Sventatezza politicamente imperdonabile; ma essa aveva una causa  che la rendeva inevitabile: il disprezzo per la politica, il discredito della politica come arte, come cultura, come professione, con la conseguenza di un’incapacità dei giovani capi del Movimento di capire la politica, di riconoscerla, proprio nel momento in cui dovevano farla.
Non è politica stabilire di fare politica a termine per non contaminarsi; i “due mandati” il Movimento stesso li ha fatti, ed ora è lui che rischia il licenziamento. Non è politica colpevolizzare stipendi e pensioni dei politici, come se  non ci fosse altro, e quello non fosse un lavoro, né è politica liquidare quell’evento maggiore dei partiti italiani che è stato il trapasso dal PD di Renzi a quello postrenziano  con la falsa notizia che per prima cosa il nuovo PD volesse aumentare le indennità parlamentari. Non è politica chiudere occhi orecchi e cuore a tutto il resto, purché passi il reddito di cittadinanza. Non è politica non cambiare politica dopo la scudisciata del voto.
L’effetto moltiplicatore ha funzionato anche nel creare il successo di Salvini. L’intero sistema politico italiano non aveva capito il segnale delle elezioni del 4 marzo dell’anno scorso: massimo era lo scoramento e l’insofferenza per una situazione economica e sociale divenuta insostenibile: non solo i poveri restavano poveri, non solo i disoccupati languivano, ma i ricchi si impoverivano e gli occupati, pur lavorando, scendevano nella miseria. L’elettorato ha espresso la maggiore protesta allora possibile votando per i 5 stelle. contro i partiti tradizionali dei Minniti e dei Gentiloni; questi hanno reagito aspettando di vederne, compiaciuti, il fracasso; ed ora l’elettorato ha votato in modo ancora più radicale e disperato, ha votato per la Lega Nord, perfino nel Sud, che è tutto dire. Ma anche Salvini pagherà l’effetto moltiplicatore della democrazia; ha promesso il miracolo di cambiare l’Italia e l’Europa, invocando santi e Madonne e baciando rosari prima e dopo il voto, ma il miracolo non lo potrà fare, e avendo molto promesso poco gli sarà perdonato. Così ha mostrato solo quanto è ancora infantile la cultura religiosa in Italia, tra i devoti che si fanno la croce per propiziarsi voti, goal e prodigi  e il cardinale Muller che ciò giudica “cristiano”.
Il partito democratico, raso al suolo da Renzi, ha riguadagnato la linea di galleggiamento; ma metà del suo successo è dovuto al candidato tenuto più nascosto, a quel Pietro Bartòlo, il medico di Lampedusa, che vuole andare a Strasburgo per raccontare all’Europa la vera storia dei 350.000 naufraghi che negli anni ha curato nell’isola, e di quelli di cui ha dovuto fare “l’ispezione cadaverica”; in molti casi si trattava di bambini; “anche questi sono bambini”, ha gridato durante la campagna elettorale, non lo sono solamente i “bimbi” con cui si gloria in TV di passare la domenica il ministro degli Interni. E se si proietta sul piano nazionale il risultato di Bartòlo, presente in due soli collegi (in Sicilia ha preso la metà di tutti i voti del PD), e si tiene conto di mezza Italia che non è andata a votare né per gli uni né per gli altri, si vede che il vero vincitore è lui, è l’Italia della compassione, non quella dello scarto.
E ora, se si può, si torni alla politica, cioè ai problemi veri su cui non si è votato, perché taciuti in una campagna elettorale dedita a tutt’altro; sono i veri nodi della situazione presente: il clima, gli eventi estremi della natura oltraggiata, il commercio selvaggio, il denaro sul trono, le armi messe sopra a tutto, l’epidemia della povertà, l’esclusione, il diritto di migrare, i profughi in fuga da guerre, da fame e dal degrado ambientale, le donne negate, il diritto perduto, le Costituzioni stracciate, il furto di futuro, l’uomo artificiale, “potenziato” e programmato dalla tecnica per togliergli di dosso l’immagine di Dio: i temi che sono stati oggetto della recente assemblea di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”.

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venerdì 24 maggio 2019

L'ELETTA DI ALLAH

La Madonna delle lacrime di Siracusa non faceva che piangere sabato scorso per la violenza subita in piazza a Milano tra le mani di un buttafuori che getta a mare i suoi figli e guai a chi si muove a pietà.

La Madonna della Misericordia di San Sepolcro era affranta per la sua larga veste strappata nella quale invano aveva cercato di nascondere e proteggere i miseri e i profughi.

