lunedì 30 marzo 2015
Costituzione di destra e questione cattolica
di Raniero La Valle
Da Coscienza, rivista del MEIC (movimento ecclesiale di Impegno Culturale), aprile 2015
La nuova Costituzione di destra della Repubblica italiana è stata provvisoriamente approvata dalla Camera dei Deputati il 10 marzo scorso, e ancora non si sa perché.
Dicesi “la nuova Costituzione” perché al di là dell’alto numero degli articoli modificati (più di 50), è l’intera figura della Repubblica che viene cambiata. È ciò che sostengono Bersani, Rosi Bindi e gli esponenti della minoranza del PD, che pure l’hanno votata; ed è ciò che risulta dal passaggio, per nulla secondario, dal bicameralismo al monocameralismo e dal cambiamento di verso del circuito della fiducia, che non correrà più in senso orario dal Parlamento al governo, ma in senso inverso fluirà dal capo del governo al Parlamento, ovvero ai parlamentari che, grazie alla legge elettorale in gestazione, saranno scelti da lui.
Dicesi “di destra” perché nella tradizione linguistica e storica ciò che profitta alla discrezionalità e alla perpetuazione del potere è chiamato di destra, e ciò che profitta alla sovranità popolare e all’equilibrio e sindacabilità dei poteri è chiamato democratico se non di sinistra; e dicesi “di destra” perché la nuova Costituzione è stata scritta di concerto dal governo e dalla destra parlamentare, anche se il 10 marzo per una ripicca politica questa non l’ha votata.
Dicesi “provvisoriamente” perché se i suoi fautori considerano di averla messa per “il 90 per cento in cassaforte” (Ceccanti su Avvenire dell’11 marzo), non è affatto detto che il processo trasformatore continui il suo corso fino alla fine (legato com’è alle sorti del governo: simul stabunt et simul cadent) e non è detto che in ultima istanza esso non sia bloccato dal voto popolare nel referendum, come già avvenne nel 2006 con il rifiuto popolare della Costituzione di Berlusconi.
Dicesi “non si sa perché” in quanto, a parte Renzi, di cui è evidente l’interesse politico immediato e che del resto non ha votato non facendo parte del Parlamento, non è chiara la logica degli altri, essendo le ragioni per cui hanno votato a favore o contro la riforma molto diverse dalle ragioni che dovrebbero presiedere a un voto sulla Costituzione.
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venerdì 20 marzo 2015
E PER IL MONDO, MISERICORDIA
di Raniero La Valle
Come Giovanni XXIII spiazzò tutti quando nel giorno in cui
si doveva concludere la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
convocò il Concilio Vaticano II, così Francesco ha spiazzato tutti quando nel
giorno in cui si doveva celebrare il secondo anniversario dall’inizio del suo
pontificato, ha indetto un Giubileo straordinario a partire dall’8 dicembre.
In verità non solo c’è
tra i due eventi una perfetta simmetria, ma il secondo fa seguito al
primo con perfetta puntualità. Il Concilio è finito l’8 dicembre 1965, e dopo
cinquant’anni di traversata nel deserto, l’8 dicembre 2015 esattamente dallo
stesso punto esso riparte con il Giubileo della misericordia. Il litigio sulle
ermeneutiche di continuità o di rottura è finito: sì, quelle ermeneutiche del
Concilio ci sono, ha detto papa Francesco nell’intervista alla Civiltà Cattolica cinque mesi dopo
l’elezione, “tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo
attualizzata nell’oggi, che è stata propria del Concilio è assolutamente
irreversibile”. E in queste parole del papa c’era non solo la rivalutazione del
Concilio, le cui conseguenze nella vita della Chiesa avevano tanto turbato i
suoi predecessori, ma c’era anche l’individuazione di quello che era stato il
vero cuore e il vero comandamento lasciato dal Concilio: non la riforma della
Chiesa, ma la attualizzazione del Vangelo nell’oggi, cioè il rinnovamento
dell’annuncio di fede.