La Madonna del Rosario di Pompei era avvilita per il furto che aveva subito dell’umile rosario, trasformato in un’arma impropria di diffusione d’odio e rancore di massa.

La Madonna di Fatima era contrariata a veder rivelato il segreto che avrebbe voluto restasse nascosto, che il peggio può sempre venire e che la madre della sacra ignoranza è sempre incinta.

La Madonna della Pietà era attonita non immaginando che ancora ci fosse un fantaccino superstite della battaglia di ponte Milvio lesto a brandire come segno di vittoria la croce da cui suo Figlio era stato appena deposto. 

Solo Maryam bint ʿImrān, “l’eletta e purificata da Allah”, come è cantata nella Sura 3,42, era tutta contenta perché a sentirsi tirata in ballo in quel modo dagli atei devoti dell’Occidente, si era creduta che anche loro fossero lì col Corano in mano a combattere i miscredenti in nome delle radici islamo-cristiane dell’Europa. 

Quanto alla Madonna pellegrina forse ha pensato di fermarsi ora un momento e fare tappa in un seggio elettorale per votare anche lei a proprio favore contro l’uso blasfemo della religione posta a sgabello dei troni.
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venerdì 17 maggio 2019

IL BIGLIETTO DA VISITA




Nella vicenda dell’Elemosiniere del papa che riattacca la luce ai nuovi romani immigrati c’è come il precipitato e il significato di tutto il pontificato di Francesco; e vi è anche tracciato il disegno dell’unica Chiesa che è possibile nel futuro.

I dibattiti che hanno imperversato sui giornali e nei talk-show su questo fatto che nessuno ha visto ma che è subito diventato un grande evento mediatico, sono stati di una trivialità impressionante. Nessuno ha visto la verità profonda di quanto è accaduto; la discussione era tutta su chi dovesse pagare le bollette della luce, se si potesse ammettere uno strappo alla legalità nel centro di Roma, tanto più se compiuto da uno “Stato estero” come il Vaticano; addirittura secondo l’ex giudice Nordio, un magistrato di qualche notorietà, l’Italia avrebbe dovuto aprire una questione diplomatica con la Santa Sede per violazione della legge e del Concordato del 1984, se non addirittura del Trattato del 1929.

A nessuno è venuto in mente che il papa è il vescovo di Roma, e che un vescovo sta lì per portare la luce dove sono le tenebre, e che la sua legge non è il contratto di compravendita dell’energia, ma è il Vangelo. Nessuno si è ricordato che papa Francesco ha cominciato il suo ministero a Roma lamentando che se un barbone moriva di freddo in via Ottaviano nessuno se ne curava, mentre se calavano due punti in Borsa se ne faceva un grande pianto, e che l’economia in forza della quale questo avveniva è un’economia che uccide, e che una società che lo permette è una società dello scarto.

Soprattutto a nessuno è venuto in mente di discutere che cos’è la legalità.

La legalità è violata a Roma quando si permette a Casa Pound di cingere d’assedio una casa popolare per intercettare, minacciare e tenere prigioniera una famiglia di ex nomadi, e nessuno interviene, fino a quando la Sindaca in persona non va a rompere l’assedio.

La legalità è calpestata a Roma quando un ministro degli Interni per vendicarsi taglia i fondi destinati a Roma capitale, dicendo che Roma non deve essere trattata meglio di un qualsiasi comune dell’hinterland milanese.

La legalità non esiste a Rio de Janeiro, dove si mette in prigione Lula per non fargli vincere le elezioni, ma si lascia che un milione di persone viva nelle favelas tra le fogne attaccandosi per la corrente elettrica ai semafori della strada.

Ma non c’è solo una legalità dovunque violata: c’è una legalità selvaggia, c’è una legalità che legittima e sancisce veri e propri reati, e anzi dei crimini.  Oggi è legale in Italia ammazzare un ladro o un intruso in casa propria e in ufficio, anche senza alcuna proporzione tra difesa e offesa, o anche solo con la giustificazione di uno scatto emotivo. Oggi è considerato legale dal Parlamento, e anzi corrispondente a “un preminente interesse nazionale” chiudere i porti in faccia ai naufraghi, sequestrare i superstiti in mezzo al mare, perseguire una politica all’insegna del “meglio morti che sbarcati”, una politica per la quale sono meglio le prigioni e le torture libiche che far vedere l’Italia anche solo “in cartolina” : questi non sarebbero crimini, non sarebbe la nostra Shoà, dal momento che non si dà l’autorizzazione procedere per perseguirli a norma di legge.

Oggi è legale in Italia che a migliaia di stranieri siano negati il nome e l’anagrafe, gli si neghi cioè il fatto stesso di esistere, contro la legge che sta prima di ogni altra legge, che è la legge dell’esistenza in vita, contro la legge che è la prima di tutte le leggi, è la stessa Costituzione, che consiste nel riconoscere tutti gli esseri umani come persone.

E a nessuno è venuto in mente che la civiltà dell’Occidente, la sua salutare dialettica tra diritto e giustizia, è cominciata quando Antigone ha violato la legge della città, e quella illegalità di Antigone è stata definita da Sofocle, e così ha attraversato i secoli fino a noi, come un “santo crimine”. Illegale, ma santo.

Veniamo così alla santa illegalità del papa e del suo Elemosiniere.

Che cosa gli hanno rimproverato, qual è il comportamento che invece Salvini, quello del rosario e del Vangelo in mano nei comizi, voleva dalla Chiesa? Che cosa doveva fare invece il papa secondo la politica, il governo, i benpensanti, le TV edite dalla pubblicità? Quello che doveva fare era di pagare i 300.000 euro della bolletta della luce, fare un’elargizione, mandare un assegno magari con una guardia svizzera. La Chiesa doveva fare quello che il sistema si aspetta e vuole da lei: che non metta in discussione e accetti l’ordine esistente, l’ordine iniquo, però lo ingentilisca, lo nobiliti, facendo l’elemosina, mettendo il classico fiore sulla catena della creatura oppressa, di marxiana memoria.

La Chiesa doveva mandare l’assegno al palazzo di via Santa Croce in Gerusalemme e dire ai 400 disgraziati e famiglie che vi abitano: vedete come suona buona? Voi siete musulmani, animisti, non credenti, magari anche atei, non avreste neanche il diritto di stare in questa diocesi, però non importa, vedete come sono longanime, come faccio la carità, non importa se non siete cattolici o cristiani, io penso anche a voi, sono aperta, “moderna”, non discrimino, perciò state buoni.

Invece la Chiesa non ha fatto questo. È andata lì, ed è scesa nel tombino. Non ha fatto prediche, non ha fatto elemosine. Si è messa al posto loro, si è scambiata con loro, ha detto loro che se per difendere la loro vita scendono nel tombino, lei scende con loro. Ha detto: lottiamo insieme perché la luce non sia tolta. Non ha regalato un pesce agli affamati, ha detto gettate le reti dalla parte giusta, imparate a pescare, i pesci ci sono.

E non si tratta di “un gesto”. C’è dentro tutta una teologia, Dio che si scambia con l’uomo, che prende su di sé il dolore e il bisogno dell’uomo, la teologia del IV Vangelo, di Paolo ai Corinti, dei quattro grandi Concili.

E dopo aver fatto questo la Chiesa di papa Francesco fa una cosa assolutamente straordinaria: non resta lì a invadere quello spazio, non fa intrusioni nella vita di nessuno, non fa proselitismo: lascia il suo biglietto da visita, come per dire: Io ci sono.

Il biglietto da visita è importante; quando il governo Salandra tramava per portare l’Italia nella prima guerra mondiale, trecento deputati che non la volevano lasciarono il loro biglietto da visita nella cassetta postale di Giolitti, l’unico che potesse impedirla.

E così nasce una nuova potente immagine della Chiesa. Il Concilio aveva ricordato molte umili immagini in cui la Chiesa era raffigurata, prese dalla vita agricola o pastorale: la Chiesa come ovile di Dio, come campo o vigna di Dio, come casa di Dio; poi ci furono anche immagini più ambiziose, come “Gerusalemme celeste”, “Sposa dell’Agnello”, fino al simbolo del Triregno come potere su tutto. Papa Francesco aveva aggiunto la soccorrevole figura della Chiesa come ospedale da campo. E ora arriva l’immagine della Chiesa come biglietto da visita. E non è solo un’immagine, dentro c’è una teologia, c’è un Vangelo annunziato in modo nuovo, e c’è la corrispondente ecclesiologia. La visita è il modo in cui avviene la rivelazione e la presenza di Dio nella storia. Dio visita il suo popolo, Dio visita la storia degli uomini. Egli entra nella storia ma non si fa chiudere dentro di essa, la visita è la teologia in quanto teologia della storia. Gesù è la visita di Dio nel mondo, ne è l’epifania, ne è l’esegesi, “chi vede me vede il Padre”; umanità e divinità, non confuse, non divise, non separate, non mutate l’una nell’altra. Lo scambio. La Chiesa è il segno e il sacramento di questa visita divina. È presente e discreta, non vuole dominare spazi, ma non vuole più escludere e abbandonare nessuno: non conquista, lascia il suo biglietto da visita.