Altro che Concilio “non dottrinale”, “non dogmatico”: la
novità del Concilio era stata proprio il ripensamento e la riproposizione della
dottrina e del dogma “in quel modo che i nostri tempi richiedono”, come aveva perorato
papa Giovanni nel discorso di apertura dei lavori conciliari. Così, per papa
Francesco, continuare il Concilio, riprenderlo dal punto in cui era stato
interrotto, non vuol dire principalmente portare avanti la riforma del collegio
dei vescovi, presentare meglio il papato, la Chiesa, la Curia, “l’ultima delle
Corti europee” (anche se sono tutte riforme da fare) ma presentare meglio il
volto di Dio, formulare meglio il messaggio, e annunciare Dio, non annunciare la Chiesa. Perché la
vera domanda che dalle profondità del Vangelo il Signore rivolge al mondo uscito
dalla modernità, non è se al suo ritorno troverà ancora le religioni o le
Chiese sulla terra, ma se al suo ritorno troverà ancora la fede.
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lunedì 16 marzo 2015
Che vuol dire misericordia
di Raniero La Valle da Il Manifesto 15/03/2015
Ci sono delle cose che papa Bergoglio ha detto fin dal
principio, che sul momento non vennero capite, ma si sono capite dopo, o si
stanno comprendendo solo ora.
Per esempio quando, presentandosi la prima sera al popolo
sul balcone di san Pietro aveva detto: “adesso vi benedico, ma prima chiedo a
voi di benedirmi” non si poteva capire, come adesso invece è chiaro, che lì
c’era già l’idea di una riforma del papato: il papa non solo rientrava tra i
vescovi, come aveva detto il Concilio Vaticano II, ma tornava in mezzo al
popolo come uno dei fedeli, come un pastore che non solo sta in testa al
gregge, ma anche sta in mezzo e dietro al gregge, perché le pecore hanno il
fiuto per capire la strada e per indicare il cammino. E così il gregge
diventava un popolo, e il papa si riconosceva ministro di questo popolo,
insieme agli altri ministri e primo tra loro, un papa non solo uscito dal
conclave ma papa benedetto dal popolo.
Un’altra cosa che non si era capita era quella parola
“misericordiare”, che non esiste né in italiano né in spagnolo e che il papa
usava come un neologismo, tratto dal suo motto episcopale, per definire il suo
compito. Sicché alla domanda: “chi è Francesco?”, “che cosa è venuto a fare?”
che risuona anche in un mio libro uscito ora per “Ponte alle grazie”, la
risposta era: “sono venuto a misericordiare”.
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venerdì 13 marzo 2015
PAPA BERGOGLIO E LE "COSE MAI VISTE"
di Alberto Bobbio, Famiglia Cristiana 11/03/2015 «Tutto è cominciato», dice lo studioso, «con
quell’inchino la sera dell’elezione...». Il racconto di Raniero La Valle,
parlamentare della Sinistra indipendente per 16 anni e prima direttore
dell’Avvenire d’Italia di Bologna
Premette
subito nel sottotitolo del suo libro:Cronache di cose mai viste. Raniero
La Valle, parlamentare della Sinistra indipendente per 16 anni e prima
direttore dell’Avvenire d’Italia di Bologna, uno dei due quotidiani cattolici
insieme all’Italia di Milano da cui nacque per volere di Paolo VI il quotidiano
Avvenire, ha raccontato il concilio Vaticano II a chi non sapeva il latino. E
ora si cimenta nell’ultimo suo libro, Chi sono io, Francesco?, edito da Ponte
alle Grazie, con la Chiesa di papa Francesco dopo due anni di pontificato.
-
Perché cronache di cose mai viste?
«Perché la sera del 13 marzo quando il nuovo Papa si è affacciato sulla piazza e ha detto buonasera, e prima ancora di dare la benedizione si è inchinato chiedendo la benedizione del popolo, s’è capito che una lunga attesa era giunta forse alla ne e qualcosa di veramente nuovo stava per accadere».
- Chi è Francesco?
Continua...
«Perché la sera del 13 marzo quando il nuovo Papa si è affacciato sulla piazza e ha detto buonasera, e prima ancora di dare la benedizione si è inchinato chiedendo la benedizione del popolo, s’è capito che una lunga attesa era giunta forse alla ne e qualcosa di veramente nuovo stava per accadere».
- Chi è Francesco?
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