Da qui “cambia l’idea di religione”, come ha scritto un giorno, affermando la nonviolenza di Dio, perfino la Congregazione per la dottrina della fede del cardinale Muller. Dio visita la sua unica famiglia umana, non in un solo modo, non in una sola cultura, non in una sola Chiesa. La visita in molteplici modi, perché “il pluralismo e le diversità di religione sono una sapiente volontà divina”, come dice il documento congiunto tra Chiesa ed Islam firmato dal papa il 4 febbraio scorso ad Abu Dhabi.  Questo non è il Dio dell’identità, è il Dio dell’“arca della fraternità”, il Dio dello scambio. Questa è l’“ottava eresia” che a papa Bergoglio imputano i suoi accusatori della lettera del 6 aprile; questa è la Chiesa che le religioni mondane, e il mondo stesso, non vogliono, questo è il peccato che a Francesco non possono perdonare.
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sabato 11 maggio 2019

MIRABILE ERESIA

L'accusa di eresia mossa a papa Francesco da un gruppo di scribi che ha ora ripreso e aggravato la denuncia, sfrontatamente  denominata “Correctio filialis”, già presentata contro di lui il 16 luglio 2017, è una cosa meravigliosa.
Per sostenere infatti l’anatema e le conseguenti dimissioni o deposizione del papa, il pamphlet riunisce in un’unica sezione alcuni passaggi dell’Esortazione “Amoris laetitia” e la citazione di “atti, parole e omissioni” di papa Francesco che, letti tutti insieme, sono una straordinaria affermazione di libertà, verità e misericordia evangeliche; moniti che anzi dovrebbero essere affissi nelle sacrestie di tutte le chiese perché predicatori celebranti e confessori vi si ispirino per trasmettere ai fedeli in omelie e parole finalmente persuasive l’anelito a seguire le vie di Dio e ad assaporarne l’amore.
Del resto non si potrebbe fare una lode più grande a un cristiano e in modo più ficcante definirne l’identità che imputarlo di eresia. È il peccato rimproverato a Gesù, fin da quando nella sinagoga di Nazaret annunziò misericordia e non vendetta di Dio e perciò già allora volevano gettarlo dalla rupe, e per questo fu poi arrestato nel Sinedrio, per aver rivelato l’universale paternità di Dio: la sua religione ne era messa a rischio, Anna e Caifa avevano tutte le ragioni per metterlo a tacere. E dopo la resurrezione, quando ancora non c’era né Chiesa né religione cristiana, di certo erano eretici per la religione del tempio Pietro e Giovanni che proprio lì annunciavano Gesù e la resurrezione dei morti, meritandosi la prigione. Ed eretico è lo Spirito Santo, che pure invochiamo come guida e maestro, ma non si sa da dove viene e dove va, e la ragione di questo andare e venire è di condurci a tutta la verità, che appunto tutta ancora non  conosciamo, sicché proprio lui è il latore nel mondo dell’eresia divina; e c’è un non capire oggi, che dovrà capire domani, che perfino Pietro ha ricevuto come compito.
Invece i lillipuziani che vogliono correggere il papa, e stanno tentando di sollevargli contro la Chiesa (perché quella lettera del 30 aprile altro non è che un appello alla sedizione) credono di sapere tutto, credono di avere in mano tutto, credono di avere in pugno Dio stesso che fin lì deve andare e non oltre, deve stare nei limiti che loro stessi gli hanno assegnato, che corrispondono al loro “deposito” di cui come fondamentalisti e integristi hanno la chiave (la naftalina è già dentro); e di tutte le ricchezze del cielo e della terra e di tutte le teologie delle Chiese e dei santi sanno solo il Concilio di Trento, che nelle pezze d’appoggio per l’accusa di eresia è citato a ogni piè sospinto, 13 volte (e il Concilio Vaticano Primo, 10 volte).  A leggere il corredo dei testi canonici che essi hanno allegato per definire la vera fede, che sarebbe negata nella Chiesa di oggi, ci è tornata alla mente una facezia che si raccontavano i Padri al Concilio  Vaticano II, quando negli intervalli si recavano ai due bar installati dietro alle tribune, scherzosamente chiamati l’uno “Bar Jona” e l’altro “Bar Abba”. Si diceva che una mattina il cardinale Ottaviani, il gran carabiniere dell’ortodossia, prefetto del Sant’Uffizio e come tale predecessore dei cardinali Ratzinger e Müller, svegliatosi tardi saltò su un tassì chiedendo di essere portato subito al Concilio. Nel tragitto si addormentò, e quando si svegliò si accorse che il tassì viaggiava fuori Roma, in aperta campagna; allarmatissimo disse all’autista: “ma dove andiamo, le ho detto di portarmi al Concilio”. E quello rispose: “Certo, Eminenza, la sto portando al Concilio di Trento”.
Il Concilio di Trento ha segnato tutta una stagione della vita della Chiesa, controriforma, divisione dei cristiani, lotta alla modernità. Bisogna leggere “Il paradigma tridentino” dello storico Paolo Prodi per sapere quanto l’aver ristretto il sacro nei bastioni di Trento sia costato alla Chiesa e alla stessa umanità contristata nella sua gioiosa fruizione di Dio; ad ogni modo, come nella sua autobiografia ha scritto quel grande storico del Tridentino che fu Hubert Jedin, “l’epoca tridentina della storia della Chiesa è tramontata” e proprio il Vaticano II ha fatto di ciò un “patrimonio comune” e ha elaborato il “commiato da Trento”, avvertito “come il maggior ostacolo alla riunificazione dei cristiani”.
Non a caso il papa è accusato dai restauratori di oggi di indulgere alle idee di Lutero, di essere andato a celebrarlo a Lund, di aver fatto dare la comunione in san Pietro a un gruppo di luterani e di aver perfino presieduto alla sala Nervi un incontro di cattolici e protestanti usando loro la cortesia di metterci una statua del riformatore tedesco.
 Ma questo svela anche qual è la vera posta in gioco, che non è il caso specifico della disciplina del matrimonio indissolubile e della comunione ai divorziati risposati, materia delle sette eresie contestate al pontefice, ma è la questione della dignità umana, la “Dignitatis Humanae” dell’ultimo Concilio, cioè la questione suprema della libertà delle persone, del primato della coscienza, dei ritmi e dei modi propri di ciascuno di obbedire ai richiami morali e alla guida di Dio, di una Chiesa che non è la padrona dei comportamenti deputata a prescrivere il dover fare dei singoli e di ogni potere, ma è  l’ospedale che fascia le ferite e il pastore che guida danzando i popoli ai pascoli lussureggianti di vita, non centrale mondana dell’etica ma veicolo universale di salvezza.
Ed è veramente consolante, dopo secoli di cultura finiti nell’ateismo globale, vedere che le accuse alla Chiesa di papa Francesco sono ora quelle di non condannare eternamente nessuno, di ritenere tutti raggiungibili dalla grazia santificante, di non rinchiudere nessuno nel peccato mortale per lo stato in cui è invece che per quello che fa, di riconoscere la gradualità con cui ciascuno progredisce nella risposta all’amore di Dio e al dettato morale, di far conto del giudizio della coscienza sulla bontà degli atti sessuali, di non usare il corpo del Signore nella comunione come scettro di divisione invece che di unità, di non voler trasformare i confessionali in sale di tortura, di proclamare, insieme ai musulmani (è l’ottava, suprema  eresia del papa!) che Dio stesso ama e ha pensato nella sua Sapienza i molti modi e le diverse forme in cui gli uomini si rivolgono a lui, mentre è sempre Dio a prendere l’iniziativa di venirci incontro e di giustificarci.  
Ed è proprio questo ciò di cui l’umanità ha bisogno: sentirsi amata, non selezionata tra giustificati e “dannati al fuoco eterno”, ha bisogno di Chiese che capiscano il faticoso viaggiare umano tra le stazioni della libertà, che sappiano che la libertà di coscienza è stata data agli esseri umani da Dio prima ancora della libertà della grazia (Bernardo da Chiaravalle).
Noi comprendiamo che a molti uomini di potere non piaccia la libertà traboccante dalla fede al posto di una libertà centellinata e vigilata dalla legge, e non piace nemmeno ai siti web della campagna anti-Bergoglio, agli ex vaticanisti “embedded” e svezzati  in un Vaticano che non c’è più e, perduto quello, persuasi a retrocedere al Sinedrio. Ma questo inno alla gioia, alla libertà, alla misericordia e al perdono che rompe la tristezza dei  tempi è così prezioso che nessuna “correctio” potrà soffocare. Continua...